Dopo le risposte di Riccardo Noury, Laura Quagliolo, Giovanna Procacci, Giovanna Pagani, Guido Viale, Andreas Formiconi, Jorida Dervishi, Pia Figueroa, Renato Sarti , Yasha Maccanico, Fulvio De Vita, Carlo Olivieri e Antonio Panella sentiamo ora Rita Lavaggi.
Ora che stiamo uscendo dall’emergenza Covid19 molti dicono: “Non vogliamo tornare alla normalità perché la normalità era il problema”. Questa dunque può essere una grande occasione di cambiamento.
Qual è secondo te la necessità di cambiamento più urgente in questo momento e cosa sei disposto a fare in quella direzione?
Due sono, a mio avviso, gli aspetti urgenti che siamo chiamate/i ad affrontare senza perdere tempo; due, ma contengono tutto l’imprescindibile. 1) Cura e tutela della Madre Terra; 2) Cura e tutela delle persone e di ogni altro essere vivente. Non c’è nulla di nuovo in questo pensiero; giustizia ambientale e giustizia sociale sono connesse e non possono essere realizzate se non insieme. Lo abbiamo imparato dal movimento altermondialista che a Seattle prima, a Genova poi, passando per il Forum Sociale. Mondiale di Porto Alegre fece sentire la sua voce e quella degli ultimi della terra.
Cosa sarebbe necessario? Alcuni esempi: ripensare e ricostruire un sistema economico e un’organizzazione del lavoro in una prospettiva di sostenibilità, di sicurezza e di salvaguardia dei territori e di chi li abita. Ridurre le fonti di inquinamento e di produzione bellica, riconvertendo le aziende alla produzione di energia buona ed alla risistemazione e manutenzione dei territori e dell’esistente. Riportare i servizi sanitario, scolastico, dei trasporti all’esclusiva gestione pubblica con investimenti appropriati che ne garantiscano l’accessibilità. Ricollocare al centro delle agende politiche locali, nazionali e sovranazionali il welfare e tutto ciò che riguarda i servizi alla persona.
Cosa servirebbe per appoggiare quel cambiamento, a livello personale e a livello sociale?
Come fare? A livello sociale, credo sarebbe necessario che ogni esperienza di buone pratiche, ogni comunità resistente, ogni movimento per la pace, per i diritti, per l’ambiente, ogni soggetto che si batte per la dignità e il rispetto sapesse costituirsi in una rete di intenti diffusa e larga, capace di accogliere nella diversità e priva di velleità personalistiche. Una rete capace di farsi sentire e di pesare nelle scelte politiche istituzionali. “Pensare globalmente, agire localmente” questo slogan che ha attraversato la mia città, Genova, nel luglio 2001, ha conservato tutta la sua forza per questo e, nonostante la strada appaia tutta in salita, cerco di portare avanti la mia vita come imparai allora: piccoli passi sostenibili, gesti accoglienti, pensieri condivisi, azioni resistenti.