Da trent’anni l’uranio impoverito, modificato per rendere più micidiali i proiettili anticarro e i missili Cruise è stato impiegato dalla Nato nei suoi bombardamenti in Iraq, Bosnia, Jugoslavia. Il metallo pesante ha portato la guerra oltre la guerra. L’eredità mortale del suo impiego ha attraversato i fronti e la formale cessazione delle ostilità, ha colpito per decenni e (continua a colpire) indistintamente i civili – i «nemici» bombardati dei quali nessuno parla – e , vero «fuoco amico», gli stessi militari Nato in missione. In Italia, su queste responsabilità gravissime, i vertici militari e i ministri della Difesa che si sono succeduti hanno eretto un muro di gomma. Ma ora sono gli ufficiali dell’Esercito a denunciare la presenza di uranio impoverito nelle zone in cui i nostri soldati erano in missione di «pace».
Prima il generale in carica Roberto Vannacci, ex comandante della missione in Iraq, con un rapporto ha fatto aprire due indagini, alla Procura della Repubblica di Roma e alla Procura militare; poi l’ accusa è arrivata dal tenente colonnello Fabio Filomeni, operativo in tanti teatri di guerra (Iraq, Bosnia, Kosovo) e per 12 anni responsabile dei servizi prevenzione e protezione nelle missioni internazionali. Vannacci ha accusato «gravi e ripetute omissioni nella tutela della salute e della sicurezza del contingente militare italiano», denunciando che l’allora comandante del Comando operativo di vertice interforze e attuale capo di stato maggiore della Marina Militare, Giuseppe Cavo Dragone, avrebbe assicurato che in quelle aree ogni militare non veniva lasciato più di quattro mesi, mentre la permanenza effettiva sarebbe stata di 6-9 mesi.
Vincenzo Riccio, presidente dell’Associazione Nazionale Vittime dell’Uranio Impoverito (Anvui), è da anni impegnato in una difficile battaglia per la verità e la giustizia. Già primo maresciallo dell’Aeronautica Militare è stato posto in congedo nel 2011 per un carcinoma neuroendocrino contratto a causa dell’esposizione ad uranio impoverito nelle due missioni svolte in Iraq a Tallil (Nassiria) nel 2004 e nel 2006.
Come si è comportata l’Amministrazione all’atto del congedo?
Non mi è stata riconosciuta né la dipendenza da causa di servizio, né lo status di vittima del dovere come per la quasi totalità delle più di 7.500 vittime colpire da uranio impoverito. Sono stato praticamente buttato fuori senza troppi complimenti e successivamente abbandonato a me stesso. Il solo nominare la parola uranio nelle commissioni mediche militari provocava imbarazzo e tante volte mi sono sentito ripetere di lasciar perdere questa battaglia, perché mai si sarebbe riuscito a dimostrare il nesso tra le malattie che hanno colpito e colpiscono ancora i militari in questi ultimi 20 anni e l’esposizione all’uranio impoverito.
Per Domenico Leggiero, presidente dell’Osservatorio Militare sono 372 i soldati italiani deceduti a causa dell’uranio impoverito. Per nessuno di questi c’è stato un riconoscimento?
Il nostro consulente legale avv. Angelo Fiore Tartaglia è riuscito in questi anni ad ottenere 170 sentenze che condannano il Ministero della Difesa a risarcire, che provano indiscutibilmente il nesso tra esposizione e malattie, eppure nonostante questo il Ministero continua a negare e a presentare appelli che vengono regolarmente persi causando un ulteriore spreco di danaro ai danni della collettività.
Poi c’è stata anche la relazione finale della IV Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito che era presieduta da Gian Piero Scanu…
Si. L’on. Scanu, che oggi è presidente onorario della nostra associazione, ha svolto con encomiabile dedizione e serietà il suo compito, arrivando a scrivere nella sua relazione finale che le «sconvolgenti criticità» scoperte nel settore della sicurezza e della salute sul lavoro dei militari «in Italia e nelle missioni all’estero hanno contribuito a seminare morti e malattie». Ha inoltre elaborato una proposta di legge che avrebbe potuto rappresentare, se approvata, la prima concreta risposta dello stato alle vittime ed ai famigliari. Ma mentre la proposta di legge giace ancora in qualche cassetto di qualche commissione lui non fu inserito nelle liste del suo partito per le successive elezioni politiche.
In qualche modo l’uranio impoverito ha colpito anche lui. E il muro di gomma sta sempre lì…
È gravissimo che, in un paese che si dice democratico, un ministero cosi importante e delicato come quello della Difesa possa agire indisturbato senza indirizzo politico, infischiandosene di centinaia di sentenze di condanna, ignorando i risultati di una Commissione d’inchiesta Parlamentare, non dando spiegazioni riguardo le gravissime mancanze in tema di sicurezza sul posto di lavoro denunciate recentemente dal generale Vannacci e dal colonnello Filomeni. Ed è inquietante che l’attuale Ministro della Difesa non dica una parola riguardo le rivelazioni e le accuse gravissime mosse dai due alti ufficiali ai vertici delle FF.AA. negli esposti depositati presso la Procura della Repubblica di Roma e la procura Militare. Forse nel muro di omertà che per 20 anni ha impedito di fare luce sulla vicenda si stanno aprendo delle crepe importanti.
Articolo originale sul Manifesto del 14 Luglio 2020