Oggi in tutta Italia, da nord al sud alle isole, in città grandi e piccole, si manifesta contro il progetto criminale di Netanyahu, sostenuto da Trump, di depredare ulteriormente la Palestina annettendo a Israele una grossa parte dei Territori Palestinesi già illegalmente occupati.
La manifestazione lanciata dalla Comunità palestinese di Roma che grazie al paziente ed efficace lavoro diplomatico del suo presidente, il medico Yousef Salman, ha avuto l’adesione delle altre comunità palestinesi e di centinaia di associazioni attive nel campo dei diritti umani, non si limita a dire NO all’annessione, ma rivendica il diritto ad uno Stato palestinese indipendente e sovrano e su questo punto c’è un enorme ostacolo da superare.
Non è solo l’ostacolo posto da Netanyahu, indagato per frode ma ancora Primo ministro grazie alla sua promessa agli israeliani che MAI permetterà la nascita di uno stato palestinese. Quello è l’ostacolo pluriennale che la destra israeliana pone in modo sfacciato e che anche la cosiddetta sinistra ha sempre posto sebbene in modo più subdolo, basti pensare alla storica beffa chiamata “generosa offerta” del laburista Ehud Barak.
L’ostacolo alla creazione di uno Stato palestinese viene anche dall’interno del mondo “pro-pal” e da parte del mondo palestinese, ritenendo essi inaccettabile uno staterello sul 22% della Palestina storica e, comunque non possibile a causa delle colonie illegali piazzate ad hoc da Israele. Quella parte, insomma, che ritiene che l’unica soluzione sia un unico Stato con parità di diritti per tutti i suoi abitanti. Cioè, uno stato israeliano (a meno che non si ritenga che Israele possa essere eliminato, cosa che, per valutazioni politiche e rapporti di forza è assolutamente impensabile) al cui interno i palestinesi abbiano cittadinanza e trattamento uguale ai cittadini israeliani di religione ebraica.
Alla luce di quanto sopra, si deve riconoscere l’abilità del presidente della Comunità palestinese di Roma nell’essere riuscito ad ottenere non solo centinaia di adesioni, ma anche la sponsorizzazione della parola d’ordine “riconoscere lo Stato di Palestina” da parte di associazioni e singoli fino a ieri fieri oppositori della soluzione “due Stati”.
Le due posizioni, cioè quella dei due Stati e quella dello Stato unico, usano la stessa argomentazione per difendere la loro richiesta, e cioè: la forza dell’occupante e la realtà concreta dell’occupazione non permettono di fare altro. Tornerò dopo su questo punto ma intanto ci tengo a porre il focus su una cosa che mi sembra di straordinaria importanza e che va oltre la manifestazione italiana la quale, se riuscirà, sarà un’indicazione Politica con la P volutamente maiuscola, per le leadership palestinesi in quanto dimostra che si può lavorare insieme contro il nemico comune pur mantenendo critiche e differenziazioni non immobilizzanti che possano essere riportate a sintesi , unica possibilità di raggiungere la vittoria che, nel caso specifico, significa la fine dell’oppressione israeliana sul popolo palestinese.
Che l’annessione sia catalogabile ai sensi del Diritto internazionale come crimine contro l’umanità è fuori dubbio, e questo lo sanno anche gli israeliani meno fanatici, cioè quelli che oltre ai profeti biblici (mai tanto strumentalizzati) danno un’occhiatina anche al diritto dei “gentili”, cioè delle “genti comuni”!
Forse proprio questa consapevolezza, insieme alla paura che la situazione di stallo caratterizzata dallo stillicidio di vite palestinesi possa trasformarsi in situazione dinamica con ripresa di attentati (l’unica arma possibile per gli occupati) ha mosso un certo numero di personaggi israeliani ed ebrei internazionali, a porsi il problema e a stilare un documento in cui si chiede a Israele, cioè all’indagato Netanyahu, di bloccare il progetto di annessione. O almeno non realizzarlo tutto insieme ma step by step. Tecnica consolidata almeno dai tempi del micidiale inganno di Oslo.
Contro l’annessione hanno parlato anche gli Esperti ONU, quelli che non hanno alcun potere e che neanche fanno parte del personale ONU, sono solo delle brave persone, dei volontari che però, in un mondo fatto di medaglie e distintivi, traggono autorevolezza per l’opinione pubblica dalla loro denominazione di “Relatori speciali ONU”, un po’ come quelli che si firmano con antichi titoli ormai non più attivi, ma che danno prestigio. Hanno parlato ed hanno detto una cosa sacrosanta e cioè che seppure il Consiglio di Sicurezza emetterà una condanna, questa non servirà a niente se non sarà accompagnata da sanzioni.
Gli Esperti ONU non hanno stipendio e quindi non rischiano di perderlo, per cui la loro voce può essere limpida e veritiera, ma il Consiglio di Stato dell’ONU, data la sua composizione e il diritto di veto che il simpatico Trump opporrebbe come già sappiamo, non emanerà né condanne né tantomeno sanzioni.
Comunque l’opposizione all’annessione cresce. Cresce anche dentro Israele. Si sono schierati contro perfino ex capi del Mossad, dello Shin Bet ed ex generali dell’IDF. Cresce per motivi diversi, è ovvio e non si può credere che d’improvviso siano diventati tutti buoni e amanti della giustizia. Con qualche buona spinta sono scesi in campo anche gli autodefinitisi “adolescenti israeliani” che con bei cartelli scrivono no all’annessione e che intervistati rispondono che il prossimo anno saranno fieri soldati dell’IDF!
E’ sceso in campo anche il famoso scrittore Abraham Yehoshua, uno dei più convinti ispiratori del muro della vergogna e dell’apartheid. Anche lui improvvisamente dice no all’annessione. Chi c’è dietro? O cosa c’è dietro? Certo non è scesa la Pentecoste sul capo di tutta questa bella gente, ma c’è ragione di credere che ora l’annessione non si farà. Non subito. O non tutta insieme. E non solo perché non la vogliono i palestinesi, ma la loro voce improvvisamente conterà.
Netanyahu l’indagato, sognerà comunque la sua iniziale vittoria nel mettere in un cul de sac Abu Mazen, il presidente dell’Anp additato come corrotto, debole, vecchio e tutto il repertorio necessario a squalificarlo a prescindere dalle sue reali responsabilità. Il cul de sac è bello e pronto perché c’è la tagliola dei micidiali accordi di Oslo pronta a scattare. Abu Mazen ha messo nero su bianco una lunga serie di provvedimenti che prenderà in caso di annessione, e stavolta sembra fare sul serio, disconoscendo le basi capestro degli accordi. Ma la cosa non è facile.
Non è facile perché, come spiega benissimo la giornalista e scrittrice Ghada Karmi, la quale non è certo una fan di Abu Mazen ma invita in questo momento a sostenerlo, i pesi e contropesi degli accordi-capestro finiranno per mettergli contro quella grande parte della popolazione che dalla rottura degli accordi avrà, grazie alle ritorsioni israeliane, condizioni di vita ancora peggiori di oggi. Perché non va dimenticato che Israele gestisce i fondi palestinesi e, come già minacciato e alcune volte fatto, può congelarli.
Non avendo per ragioni editoriali, la possibilità di esaminare ogni punto di vista, ci limitiamo a prendere in esame un’ultima cosa: l’uso di una terminologia che inconsapevolmente favorisce gli abusi israeliani offuscandone non solo l’illegittimità ma anche l’illegalità.
La “hasbara”, cioè quel sistema comunicativo studiato alla perfezione e basato sulla persuasione occulta che inconsapevolmente promuove nell’opinione pubblica un atteggiamento di favore manipolando il lessico narrativo, è sempre molto attiva.
Nel caso specifico poniamo l’attenzione sulla dichiarazione della rappresentante dell’OLP Hanan Ashrawi. Nel definire il progetto di annessione della Valle del Giordano ha detto che Netanyahu, presentando la legge al parlamento per l’approvazione, avrebbe trasformato un’annessione de facto in annessione de jure. Il contesto in cui si esprimeva Hanan Ashrawi era preciso e si riferiva ad una legalità esclusivamente interna a Israele e quindi priva di legittimità ai sensi della legalità internazionale. Ma la sua definizione è stata ripresa e ripetuta da tanti attivisti nostrani con la conseguenza di divenire “annessione legale in quanto approvata per legge” e, quindi, de jure.
Su questo imbroglio lessicale Israele da oltre 70 anni riesce a manipolare l’opinione pubblica dando l’immagine di essere uno Stato democratico in quanto tutto viene compiuto in base alla legge, utilizzando il simulacro più logoro, eppure efficace, del concetto di democrazia.
Per spiegare l’inganno, da molti anni chi scrive ricorre ad una similitudine e sarà il caso di farlo ancora oggi. Se la legge in quanto tale è garanzia di legalità e pertanto va rispettata erga omnes che dire delle leggi razziali del 1938 in Italia? La Knesset quindi non è di per sé garanzia di legalità oltre gli interessi israeliani e il passato lo dimostra
Ma la hasbara sa bene, per intelligenza e cinismo di inimitabile portata, che dietro quell’involontario “de jure” si apre un primo varco, poco visibile o addirittura invisibile ai più, e poi il resto arriverà tramite altri intelligenti e subdoli passi. Esattamente come la tecnica dell’avamposto “illegale” che poi diventa insediamento stabile e legalizzato, ma in realtà, per il diritto internazionale e non quello domestico, è FUORILEGGE, illegale.
Ma Israele sa che basta mettere il fatto compiuto come irreversibile per andare avanti. Ecco il senso delle colonie.
E’ per questo che oggi le piazze d’Italia che vogliono davvero la giustizia, unica compagna che possa sostenere la pace, diranno NO all’annessione e si alle sanzioni a Israele e lo diranno coloro che con gradi diversi di simpatia si riconoscono nella vecchia Fatah e quelli che si riconoscono nel Fronte popolare. Lo diranno anche quelli che si riconoscono in Hamas (che ci piaccia o meno per il suo integralismo religioso, Hamas non è un’organizzazione terroristica ma di resistenza) e lo diranno anche quelli che hanno imparato a pappagallo a dire che l’Anp è corrotta (e sicuramente dopo tanti anni di occupazione la corruzione c’è, ma gli italiani sono i meno autorizzati a parlarne) e quelli che invece la sostengono.
Se fra poche ore le oltre venti piazze italiane, pur con i loro distinguo saranno piene, quest’esperimento unificante sarà riuscito. Poi si tratterà di ottenere le sanzioni secondo il diritto internazionale per impedire a Israele di commettere altri crimini e per liberare i Territori Occupati Palestinesi, almeno quelli, dall’occupazione, a partire dall’evacuazione (che non è impossibile e lo mostrò proprio Sharon) delle colonie in Cisgiordania. Volere lo Stato unico o volere due Stati al momento NON può essere elemento divisivo, pena la vittoria di Israele e la sicura annessione passo dopo passo dell’intera Cisgiordania occupata.