Mi chiamo Jorida Dervishi e sono nata a Coriza, in Albania, nel 1991. Sono una figlia felice, ho una famiglia meravigliosa. Mi ritengo una persona socievole, semplice, una ragazza che non ha avuto mai paura di lottare e combattere per realizzare i suoi sogni. Cerco di sorridere e trovare il meglio di questo mondo in ogni angolo, anche se non è sempre facile. Ma soprattutto cerco di vivere ogni giorno osservando tutti i paesaggi che attraverso, godendomi la vita, riflettendo su ciò che ho e non dimenticando mai da dove sono partita.
Dopo la laurea in economia aziendale conseguita all’Università di Tirana, insieme alle mie compagne di studio avremmo voluto lanciare sul mercato un prodotto innovativo, che poi per mancanza di fondi e di esperienza è rimasto fermo. Io però continuavo a sognare nuovi spazi, nuove strade. Volevo diventare una donna di successo, forte e indipendente, per poi aiutare gli altri.
Nel 2014 sono arrivata a Milano per raggiungere il mio compagno. È stato difficile lasciare tutto, iniziare un nuovo percorso di vita, cercando di collegare “quell’io” rimasto in Albania con un altro che cercava di integrarsi in una lingua straniera, una cultura diversa, una mentalità nuova. Tante volte ho pensato di smettere, di tornare indietro, ma poi ho deciso di progettare una cosa mai fatta prima. Questa volta i protagonisti principali sarebbero stati due: la mia storia e quella delle persone come me.
Quando venivo in Italia come turista mi divertivo, sì, ma guardavo solo il panorama generale delle cose. Ora invece dovevo conoscere e guardare ogni centimetro delle strade. Quando sono partita immaginavo la mia vita in Italia come un proseguimento di quella in Albania e invece mi sbagliavo. In Italia ho dovuto iniziare tutto da capo. Vivere in un paese diverso dal tuo è un’esperienza difficile da spiegare a parole.
Comunque, passati i primi momenti di adattamento alla nuova realtà, a Milano mi sono trovata bene; ho sentito che era il posto giusto per portare avanti le idee che avevo in testa. Non avevo grandi ambizioni, volevo iniziare dalle piccole cose, perché credo che la vera felicità si trovi nelle persone incontrate lungo la strada. Ho iniziato questo percorso senza nulla in mano, ma con un sogno: volevo mettere in moto il mio progetto di vita e per questo dovevo migliorare il mio italiano. Lo parlavo e lo capivo, ma per realizzare questo progetto dovevo migliorare me stessa, per poi offrire agli altri ciò che potevo. I miei vicini mi hanno parlato dei corsi serali di italiano per stranieri. I centri si trovavano vicino a casa mia e così senza pensarci due volte ho deciso di andarci.
Frequentavo la scuola di sera, due volte alla settimana. Lì ho notato che tra gli studenti c’erano poche donne. Mi sono chiesta il motivo e così ho scoperto che la maggior parte di loro erano arabe e non potevano uscire di sera. Inoltre dovevano occuparsi dei figli e della casa. Volevo saperne di più, quella risposta non mi bastava.
Così ho deciso di aprire uno “spazio”, poi diventato una vera e propria scuola solo per donne migranti. Ci ritrovavamo tre volte alla settimana, di pomeriggio. Cercavo di “insegnare” l’italiano e allo stesso tempo imparavo meglio la lingua. È stata un’esperienza di condivisione reciproca, tra donne. Il primo giorno si sono presentate dieci donne, sette egiziane e tre marocchine. Poi sono arrivate moldave, ucraine e anche una cinese. Tutte insieme, nonostante le difficoltà di capirsi, abbiamo fatto scuola di italiano per due anni. Poter comunicare, essere comprese e comprendere gli altri nella lingua del paese dove si vive è fondamentale per l’integrazione delle donne e non solo. Insieme abbiamo creato un luogo dove ognuna di noi si sentiva accolta, accettata, ascoltata, sicura, ma soprattutto libera di esprimere i suoi pensieri. Una volta alla settimana mettevamo sul tavolo diversi argomenti della nostra vita quotidiana. Questa bellissima conversazione veniva accompagnata da un caffè e da buonissimi dolci fatti in casa. Uno spazio di condivisione di quello che ognuna poteva offrire. Riuscivo a percepire la loro soddisfazione mentre facevamo qualcosa di diverso.
Avevo paura di non saper gestire e organizzare una classe dove si insegnava italiano mente io ero appena arrivata in Italia. Ho iniziato a mettere insieme le cose in comune; noi eravamo tutte straniere, donne alla ricerca della libertà e della comprensione. Quello che ci divideva è diventato un’esperienza di insegnamento che ci ha fatto capire tante cose. Prima di tutto ci ha insegnato a rispettarci, ci ha fatto diventare una vera squadra. Non era importante chi metteva il velo e chi no, perché quando apri gli occhi e guardi più a fondo, capisci meglio la realtà e cresci. È molto importante non perdere la fiducia, non dimenticare da dove sei partita, la tua forza di motivazione, le tue origini.
Durante i nostri incontri, i migranti mi hanno confidato il loro vissuto. Mi hanno raccontato le loro storie e io le ho scritte. In quel momento ho capito che era importante condividere il loro messaggio. E così ho imparato che ogni storia vale, ogni storia è importante. Lo scopo principale è quello di apprezzare il valore dell’ascolto e della conoscenza. Conoscere fa passare la paura.
Da qui la decisione di pubblicare il libro “La mia storia è la tua storia” (destinando le copie alle scuole per migranti) condividendo riflessioni, testimonianze e un focus sulle reti migratorie. La prima presentazione l’ho fatta a Milano, poi ho continuato il viaggio a Reggio Emilia in collaborazione con l’associazione “Città Migrante “. Circa un anno fa, la mia storia e il mio progetto sono stati presentati a Brooklyn durante un’esibizione condotta da un’artista americana (https://storycorps.org/), con la quale ho collaborato in un progetto sull’immigrazione. Oggi collaboro con Migrantas, un’associazione con sede a Berlino e per il mio nuovo progetto presenterò storie di migranti della città tedesca.
Queste esperienze mi hanno insegnato la bellezza della diversità, ma soprattutto a superare la paura grazie alla conoscenza e all’ascolto reciproco. Ho sentito storie di vita sospese, centinaia di persone condannate ingiustamente a vivere tra bombe ed epidemie. Persone che hanno lottato contro le onde del mare, contro le malattie. Ho sentito storie di donne stuprate, ma pronte a prendere in mano le loro vite. Ho conosciuto anche persone isolate in carcere a causa di leggi assurde. Tutto ciò mi ha reso consapevole delle esigenze altrui. Oggi sono grata per quello che ho.
In questo periodo di alti e bassi, cercando un equilibrio nella vita mi sono chiesta cosa mi spinge a resistere. Non sono l’orgoglio e la rabbia e nemmeno la paura di scomparire, ma l’amore. Questo sentimento ti fa trovare qualcosa di bello anche nei momenti più faticosi, ti fa sorridere anche quando sembra di non avere più speranze, ti aiuta ad aspettare anche quando il vento d’inverno ti spacca la faccia. Perché tutto può passare se c’è qualcuno che spera e che ama la vita.