E’ dagli anni settanta che la povertà negli Stati Uniti cresce inesorabilmente e viene al contempo nascosta e colpevolizzata anche giuridicamente. Ce lo dimostra, numeri alla mano, Elisabetta Grande nel suo “Guai ai poveri. La faccia triste dell’America (ed. Gruppo Abele): 105.303.000 persone (un terzo dell’intera popolazione) vivono nell’indigenza nel paese che ospita il 41% delle persone più ricche al mondo. E anche in questo caso le fiction non ci aiutano quando rappresentano il clochard come un maschio vecchio e alcolizzato. La parte più consistente della popolazione homeless è oggi costituita da intere famiglie mentre la categoria in maggior crescita (più 64% dal 2007) sono proprio i bambini: due milioni e mezzo, uno ogni trenta.
Ma la galleria degli orrori non si esaurisce con le cifre che la Grande ci mette a disposizione nel suo libro: pensiamo a come lo stesso accesso alle cure mediche sia ancora appannaggio esclusivo di chi ha un lavoro e un reddito sufficienti per accedere all’agognata assicurazione medica e di conseguenza come tale accesso sia negato proprio a chi ne avrebbe maggiore bisogno.
Usciamo allora dalle enormi e straripanti tendopoli di indigenti addossate alle grandi città e diamo uno sguardo a quella consistente parte di popolazione che un tetto ce l’ha, quello del carcere. Anche in questo caso gli Stati Uniti primeggiano ospitando nelle proprie galere il 25% dei detenuti globali.
Secondo i dati dell’International Centre for Prison Studies del King’s College di Londra, il numero dei prigionieri negli Stati Uniti ha raggiunto i 2,9 milioni: 751 detenuti ogni 100.000 abitanti, ossia quasi uno su cento. Anche in questo caso gli anni settanta fanno da spartiacque: allora la popolazione carceraria contava meno di 500.000 unità ed il suo aumento nei decenni successivi ha superato di quattro volte l’incremento della popolazione complessiva.
Quali potrebbero essere le cause di questo fenomeno che ha trasformato le carceri del paese più “ricco” del mondo in gironi infernali sovraffollati, con condizioni igieniche inadeguate, dove si consumano stupri e maltrattamenti di ogni genere?
La causa è sostanzialmente una, ed è la stessa che ha prodotto oltre 100 milioni di indigenti: neoliberismo e privatizzazione della società. Negli States infatti anche il sistema penitenziario, a partire proprio dagli anni Settanta, è stato completamente privatizzato, diventando un enorme business da miliardi di dollari in grado di influenzare la classe politica, ottenere leggi sempre più repressive e garantire così il maggior afflusso di “utenti” possibile.
Gli Stati Uniti sono anche il paese dove chiunque può acquistare fucili d’assalto e armi in gran quantità e dove il rischio di morire sparati (per omicidio, suicidio o incidente) è 25 volte superiore a quello della media delle nazioni OCSE ad alto reddito. Questo succede perché il relativo giro d’affari di decine di miliardi di dollari l’anno ha generato la potentissima lobby dei possessori d’armi da fuoco (National Rifle Association) di cui è quasi impossibile non tener conto se si vuole fare carriera politica.
A ben vedere tutto il sistema politico statunitense funziona così, con due partiti che prima gareggiano per spartirsi i copiosi e necessari finanziamenti delle potenti lobbies nazionali (petrolio, armamenti, assicurazioni, grandi banche) e poi, col denaro raccolto, si comprano le spettacolari e costosissime campagne elettorali a cui applaude e partecipa col voto meno della metà della popolazione. Questo pare essere, del resto, il trend globale…
Ma in questo senso la logora democrazia statunitense più che un faro appare da molto tempo come un miraggio e per decine di milioni di persone un vero e proprio incubo.