Vivo a Londra. Cosa dire, una città che ti offre tutto quello che vuoi e un po’ di più, basta poterselo permettere.
Malgrado il mio innamoramento per questa città che ormai dura da quasi 20 anni, mi rendo conto che ho bisogno di un cambiamento.
Valuto le opportunità che offre il mio lavoro e dopo una breve riflessione decido di trasferirmi in Senegal, a Dakar.
Il mio arrivo all’aeroporto di Senghor è a dir poco tumultuoso; appena metto il naso fuori dagli arrivi vengo quasi schiaffeggiata da un’ondata di caldo asfissiante. E’ quasi mezzanotte, ma il piazzale brulica di gente. Finalmente riesco a prendere un taxi, i miei bagagli riempiono ogni spazio dal bagagliaio e tutto l’abitacolo, non mi posso muovere perché ho le valigie anche sotto i piedi.
Benvenuta in Africa.
Riesco a sistemarmi dopo poche settimane in quella che sarà la mia casa per i prossimi tre anni.
Ammetto che l’impatto con la realtà africana è molto intenso. Tutto è talmente diverso da Londra, non si può assolutamente paragonare; questa sarà la ragione per cui mi adatterò a questa nuova avventura senza grossi sconvolgimenti.
Bisogna sapersi adeguare: regola numero uno, le prime volte che andavo a comprare il cibo rientravo sconsolata dopo aver trovato solamente una spugnetta per lavare i piatti.
Mi mancava l’incredibile scelta londinese di prodotti alimentari provenienti da ogni parte del mondo. Sarei morta di fame?
Poi improvvisamente cominci a capire come funzionano le cose, vai al mercato locale dove trovi solo prodotti di stagione, il pesce si compra in spiaggia da un pescatore appena approdato sul bagnasciuga. Insomma, realizzo che sicuramente non morirò di fame
Di un’altra cosa ti rendi subito conto: in Africa c’è sempre una soluzione per qualsiasi problema. Sembra incredibile, ma è così.
Inizio a lavorare all’aeroporto e mi rendo subito conto della quantità di giovani uomini, provenienti anche dai paesi limitrofi al Senegal, che cerca di lasciare il continente.
C’è un trend abbastanza evidente: si presentano in aeroporto con visto per paesi che cambiano ciclicamente. Visti rubati o ottenuti nei vari Consolati in maniera poco lecita.
Abbiamo avuto il periodo dei visti russi, con la gente che si presentava in aeroporto per andare a Mosca via Roma in pieno inverno indossando un vestito di 2 taglie più grande e un piccolo bagaglio a mano. Senza neanche immaginare il clima russo nel mese di febbraio, lasciamo stare l’idea della posizione geografica di Mosca. Di fatto la cosa che cercavano di fare era rimanere in Europa distruggendo i documenti e chiedendo asilo politico in Italia.
Ho cercato invano di farli ragionare: sapevo che non avrebbero avuta nessuna possibilità di varcare il controllo passaporti italiano e sarebbero stati rispediti indietro con il primo volo disponibile. Inutile, mi dicono che continueranno a provarci finché non troveranno una soluzione. Queste sono le loro parole, anche se ogni volta perdono tutti i soldi che le loro famiglie sono riuscite a racimolare per pagare il viaggio sperando di ottenere un mantenimento sicuro dall’Europa, quasi un vitalizio.
Una situazione veramente straziante; chi c’è dietro questa organizzazione, mi domando? Bisogna riuscire a corrompere molte persone per fare funzionare questo meccanismo diabolico.
Poi un giorno vengo contattata da un signore africano, non sono sicura della sua nazionalità; indossa il boubou abito tipico di questa parte dell’Africa.
Comincia a chiedermi informazioni; mi rendo subito conto che fa parte di un racket e si occupa di una parte della filiera di questa tratta di poveri esseri umani. Certo non ho le prove, l’unica cosa che posso fare è dirgli che il primo dei suoi passeggeri che non verrà accettato in Italia mi consentirà, per motivi di sicurezza, di rifiutare in un secondo momento tutti gli altri suoi passeggeri.
Non sembra affatto preoccupato della mia affermazione e così mi viene un dubbio: è venuto a verificare il mio eventuale interesse a far parte di questo sporco gioco? Da poco un Capo Scalo di un’altra compagnia europea e è stato indagato per questa ragione e naturalmente licenziato in tronco.
Nel suo caso non è mai successo: la sua organizzazione era impeccabile, nessuno dei suoi passeggeri è mai stato rifiutato
Ho ancora davanti agli occhi un aereo sul tarmac appena atterrato proveniente dalla Spagna pieno di persone rifiutate e rimpatriate in Senegal. Gente che si attaccava alle ruote dell’aeromobile cercando in una maniera disperata e inutile di non varcare la soglia dell’immigrazione senegalese e quindi rientrare in Africa.
Ho visto la disperazione e nello stesso tempo la speranza negli occhi di questi giovani africani. Non hanno un futuro nei loro paesi, ma cosa gli riserverà l’Europa? Solo sfruttamento, perdita delle radici e soprattutto perdita di loro stessi.