Se dici industria della Difesa non puoi non pensare al ministero della Difesa. Sono due entità compenetrate e strette saldamente da un patto simbiotico tutto governativo.
Governativa è infatti la nomina degli Amministratori delegati di Leonardo che oggi ha come presidente un generale dei servizi segreti e sempre governativa è la compagine dei titolari del dicastero competente (a cui bisogna aggiungere, per completezza, i titolari del ministero di Economia e Finanze e del ministero per lo Sviluppo economico).
Dallo scorso novembre, grazie a questo governo, entra e blinda la “partita di giro” pure il ministero degli Esteri che con la nuova norma “government to government” (G2G), è diventato formalmente l’agente di commercio dell’industria bellica nazionale.
Ministri ed amministratori delegati vanno e vengono ma l’importante è che tutti/e si facciano custodi ed interpreti, indipendentemente dal segno politico, del trasversale patto simbiotico in essere.
Meno in vista ma determinanti in questo blocco di potere sono i think tank istituzionali e le riviste di settore ossia autorevoli ricercatori, esperti e giornalisti impegnati ad orientare ed “informare” il personale politico e militare sulle strategie da seguire, le acquisizioni tecnologiche da percorrere, i teatri strategici su cui proiettarsi.
Alessandro Marrone, docente presso l’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze e analista dell’Istituto Affari Internazionali aveva indicato già lo scorso settembre la road map per il governo Conte bis appena insediato: “Le missioni internazionali non vanno considerate come un’ordinaria amministrazione che va avanti per inerzia. Sono piuttosto un pilastro della politica di difesa in ambito bilaterale e multilaterale, un moltiplicatore di influenza regionale (…) un pilastro del genere non si tiene in piedi solo con i fondi del decreto missioni approvato dal Parlamento, volti a coprire i costi operativi del dispiegamento in teatro. A monte, servono investimenti costanti e adeguati nello strumento militare e in particolare nelle capacità operative, sia nell’addestramento del personale, che nella manutenzione e ammodernamento degli equipaggiamenti per non ritrovarsi un parco macchine inutilizzabile…”.
Guerini sembra avere eseguito “responsabilmente” il copione abbozzato dall’autorevole analista. Nessun ripensamento è sopraggiunto alla luce della inedita crisi multidimensionale esplosa nel frattempo.
Missioni vecchie riconfermate e nuovi slanci “stabilizzatori” verso il Sahel, sommergibili, elicotteri, F35, programmi di ammodernamento per l’Esercito in “sofferenza”: non ci siamo fatti mancare niente, in questi mesi, per sostenere “il pilastro” ed il fatturato dell’industria di riferimento.
Lo stesso sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo chiude il circuito e taglia corto in un recente webinar organizzato da Rivista Italiana Difesa: “bisogna abbattere l’ipocrisia che circonda tale settore, asset strategico e fondamentale per la politica estera, l’economia, l’occupazione e la crescita tecnologica dell’Italia”.
Ipocrisia che abbatte prontamente Pietro Batacchi, direttore della rivista in questione: “L’Italia è uno dei principali fornitori di sicurezza del pianeta, lo dicono i numeri, e le Forze Armate sono da 20 anni ormai il più importante asset della sua politica estera. Chi sostiene che non riusciamo a capitalizzare quanto i nostri militari fanno in Afghanistan, Iraq, ecc., sbaglia. La nostra presenza militare in Iraq dopo il 2003 ha contributo ad aprirci il mercato della difesa americano, l’impegno in Unifil ci ha permesso di essere un punto di riferimento per tutti gli attori nel delicato teatro libanese, ma anche di rafforzare le relazioni politico-militari con Israele portandole ad un livello mai raggiunto in passato…”.
Stiano sereni quindi i contribuenti ma soprattutto soldati e soldatesse: la valanga di miliardi destinati alla Difesa, i morti e feriti sul campo, i 372 deceduti e le migliaia di ammalati di tumore per l’esposizione senza precauzioni all’uranio impoverito nel corso delle missioni Nato qualcuno li sta capitalizzando, naturalmente per il “bene supremo” del Paese.