Medici cubani, cinesi, rumeni, venezuelani e albanesi sono arrivati in Italia per aiutarci nella lotta contro l’epidemia da Coronavirus. Nelle stesse settimane Trump acquista in anticipo tutte le dosi di Remdesivir, il farmaco utile nelle fasi avanzate della malattia, che la Gilead produrrà nei prossimi tre mesi. Gli altri Paesi dovranno arrangiarsi. Centinaia di medici lanciano un appello, primo firmatario il farmacologo Silvio Garattini, perché i farmaci e i vaccini, che eventualmente verranno scoperti, siano posti a disposizione di tutta l’umanità superando i vincoli imposti dagli accordi TRIPs sulla proprietà intellettuale, stabiliti dal Wto, l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Contemporaneamente una quindicina di multinazionali sono impegnate in una gara senza esclusione di colpi, per arrivare per prime a produrre il vaccino; nessuna collaborazione, nessun progetto comune in grado di unire competenze e risorse.
Nel pieno dell’emergenza Covid si è resa manifesta a chiunque la contrapposizione tra due visioni del mondo e del futuro fra loro alternative, quella della globalizzazione neoliberista fondata sulla concorrenza, sull’ideologia della vita mea, mors tua, sulla ricerca del massimo profitto e un’altra, alternativa, che mette al centro l’universalità dei diritti e che affonda le sue radici nella storia dei movimenti del terzo millennio.
Sistemi valoriali differenti che hanno prodotto anche nella quotidianità azioni concrete e fra loro molto diverse. A Milano le brigate di solidarietà portavano cibo e strumenti di prima necessità agli anziani chiusi in casa nei quartieri popolari, mentre i laboratori privati, approfittando della latitanza della regione, offrivano tamponi a prezzi che superavano anche i 300 euro.
People before profit recitava lo striscione che apparve nel cielo di Seattle il 30 novembre 1999 mentre decine di migliaia di persone contestavano la riunione del Wto. Un movimento che elaborava proposte e progetti attraverso gli appuntamenti del Forum Sociale Mondiale nato nel gennaio del 2001 in Brasile a Porto Alegre e proseguito a Genova nel luglio 2001, al forum Europeo di Firenze nel 2002 ai Forum Mondiali di Mumbai, Nairobi, Tunisi, Montreal… negli anni seguenti.
Il pomeriggio del 16 luglio 2001 nella sessione di apertura del Forum Sociale di Genova, sotto lo striscione “Voi G8, noi 6 miliardi”, l’economista filippino Walden Bello spiegava: “La crisi è relativa al capitalismo e alla sua tendenza a trasformare ogni risorsa in un prodotto da vendere, un sistema antitetico all’interesse della biosfera. La crisi dei cambiamenti climatici si è acuita drasticamente e questa contrapposizione tra economia capitalista ed ecologia è risultata evidente quando gli Stati Uniti, curando solo il sistema produttivo interno, non hanno firmato il protocollo di Kyoto”.
Le sue parole, come tante altre pronunciate in quelle occasioni, restarono inascoltate. Susan George annunciava che se non si fosse fermata la finanziarizzazione dell’economia una crisi spaventosa avrebbe travolto l’Europa e non solo. Allora avevamo raccolto 150.000 firme per ottenere la “Tobin Tax”, una tassazione delle operazioni speculative finanziarie, ma tutti, economisti e politici, ci dicevano che eravamo fuori dal tempo, degli illusi.
Ma purtroppo la Storia ci ha dato ragione; negli ultimi vent’anni è stato un susseguirsi di disastri economici iniziati nel 2007-2008 con crisi finanziaria, recessione, fallimento di Lehman Brothers e di emergenze sanitarie principalmente conseguenti alla diffusione di differenti agenti patogeni che, anche in seguito all’impatto negativo dell’attuale modello di sviluppo (cambiamenti climatici, deforestazione, allevamenti intensivi ecc…) hanno compiuto un salto di specie arrivando ad infettare gli esseri umani: influenza suina nel 2009, l’influenza aviaria nel 2013, nel 2017 (H7N9) e ora il Covid-19.
Disastri che colpiscono l’insieme dell’umanità, ma a pagarne le conseguenze più serie sono i più deboli: perdita del lavoro per chi è precario o non è tutelato da efficaci politiche di welfare, maggior facilità ad infettarsi per chi vive in ambienti ristretti e affollati, impossibilità a curarsi per coloro che non possono usufruire di un servizio sanitario, tra gli esempi più clamorosi troviamo la strage che si sta consumando per il Coronavirus tra le popolazioni indigene dell’Amazzonia, o tra i poveri a New York o, per restare a casa nostra, tra gli anziani nelle Rsa.
La salute come bene comune universale, un sistema di sicurezza sociale inclusivo, la cancellazione degli accordi TRIPs erano al centro delle piattaforme rivendicative che discutevamo nei nostri Forum a Genova nel 2001, dove a fianco del giovane studente europeo c’era il lavoratore precario americano, il pescatore asiatico, l’abitante degli slum delle metropoli africane.
Siamo stati sconfitti, ma le nostre ragioni erano valide allora e oggi lo sono ancora di più. Dal 2001 ad oggi altri movimenti hanno occupato la scena e riproposto, in forma autonoma e aggiornata, la necessità di una radicale inversione di rotta: Occupy Wall Street, Non una di meno, Fridays For Future, Black Lives Matter, solo per citare i più conosciuti. Credo che sia importante realizzare tutte le convergenze possibili, lavorare insieme a livello locale e globale per elaborare e attuare proposte a favore dei diritti e della salute di tutte e tutti.
Nel 19esimo anniversario del G8 di Genova 2001 propongo, anche a tutte e tutti coloro che allora non considerarono serie e motivate le nostre proposte, di condividere oggi con noi la ricerca di strategie per sconfiggere gli interessi dei pochi che tengono in pugno i destini dell’umanità e imprimere alla nostra storia comune un reale cambiamento.
Ripubblicazione autorizzata dall’autore.