In questi ultimi giorni, mentre si è inflitto un inutile limbo ai naufraghi soccorsi, oltre una settimana fa, dalla nave Ocean Viking di Sos Mediterraneé,al largo di Malta si sta consumando a bordo di un’altra nave, un cargo commerciale, il TALIA, l’ennesima tragedia del respingimento collettivo, ai danni di 52 migranti fuggiti dalla Libia in condizioni estreme, al punto che portano sui corpi scarnificati i segni delle torture che hanno subito. No, non pensavamo proprio che avremmo rivisto le immagini dell’orrore, come quelle di Sagen, il migrante eritreo soccorso nel 2018 da Open Arms e morto pochi giorni dopo lo sbarco a terra per lo stato di denutrizione nel quale era stato tenuto nei lager libici. Perché di lager occorre parlare, sia che si tratti dei cd, centri governativi sotto il controllo del DCIM ( Dipartimento del ministero dell’interno di Tripoli per la lotta contro l’immigrazione “illegale”), che dei cd. centri informali, come quelli direttamente sotto il controllo delle diverse milizie che trattano i migranti, donne e bambini compresi, come merce di scambio da vendere al migliore offerente. Adesso tutti i migranti bloccati in Libia sono stritolati dalla morsa costituita dalla guerra civile e dalla diffusione di focolai di Covid 19, soprattutto nelle strutture concentrazionarie nelle quali sono ristretti. Nessuno si faccia illudere dalla presenza di rappresentanti dell’OIM e talvolta dell’UNHCR, ai punti di sbarco, perchè dopo l’uscita dal porto nessuno garantisce più per la loro incolumità, e molti finiscono subito nelle mani dei trafficanti. La Libia come stato unico non esiste più da tempo, e non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati.
Da Malta ci arrivano invece le immagini terribili dei naufraghi a bordo del mercantile TALIA, respinti dal governo di La Valletta, tenuti al largo del porto di Marsalox, per ripararsi da avverse condizioni meteo, già in acque territoriali, ma ai quali, salvo due evacuazioni mediche, si impedisce lo sbarco a terra, forse in attesa che l’Unione Europea, o singoli Stati che ne fanno parte, accettino altri naufraghi, oltre i 200 che sarebbero già partiti dall’isola “dei Cavalieri” in questi ultimi giorni.
Decine di persone sono così bloccate in condizioni disumane a bordo di un cargo che normalmente trasporta animali da macello. Questo respingimento collettivo, ai danni di vittime di tortura in Libia, avviene nello stesso giorno in cui arriva a Malta il capo del governo di Tripoli Serraj, per inaugurare un nuovo “Centro di coordinamento maltese-libico” contro l’immigrazione illegale, frutto degli accordi stipulati nel tempo tra Malta e Tripoli. Accordi che del resto sono stati anticipati dal Memorandum d’intesa stipulato tra Italia e Malta il 2 febbraio 2017, rinnovato nel febbraio di quest’anno, e su cui il Parlamento italiano si sta pronunciando con il voto sul finanziamento delle missioni militari italiane all’estero, un voto che potrebbe spaccare un governo già troppo esposto ai ricatti delle destre.
Sebbene il più recente Accordo di Malta del settembre del 2019 si sia rivelato del tutto fallimentare ed oggi risulti superato dalle conseguenze della pandemia da Covid 19, che ha portato alla chiusura di tutte le frontiere esterne dell’Unione Europea, sembra che il patto tacito a tre, tra Malta, Italia e il governo di Tripoli, per i respingimenti collettivi, stia funzionando. Anche se si tratta di prassi operative coordinate che rimangono coperte dal segreto militare e che non vengono neppure formalizzate in documenti scritti. Ma si vedono i risultati. E infatti anche le autorità italiane hanno respinto la richiesta di un porto di sbarco sicuro lanciata dalla nave TALIA quando la nave era a sole 30 miglia a sud di Lampedusa.
Se a Malta si respingono i naufraghi soccorsi nella zona SAR ( ricerca e salvataggio) attribuita a quel paese, o si trattengono per tempi indefiniti a bordo di navette idonee soltanto a gite turistiche giornaliere, e se il premier Abela ha nominato come rappresentante in Libia quel Neville Gafa che ha coordinato respingimenti collettivi verso la Libia con una flottiglia di pescherecci fantasma, come quello impiegato in occasione della strage di Pasquetta ( 13-14 aprile 2020), l’Italia non ha minori responsabilità. Dal 2018, dai tempi del Codice di condotta imposto dall’ex ministro dell’interno Minniti alle ONG, i diversi governi che si sono succeduti nel tempo hanno sempre confermato la presenza nel porto militare di Tripoli ( Abu Sittah) della missione NAURAS, rientrante nella più vasta operazione Mare Sicuro, con compiti di assistenza e coordinamento della sedicente guardia costiera libica. I frutti di questa collaborazione sono adesso ben visibili, con un notevole numero di casi in cui le motovedette libiche, magari sotto il tracciamento dei target offerto dagli assetti aerei dell’Agenzia europea Frontex, sono riuscite a bloccare in acque internazionali i barconi carichi di persone in fuga dalla Libia.
Le responsabilità maltesi non sono quindi dissimili da quelle italiane, anche se si considera che il governo di Malta ha adottato un decreto di chiusura dei propri porti pochi giorni dopo che il governo italiano, basandosi sui decreti sicurezza fatti approvare da Salvini, aveva emanato un decreto interministeriale ( il 7 aprile 2020) che dichiarava ” non sicuri” i porti italiani. Ma non nell’interesse dei naufraghi, quanto piuttosto a loto danno, adducendo che il loro arrivo avebbe potuto mettere in crisi il sistema sanitario nazionale e creare problemi di ordine pubblico. Come se tali motivazioni potessero persistere all’infinito, anche dopo il superamento della fase più critica, almeno in Italia, della pandemia da COVID 19, e dopo che le strutture ospedaliere si sono quasi del tutto svuotate di malati. Mentre è in aumento il numero dei focolai che scoppiano sui luoghi di lavoro, come i mattatoi o nelle aziende della distribuzione, o che sono importati da persone che attraversano le frontiere terrestri e non dai migranti che vengono soccorsi in mare. Persone che per le modalità del loro arrivo in Italia potrebbero essere sottoposte in tutta sicurezza a rigorosi protocolli anti COVID una volta sbarcati a terra, come impongono le Convenzioni internazionali di diritto del mare, senza un ulteriore estenuante attesa a bordo delle navi traghetto utilizzate per la quarantena. Una soluzione fallimentare sin dal principio, che nel maggio scorso è già costata una vita, e che adesso mostra evidenti tutte le ragioni per cui avevamo ritenuto che fosse eccessivamente onerosa e insostenibile per ragioni giuridiche e morali. Il trasbordo dei naufraghi soccorsi dalla Ocean Viking a Porto Empedocle, soggetto a continui rnvii dimostra quanto questa soluzione risulti del tutto inadeguata una volta che gli arrivi dei migranti continuano.Se si pensava che la nave potesse servire per evacuare quanti arrivavano a Lampedusa, adesso si scopre che non basta neppure per quelli soccorsi dalle ONG ed il sindaco di Porto Empedocle vuole sbarazzarsene, per farla ormeggiare a Pozzallo. Ma non è certo un sindaco che decide, certo è la prova che manca in Italia quel piano di accoglienza post-sbarchi che avevano chiesto già lo scorso aprile.
Una crescita costante degli arrivi dalla Libia, e dalla Tunisia, anche di migranti transitati dalla Libia, come le donne ivoriane o i bengalesi, che non è certo una invasione, nè una minaccia per la salute pubblica, come la propaganda sovranista è tornata a tuonare, ma che non sembra certo contenibile con il ricorso alle navi traghetto per trattenere i naufraghi a scopo di quarantena. Anche la sofferenza psichica costituisce trattamento disumano riconducibile al concetto di tortura. Come la negazione all’accesso a cure mediche immediate costituisce una grave lesione del diritto alla salute previsto per tutti dall’art. 32 della Costituzione.
Dietro questi trattamenti inumani e degradanti che i governi italiano e maltese continuano ad infliggere ai naufraghi si ripropone l’intento non solo di assecondare la caccia all’untore, che si è già diffusa, soprattutto in Italia, quanto piuttosto il vecchio tentativo di utilizzare i migranti ai quali si dovrebbe indicare un porto di sbarco, come arma di ricatto per ottenere la loro redistribuzione in Europa. Un tentativo che è fallito già nel passato, ma che si sta rilanciando adesso, anche con la tesi, in contrasto con il diritto internazionale, ma tanto cara alla ministro dell’interno Lamorgese, della competenza (a indicare il luogo di sbarco) del paese di bandiera della nave soccorritrice. Una argomentazione comunque discriminatoria, perché non si può esterndere alle tante navi commerciali che battono bandiera ombra, costruita apposta per mettere in difficoltà le ONG, in combutta con i governi dei paesi dalle quali provengono le navi impiegate nei soccorsi umanitari. In questa direzione l’Italia sta anche spingendo perchè l’Unione Europea adotti una nuova regolamentazione che renda impossibile i soccorsi umanitari, se non si vorranno trovare ad operare come agenti embedded, imponendo alle navi delle ONG requisiti tecnici e modalità di intervento incompatibili con l’espletamento delle missioni di soccorso e con il rispetto del diritto internazionale. Come se i naufraghi tirati su dai gommoni in alto mare, magari in procinto di affondare, fossero passeggeri paganti di una nave da crociera.
Mentre qualche sindaco italiano, oltre che il governo, attacca le ONG perché non garantirebbero sulle loro navi, dopo le azioni di soccorso, quel “distanziamento sociale” che neppure con i vigili sono in grado di garantire davanti ai locali di ritrovo della loro città, il comportamento dei governi italiano e maltese prolunga il tempo dei trattamenti inumani e degradanti che vengono inflitti ai migranti anche dopo la loro partenza dalla Libia e ritarda l’accesso alle procedure di protezione internazionale. Ma soprattutto, in un momento nel quale anche in Libia sono presenti focolai di COVID-19, il prolungamento della permanenza a bordo delle navi soccorritrici potrebbe costituire un ulteriore motivo di diffusione del contagio per il ritardo nell’accertamento di eventuali casi di positività attraverso i tamponi e gli esami sierologici. Esattamente come è successo con i naufraghi bloccati per dieci giorni a bordo della Ocean Viking, entrata adesso a Porto Empedocle.