Dopo le risposte di Riccardo Noury, Laura Quagliolo, Giovanna Procacci, Giovanna Pagani, Guido Viale, e Andreas Formiconi, ora parliamo con Jorida Dervishi, attivista albanese in Italia da cinque anni e mezzo.
Ora che stiamo uscendo dall’emergenza Covid19 molti dicono: “Non vogliamo tornare alla normalità perché la normalità era il problema”. Questa dunque può essere una grande occasione di cambiamento.
Qual è secondo te la necessità di cambiamento più urgente in questo momento e cosa sei disposta a fare in quella direzione?
Tornare alla normalità se quella normalità esiste ancora… Il mondo si è rivoluzionato, è tornato indietro per alcuni aspetti ed è andato avanti in altri, cambiando per sempre la nostra quotidianità. E dunque siamo tutti in attesa di costruire un nuovo futuro.
Alcuni dicono: “Nessuno sarà come prima, saremo più forti”. Infatti siamo cambiati noi, è cambiato l’ambiente, sono cambiate le nostre abitudini, le nostre relazioni.
Personalmente penso che la prima necessità sarebbe quella di un cambiamento psicologico, mentale, cioè la comprensione interiore delle conseguenze che le nostre azioni possono avere. Non possiamo vivere nella paura del virus, dobbiamo far parte della soluzione e non essere il problema. Non dobbiamo pensare: “Il governo mi sta controllando”, ma ognuno di noi deve fare l’adulto che contribuisce alla società e insegnare soprattutto ai ragazzi a fare lo stesso. Servirebbe un intervento urgente nelle scuole, nelle università, nei centri di accoglienza, nei centri popolari; servirebbe dialogare con i giovani che crescono e si formano seguendo i nostri esempi. Le nostre abitudini devono adattarsi alle esigenze degli altri, sempre consapevoli che il mondo non gira solo intorno a noi, che non si tratta solo di me e del mio benessere personale.
Reagendo in questo modo, il mondo sarebbe un posto migliore.
1)Indossare una mascherina non ti rende debole, spaventato o nemmeno “controllato”; ti rende premuroso.
2)Il distanziamento fisico non va tradotto in un distanziamento sociale, ma significa comprendere e rispettare le misure per la nostra salute.
Cosa servirebbe per appoggiare quel cambiamento, a livello personale e a livello sociale?
Penso che la cosa fondamentale sia accettare la convivenza con il nuovo cambiamento. È inevitabile, anche se siamo portati a respingere la parte straniera, sconosciuta, ciò che è diverso da quello che avevamo prima.
Reinventarsi, investire questo tempo libero che abbiamo, creando spazi nuovi, anche virtualmente. Conoscere altre realtà/ fare una riflessione di gruppo, partendo dalle nostre famiglie, delle nostre comunità, dai nostri amici.
Sapete quante migliaia di persone vivono questa quarantena/ distanziamento sociale da una vita? E ancora oggi non sanno quando saranno libere, perché il loro isolamento non ha limiti, ma solo confini costruiti continuamente, anno dopo anno, generazione dopo generazione. Quindi io non mi annoio. Cosa faccio? Leggo, pulisco, cucino, ascolto la mia musica preferita, lavoro online, parlo con i miei amici, con la mia famiglia … È anche vero che a volte ho paura, ma poi faccio un respiro profondo, guardo attorno a me, sorrido e aspetto che tutto passi. Perché ho sentito storie di vite sospese, centinaia di migliaia di persone (uomini, donne, ragazzi) condannate ingiustamente a vivere tra bombe e altre epidemie, senza mangiare; persone che hanno lottato contro le onde del mare in cerca della libertà; ho sentito storie di donne stuprate, ma forti e degne di prendere in mano la loro vita. Ho conosciuto anche persone isolate in carcere da leggi assurde, per poi essere picchiate a morte dai poliziotti. In Libia per esempio…
Oggi a noi viene chiesto solo di seguire le regole. E doveva essere un virus a farci capire quanto siamo fortunati. Questo periodo ci ha reso consapevoli delle esigenze altrui, ma soprattutto ci ha ricordato quanto dobbiamo essere grati per quello che abbiamo. Oggi il tempo si è fermato, siamo così diversi ma così uguali. Riflettiamoci.
Chissà se d’ora in poi sarà sempre possibile vivere un po’ così, alla giornata. Prendere per buono quello che viene nella vita: mai guardare chi sta meglio, ma sempre chi se la passa peggio di noi.