La parola Dialogo dice ciò che di più elevato un essere umano possa esperire nella relazione, il dialogo è alla base della democrazia, ma il dialogare è sempre più difficile e quando un’azione è complicata nella sua concreta realizzazione diventa un concetto ripetuto ad oltranza. Un noto proverbio, “La lingua batte dove il dente duole”, ci mostra come si tiri sempre fuori il discorso che ci preoccupa e di cui non intravediamo la soluzione o, per essere ottimisti, una soluzione difficile da realizzare.
Tutti pronunciano la fatidica frase: “Dobbiamo o si deve ritornare al dialogo”, già ma a quale ritorno ci si rivolge? Appare come una presa in giro o più filosoficamente come la grande utopia, una pratica quindi irrealizzabile in una società dove tutti vogliono parlare senza ascoltare, dove la ragione dell’altro è considerata semplicemente ininfluente. Il dobbiamo dialogare diventa una finzione scenica sul palcoscenico della farsa, la realtà è deludente. Con ciò non significa arrendersi, la lotta per una convivenza pacifica è il desiderio più grande per chi crede nella nonviolenza, del resto come potrei non crederci visto l’amore che mi lega a Platone. Il nostro filosofo ha scritto il dialogo Critone nel IV sec. a. C. dove centrale è la figura di Socrate incarcerato e condannato a morte; Critone gli fa visita per convincerlo a fuggire: egli è convinto di avere argomenti persuasivi per spingere il condannato ad accettare di essere condotto lontano da Atene per mettersi in salvo. Come sappiamo Socrate morì ingerendo la cicuta, accettò la condanna ingiusta perché un buon cittadino sottostà alle leggi non solo quando gli sono favorevoli.
Il dialogo Critone contiene un messaggio filosofico rivoluzionario e soprattutto è un efficace manifesto della nonviolenza. Socrate non fugge perché lo potrebbe fare solo se la fuga si rivelasse una cosa giusta altrimenti meglio morire che commettere ingiustizia. Commettere ingiustizia, afferma il Nostro, è sempre male per chi la compie, non si deve mai commettere anche nel caso in cui si abbia subito ingiustizia; allo stesso modo non si deve mai fare il male anche nel caso in cui lo si abbia subito.
Se riteniamo ingiuste le leggi delle Stato non è con la violenza che si debbono cambiare perché la violenza non è mai una vittoria, in realtà la sua vittoria è una sconfitta. Il vero vincere è con-vincere, nel persuadere con il ragionamento e di conseguenza con il dialogo. Questi sono i pensieri che i seguaci della rivoluzione nonviolenta promossa da Martin Luther King citavano insieme al Vangelo, come ci racconta Giovanni Reale nella sua introduzione al Critone (ed. Rusconi).
Socrate con il suo esempio diventa il rivoluzionario della nonviolenza, un modello che si è fatto carne viva e non idee astratte, una vita vissuta fino all’ultimo istante per non contraddire ciò che aveva detto ai suoi discepoli; la sua azione è in ultima analisi il grande messaggio che ci giunge dalla Grecia antica. Un messaggio rumoroso e forte da fare nostro ogni giorno, dobbiamo con-vincere delle ingiustizie sempre più pressanti: dalla pena di morte ancora presente nel mondo alle disparità sociali, all’uso delle armi fino alle tasse troppo onerose. Il dialogo è con-vincere, vincere insieme la battaglia nonviolenta contro le prevaricazioni, certo l’impegno deve essere costante nel tempo con la consapevolezza delle difficoltà che ci attendono. Possiamo farcela senza la necessità di immolarci, ma rimanendo fedeli ai nostri ideali: i martiri si sono già sacrificati, ora abbiamo bisogno di ottenere risultati anche in loro onore.
Il mio impegno col dialogo continua con “Donne in dialogo”, una proposta dinamica per dialogare creata in collaborazione con Caterina Della Torre e sfociata nel Manifesto di Donne in dialogo. Sette punti per portare il dialogo ovunque ci siano persone disposte ad accoglierlo.