Cara signora,
È audace da parte mia mimetizzare questa lettera tra i pacchetti di fazzoletti che le do ogni mattina in cambio della sua buona volontà. La fretta su cui si basa il nostro rapporto lo impone: il semaforo diventa rosso e lei ferma il veicolo, io alzo la mano, aspetto un cenno della testa, lei abbassa il finestrino, mi avvicino, facciamo lo scambio (voglio sottolineare qui che la sua generosità supera di gran lunga quella degli altri automobilisti), e quando cerco di iniziare una piccola conversazione, il maledetto semaforo diventa verde.
Mi chiamo Malick e sono nato in Senegal. Forse lei si ricorda il mio nome (un giorno gliel’ho gridato dopo un insolito sorriso da parte sua, mentre si allontanava pressata dagli altri automobilisti). Sì, Malick, il ragazzo nero al semaforo mentre va al lavoro; quello che offre sempre i suoi fazzoletti bianchi in cambio di un piccolo gesto. Forse l’uomo più nero che lei abbia mai visto in vita sua; probabilmente i fazzoletti più bianchi che troverà mai (io lavoro sempre con le migliori marche, a differenza di altri connazionali che risparmiano sui costi).
Esattamente un anno fa lei ha abbassato il finestrino per la prima volta e ha chiesto un pacchetto di fazzoletti. Come posso saperlo con tanta precisione? La tristezza nei suoi occhi ha alterato la mia routine e fissato la data. “Asciugherà le sue lacrime con i miei fazzoletti”, pensai quel giorno. Il fatto è che la vendita per strada attiva in noi che ci dedichiamo ad essa le molle necessarie per la sopravvivenza. Una di queste è la capacità di intravedere i bisogni che si nascondono dietro i volti di esseri sconosciuti. Quella mattina lei aveva bisogno di confortare la tristezza nella sua anima e io, goffo come sono, ho solo potuto offrirle dei fazzoletti per asciugare le sue lacrime.
È passato un anno da quella prima volta. È quasi un anniversario: da qui l’audacia di questa lettera.
Sappiamo poco l’uno dell’altro, nonostante il tempo che è passato. Come posso spiegarle in poche righe la nostalgia per la mia terra? Come posso trasmetterle i suoni che hanno accompagnato la mia infanzia, il rumore delle strade dove sono diventato uomo, il sussurro del vento nelle chiome dei baobab, i nostri alberi sacri del Senegal…? Riesce a capire lo strappo che noi, le anime erranti, sentiamo?
Forse può! Sembra che anche la sua anima a un certo punto sia stata spezzata (mi perdoni la mia indiscrezione, ma poco dopo quel giorno in cui ha richiesto per la prima volta i miei servizi, ho notato che aveva smesso di portare la fede nuziale all’anulare della mano destra).
La sua mano e la mia mano! L’unico contatto tra noi due. Pelle su pelle, nero su bianco! Perché l’ingorgo stradale rende difficile il nostro rapporto e noi lo compensiamo prolungando il contatto durante l’interscambio commerciale.
Una leggenda del mio paese racconta che gli Dei diedero agli uomini due luci per illuminare l’oscurità in cui vivevano. Una la chiamarono Sole, che illuminava il giorno, l’altra Luna, che illuminava la notte. Accadde che l’audace Sole osò contemplare la nudità degli Dei mentre facevano il bagno. Gli Dei lo punirono, e da quel giorno nessuno può più contemplare a lungo la sua bellezza (da qui il bruciore che sentiamo se alziamo gli occhi direttamente su di esso). Alla Luna, rispettosa della nudità degli dei, è stato concesso il dono di essere ammirata. La sua calda presenza ha ispirato il cuore degli innamorati fin dall’inizio dei tempi.
Lei è la Luna che io contemplo ogni mattina e che ricordo ogni notte! Io sono il Sole accecante che si riflette nello specchietto retrovisore della sua auto mentre si allontana! E così continuerà ad essere fino a quando i pregiudizi di questa società si imporranno sui nostri affetti.
Forse un giorno gli Dei revocheranno una punizione tanto ingiusta. Allora il Sole e la Luna si guarderanno l’un l’altro e vivranno nell’amore eterno. Io attendo, al mio semaforo, l’arrivo di quel giorno beato.
Malick
(Questo racconto ha ricevuto il 1° premio al 5° Concorso di Racconto de “La Città delle Mille Culture” organizzato da SOS Razzismo)
Traduzione dallo spagnolo di Thomas Schmid. Revisione: Anna Polo