Siamo ormai di fronte all’evidenza, malgrado i silenzi istituzionali. Si ripetono in serie naufragi nel Mediterraneo centrale, prodotti dalle politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera, frutto degli accordi di collaborazione con i paesi di transito e di origine, come la Libia e la Tunisia, ancora ieri l’ultimo tragico evento  confermato con un comunicato congiunto dalle principali agenzie delle Nazioni Unite ( OIM e UNHCR).

Purtroppo le stesse Agenzie, e le Nazioni Unite a livello superiore,  se sconsigliano con i toni felpati della diplomazia i respingimenti verso la Libia di persone soccorse in acque internazionali da navi private,  nulla dicono, e fanno, per impedire che gli Stati continuino a riconoscere la cosiddetta zona SAR di ricerca e salvataggio “libica”, quando la Libia come Stato unitario non esiste più da tempo, e soprattutto quando si finanziano attività di una Guardia costiera “libica” che da tempo non appare in grado di garantire la vita delle persone ed il rispetto dei loro diritti umani. A cosa sono serviti i corsi di formazione dei guardiacoste libici finanziati dall’Unione Europea ?

Non basta ripetere ancora una volta che gli accordi bilaterali con il governo di Tripoli dovrebbero essere revocati e che  la finzione della zona SAR “libica” andrebbe immediatamente cancellata,  magari con un intervento dell’IMO (Organizzazione internazionale del mare, che pure si collega alle stesse Nazioni Unite), o su iniziativa di qualche Stato, da parte del Tribunale internazionale del mare di Amburgo.

L’intervento di supplenza operato dalle imbarcazioni della società civile impegnate nel Mediterraneo centrale non riesce più a garantire il pieno rispetto dei diritti, a partire dal diritto alla vita, delle persone migranti che tentano comunque la traversata, e continua ad essere contrastato duramente, con campagne mediatiche, dopo attività di polizia ed iniziative giudiziarie che nulla hanno dimostrato,  fino ai più recenti fermi amministrativi.

Occorre ricostruire una analisi più ampia quella elaborata finora, tenendo conto che la maggior parte delle partenze dal nordafrica si verifica dalla Tunisia e non dalla Libia, e che la diffusione su scala globale del COVID 19 impone a tutti, comprese le Organizzazioni non governative, un cambiamento profondo della comunicazione e delle pratiche di intervento. Le attività di monitoraggio dovrebbero essere molto più estese, soprattutto a sud di Malta e Lampedusa, anche quando non si risolvono con l’imbarco dei naufraghi, e la comunicazione degli eventi di soccorso, che oggi qualcuno cinicamente tende a definire come “eventi di migrazione illegale”, dovrebbe essere quanto più immediata e dettagliata possibile. Ad ogni omissione di soccorso riconducibile ad autorità statali dovrebbe seguire una  denuncia immediata ed una campagna di informazione basata  sulle testimonianze e sui dati oggettivi raccolti non solo a mare, ma anche sui territori, dopo gli sbarchi, su entrambe le sponde del Mediterraneo.

La mancanza di canali legali di ingresso in Europa ed il sostanziale abbattimento del diritto di asilo e dei sistemi di accoglienza producono il duplice effetto di alimentare nei diversi settori lo sfruttamento lavorativo e rafforzare al contempo la deriva populista e xenofoba già presente in tutti i paesi europei. I partiti di governo e di opposizione si alternano nel tempo mantenendo, seppure con diverse modalità comunicative, una linea di chiusura nei confronti delle migrazioni, come è dimostrato dal sostegno parlamentare rinnovato di recente agli accordi tra Italia e Libia ed alle posizioni della Commissione europea sui rapporti dei singoli stati con i paesi terzi, in particolare con la Turchia.

I diritti umani nel Mediterraneo, e più in generale in Europa, stanno crollando giorno dopo giorno, come si sta limitando ormai ovunque, anche all’interno delle frontiere Schengen la libertà di circolazione. Le stesse garanzie costituzionali della libertà personale sembrano un lontano ricordo, se solo si considerano le pratiche violente di detenzione amministrativa adottate con forme diverse a tutte le frontiere terrestri, e muri sempre più alti vengono elevati, non certo per bloccare la mobilità dei migranti, ma per fare pagare loro il prezzo più alto. Un costo che si riversa sulla riduzione degli spazi democratici e della libertà di comunicazione anche per i cittadini europei. Per chi riesce a superare i controlli di frontiera, in assenza di canali legali di ingresso, l’unica prospettiva rimane l’emarginazione a vita e lo sfruttamento lavorativo. Un destino che sempre più spesso potrebbe essere condiviso dalle fasce più deboli della popolazione europea. Il prossimo autunno si profila drammatico in tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo anche da questo punto di vista, e non soltanto per ragioni sanitarie.

Gli attuali partiti, sia di governo che di opposizione, in Italia, come in altri paesi europei, condividono, seppure con diverse forme di comunicazione, la linea dei respingimenti collettivi, della detenzione informale e dell’abbandono in mare. Basta mettere in linea di continuità le  dichiarazioni dell’attuale ministro dell’interno Lamorgese, quelle del  ministro degli esteri Di Maio  e quelle di altri esponenti del governo dopo le missioni a Tripoli ed a Tunisi, con i periodici sciacallaggi degli esponenti delle destre che speculano su ogni vita soccorsa in mare, su ogni persona che viene accolta nel circuito di accoglienza, e si verifica una sostanziale continuità. Da parte di Salvini e della Meloni si cerca in tutti i modi di rilanciare la guerra tra i poveri, adesso non solo sulla base del lavoro che manca, ma adottando la tecnica del “capro espiatorio”, individuando nelle poche migliaia di persone che riescono ancora ad attraversare il Mediterraneo la ragione di tutti i problemi che affliggono la popolazione autoctona, a partire dalla esposizione al rischio da contagio per la pandemia del Covid 19, che ormai non risparmia neppure i paesi di origine dei migranti. L’ex ministro dell’interno, che il prossimo 3 ottobre andrà a processo a Catania per il caso Gregoretti, ha addirittura lanciato un appello eversivo alla sua piazza, per una presenza di massa davanti al tribunale nel giorno in cui il processo a suo carico dovrebbe iniziare. Si vorrebbe incidere con la pressione populista sulle determinazioni dei giudici. Un anticipo di quello che potrebbe attenderci se la Lega ritornasse al governo e mettesse le mani sul ministero della Giustizia. Oltre alla vita delle persone in mare, ed alla loro dignità a terra, è in discussione la separazione dei poteri, principio base di un paese democratico.

Da parte delle forze di governo ad ogni critica proveniente da destra si risponde tentando di dimostrare una maggiore capacità di rendere effettive le espulsioni e di coinvolgere i paesi di transito nel tentativo di bloccare le partenze. Tra poco tutti riprenderanno a criticare le poche imbarcazioni delle ONG ancora operative, mentre il governo su preciso input politico utilizza ancora il fermo amministrativo per tenere bloccate le navi delle ONG. Continua lo scandalo delle navi Hotspot per quarantena, ed il loro sistematico fallimento, rispetto allo scopo annunciato di decongestionare Lampedusa, alimenta la propaganda delle destre. Il sistema della quarantena obbligatoria che per i migranti appena sbarcati si confonde con la detenzione amministrativa, frutto di una dichiarazione di stato di emergenza sanitaria, rischia di portare a quegli stessi abusi per i quali la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia nel caso Khlaifia.

Non si può continuare a praticare la politica del “meno peggio” o ritenere ancora che una trattativa con il governo possa interrompere questa linea di continuità che allinea governo ed opposizioni ( non solo in Italia) quando si tratta di affrontare le questioni dell’immigrazione.

Occorre lavorare per rimettere in movimento un processo di unificazione e di emersione di tutte le istanze che si legano alla tutela della vita umana e delle libertà democratiche, in mare, ma anche a terra. Bisogna recuperare la centralità dello sfruttamento lavorativo da una parte e dall’altra del Mediterraneo e denunciare come la risposta alla crisi del Covid sia stata scaricata ovunque, in Tunisia non meno che nelle regioni più deboli del meridione d’Europa, esclusivamente sulle spalle dei lavoratori e dei gruppi sociali più deboli. Occorre recuperare la capacità di produrre informazione dal basso per colmare il vuoto enorme lasciato da una stampa asservita ai governi, ed in genere alle forze politiche più grandi, e da una scuola che è stata chiusa con un preoccupante aumento dell’isolamento sociale e della ignoranza diffusa. Come è confermato dalla diffusione di “Fake News” che avvelenano la coesione sociale e contribuiscono alla costruzione del nemico interno.

Alla logica del mero soccorso di chi versa in condizioni di bisogno e di chi rischia addirittura di perdere la vita in alto mare occorre aggiungere una visione più ampia sul Mediterraneo, per rimettere in discussione rapporti economici e politici che riproducono sistemicamente situazioni ormai endemiche di inferiorizzazione, dall’abbandono in mare allo sfruttamento lavorativo o sessuale.

Non dobbiamo rassegnarci alla prospettiva che da questa crisi, che non è transitoria e non è solo sanitaria, ma anche umana e politica, ne potremo uscire soltanto garantendo zone immuni, aumentando i livelli di esclusione sociale e di odio interetnico, elevando muri sempre più alti alle frontiere. Controllare i confini ed adottare protocolli sanitari di sicurezza, magari con una sanità che sia sottratta alla speculazione privata ed al mercimonio politico-privato, è possibile malgrado tutti questi fatti, soprattutto garantendo canali legali di ingresso e pieno riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone quale che sia il loro status giuridico e la loro nazionalità.

È in gioco una partita enorme, il cui sbocco potrebbe essere una maggiore democrazia o una nuova forma di fascismo. Una partita che non si può giocare restando soltanto all’interno dei confini nazionali o delle azioni di singoli ed associazioni, che per quanto meritevoli, possono essere agevolmente bloccate dalle scelte disumane degli apparati amministrativi e dalla pervasività degli strumenti di repressione affidati alle polizie. Una partita che si dovrà combattere restituendo senso a quel principio di solidarietà che costituisce ancora il fulcro di tutte le Costituzioni democratiche. Sarà necessario uscire fuori dai confini nazionali non solo per andare a salvare persone in acque internazionali ma anche per costruire nuovi soggetti rappresentativi sovranazionali e legami con tutti coloro che nei diversi paesi del mondo, e soprattutto negli Stati africani a noi più vicini, che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo, stanno giocando una partita difficilissima, mentre le autorità militari dettano legge e non sono riconosciuti i principi basilari dello stato di diritto.