Se c’è una cosa che abbiamo imparato dal Covid-19 è quanto sia importante avere un sistema sanitario all’altezza. Per raggiungere questo obiettivo è necessario che ogni Stato investa costantemente nella salute pubblica. Un pessimo sistema sanitario incide prima di tutto sulla vita delle persone e di conseguenza sulle istituzioni che detengono il potere. Verrebbe automatico pensare che un governo incapace di offrire gli adeguati servizi al proprio popolo non possa essere in grado di mantenere il potere.
Ci sono, però, paesi come l’Ungheria dove la sanità non viene considerata importante. Qui il potere si mantiene investendo nello sport, nel calcio in particolare. Eppure né la nazionale magiara, né tanto meno i club ungheresi stanno dimostrando alcun miglioramento degno di nota negli ultimi anni. Allora perché Viktor Orbán continua a far costruire stadi di calcio e investe cifre astronomiche nel mondo del pallone?
Make Hungarian football great again
C’era una volta la nazionale magiara, capace di demolire i leoni d’Inghilterra: 6 a 3 a Wembley e 7 a 1 in casa. Nell’anno successivo, il 1954, solo i tedeschi impedirono a Puskás e compagni di portare a Budapest la coppa del mondo. Questi furono i punti più alti mai toccati dal calcio ungherese.
Questo costante ricordo ha dato vita a una nostalgia, nel popolo ungherese, dei tempi che furono. Non c’è strumento migliore che un politico senza scrupoli possa trovarsi in mano. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán è una delle figure politiche di questo periodo storico che fanno del richiamo al passato glorioso il fulcro della propria politica interna. La policy è quella del “football first” e l’obiettivo dichiarato è quello di riportare il livello del calcio magiaro a quello di una volta. Per questo servono soldi, potere e investimenti, dentro e fuori dai confini. Ma riportare l’Ungheria al successo sul quadrato verde è il vero fine o soltanto un diversivo?
Le mani sul pallone
Viktor Orbán ha un decente passato da calciatore, capace di militare tra la quarta e la quinta serie ungherese. La decisione di appendere le scarpe al chiodo arriva nel 2005, ma questo non gli impedisce di combinare il suo amore per il calcio con la politica. La sua prima visita all’estero da primo ministro è per la finale della coppa del mondo del 1998 a Parigi. A oggi il calcio magiaro è saturo della sua presenza. Undici club su dodici della massima serie sono di proprietà di alleati di Orbán. Secondo lui lo sport è il settore più importante per la salute, l’educazione dei bambini, la cura delle famiglie e della loro unità. Un esempio di tutto questo è lo spot realizzato per l’inaugurazione della Puskás arena, dove il pallone è il filo conduttore del paese.
Nuovi stadi per tutti
Dal 2010 ben nove club ungheresi hanno costruito nuovi stadi. L’impianto di spicco è la Puskás Arena. Capacità da 68mila spettatori, costata attorno ai 600 milioni di euro. Altre costruzioni degne di nota sono la Groupama Arena a Budapest costata 63 milioni, il nuovo stadio per il Ferencváros da 24mila posti a sedere. Poi c’è l’Hidegkuti Nándor Stadion, la casa della MTK e dell’Honvéd, malgradito dai tifosi. I casi più estremi sono la Pancho Arena, uno degli stadi più belli d’Europa e casa della Puskás Akadémia, e lo stadio dello Szeged, del tutto ingiustificato dato che la squadra milita in nella serie B ungherese.
Gli stadi non sono tutto. 70 milioni di euro sono stati investiti dal governo ungherese per dare vita ad accademie di calcio nelle città di paesi esteri come Romania, Slovacchia, Slovenia, Croazia, Serbia e Ucraina, dove vivono minoranze etniche ungheresi. In totale per il calcio ungherese, dal 2010, la cifra spesa si aggira intorno al miliardo di euro. Numeri astronomici, ma non è tutto.
Soldi e tasse
Il calcio per Orbán è uno strumento che gli permette di mantenere sia l’appoggio della popolazione, che quello del ristretto gruppo di oligarchi a lui vicini. Per guadagnarsi la loro fedeltà il primo ministro offre loro contratti gonfiati per i progetti di costruzioni statali che sono finanziati dall’UE, con i profitti che vengono successivamente condivisi tra il partito al potere e gli oligarchi.
Il tassello fondamentale di tutto questo è lo schema TAO, il quale consente alle società di deviare gli utili imponibili, con una divulgazione minima, verso le società sportive e le istituzioni culturali. Tra il 2011 e il 2014 i proprietari dei club ungheresi hanno ricevuto più di 250 milioni da questi contributi. Un sistema d’incentivi fiscali per le imprese che promuovono lo sport permette di attrarre grandi fondi d’investimento nello sport e soprattutto nel calcio.
Questi contributi non sono accessibili al pubblico perché classificati come segreti fiscali e secondo un report di Transparency International Hungary, questo strumento aumenta il rischio di corruzione. Secondo il New York Times, il programma ha permesso alle aziende di dirottare almeno 1,5 miliardi di dollari di tasse aziendali direttamente alle istituzioni sportive. Soldi che avrebbero fatto comodo alla sanità, per esempio.
Chi paga?
A pagare il prezzo di tutto ciò è la popolazione ungherese. Il 25% della quale è a rischio povertà. Soltanto dieci paesi dell’UE hanno un’aspettativa di vita minore rispetto agli ungheresi. Budapest spende meno del 3% del PIL in un settore fondamentale come la sanità, comparato al resto dell’UE, e i medici continuano a lasciare il paese per condizioni di lavoro e salari non convenienti. Ma non sono solo loro ad abbandonare l’Ungheria: dall’ingresso nell’Unione, ben 600mila ungheresi hanno lasciato la propria terra.
Il centro della campagna di Karácsony per diventare sindaco di Budapest è stata la polemica sugli stadi. Costruzioni che sono spesso oggetto anche degli attacchi da parte dell’opposizione. Nonostante l’effetto di queste proteste è limitato, il segnale positivo è che qualcuno si sia accorto di questa politica insensata. Stadi di calcio scintillanti e ospedali in decadenza. Il contrasto riflette le priorità di Orbán, diventato uno dei più potenti leader dell’estrema destra europea. Campione nazionalista degli ungheresi comuni e disgrazia per le élite europee. La salute e il futuro del proprio popolo non permettono di consolidare il potere, il calcio sì.