N.B.: Ciò che state per leggere potrebbe sorprendervi e scuotervi un po’, ma potrebbe anche lasciarvi del tutto indifferenti, in realtà. In ogni caso, le conclusioni che ne trarrete dipendono esclusivamente da voi. Scegliete quale pillola prendere.
Per chi è pensato questo articolo?
Questo articolo è pensato per tutti coloro che siano sinceramente interessati a capire davvero chi siano e quale sia la vera natura della realtà stessa. È stato scritto per chiunque sia aperto all’eventualità che un dato aspetto fondamentale della nostra cultura possa effettivamente trovare il proprio fondamento in un assunto di base incredibilmente incerto, sebbene finora lo si sia sempre considerato un dato di fatto. È rivolto a chi è pronto per qualcosa di nuovo.
Non credo che sia necessario essere particolarmente intelligenti per comprendere fino in fono quanto scritto. Tuttavia, anche una persona con un IQ altissimo non riuscirà a carpirne ogni segreto se la sua mente non sarà aperta alle possibilità che offre.
Note:
- Le parole “coscienza” e “consapevolezza” in questo articolo saranno utilizzate come sinonimi
- Buona parte di questo articolo è stata scritta con le canzoni dell’album dei Funkadelic “Free Your Mind… and Your Ass Will Follow” in sottofondo. Quindi allacciate le cinture.
Un’indagine interrotta
Da neonati, appena venuti al mondo, non siamo altro che esseri fatti di esperienze. Le differenziazioni cognitive tra questo e quello, qui e lì e me e gli altri non hanno ancora attecchito nella nostra mente. Tuttavia, con il passare delle settimane e dei mesi, iniziamo a intuire e ci scontriamo continuamente con le reazioni di ciò che ci circonda, in particolare – almeno all’inizio – con quelle dei nostri genitori o tutori. Guidati dalle necessità del momento, non soltanto cominciamo a ripetere quei comportamenti che ci permettono di soddisfare tali bisogni, ma cominciamo anche a distinguere tra ciò che sono io e ciò che è diverso da me.
Questo processo, tramite il quale si impara a distinguere sé stessi e il proprio corpo da ciò che non sono io e ciò che non è il mio corpo, va avanti almeno fino all’età di circa 4 anni per la maggior parte dei bambini. Una volta raggiunta quella fascia, tutte le distinzioni e le idee che abbiamo appreso su noi stessi e sul mondo sono del tutto formate, distinzioni e idee alla cui base vi è un concetto fondamentale: “Sono il mio corpo e tutto il resto è altro e separato da me”. Questo concetto funge da sottostato, da piattaforma su cui vengono costruite tutte le nostre nozioni sulla realtà.
Detto in altre parole, l’indagine si interrompe, all’età di 4 anni si avrà smesso di definire ciò che c’è dentro di noi e ciò che invece è al di fuori di noi. Avendo lasciato questo processo di avanscoperta a metà, quella conclusione a cui siamo arrivati prima di andare a scuola, ovvero il concetto del “Io sono il mio corpo”, finisce per fungere da fondamento per l’intera fase dell’adolescenza e per la crescita da adulti. Di conseguenza, tutte le nostre idee e i nostri sentimenti sulla realtà finiscono per essere influenzate da quell’assunto: “Quello che sono ha i medesimi limiti e il medesimo destino del mio corpo.”
La vita così come descritta da un bambino di 4 anni.
Oggettivamente, è importante riconoscere che il nostro corpo è diverso da altri corpi e altri oggetti. Si tratta infatti di un passo essenziale da un punto di vista pedagogico sul percorso da seguire per capire chi siamo davvero. È un concetto che ci aiuta a orientarci e a interagire con il mondo a un livello funzionale di base.
Il problema è che, senza neanche rendersene conto, si dà per scontato che questo primo passo sia anche l’ultimo nel processo di definizione di sé stessi. Piuttosto che proseguire con la nostra indagine ripartendo da quel punto, noi, come individui, come rappresentanti di una cultura e come specie abbiamo formulato le nostre definizioni della realtà che ci circonda prendendo le mosse da un assunto creato prima di andare all’asilo.
Il risultato tragicomico di questa conclusione prematura su noi stessi è che la nostra vita, nonostante tutti i miglioramenti fatti nell’ambito della manipolazione degli oggetti, finisce sostanzialmente per conformarsi con le limitazioni, le paure e i capricci di un bambino di 4 anni.
Che ne dite di fare retromarcia e ripartire da dove ci eravamo interrotti?
Che succederebbe se proseguissimo con quell’indagine su noi stessi che abbiamo interrotto prematuramente? Che succederebbe se ricominciassimo da dove ci eravamo interrotti a 4 anni e mettessimo in dubbio l’assunto “Io sono il mio corpo”?
È interessante notare che è questo il punto di partenza di molti dei rituali delle tradizioni spirituali odierne. Difatti questa indagine è un impegno tanto scientifico quanto spirituale.
Quando avevo 4 anni ho cominciato a dare per scontato che vi fosse un altro mondo indipendente, un mondo del tutto diverso da me. Presumevo la sua esistenza sulla base di quell’interpretazione che il me stesso bambino aveva dato delle informazioni ottenute tramite i sensi e la propria cultura.
Se avessi analizzato queste stesse informazioni in un secondo momento più da vicino e più attentamente, mi sarei accorto che, essenzialmente, tutto quello che conosco di questo altro mondo indipendente è il suo aspetto, il suo rumore, il sapore, il tatto e il suo odore.
Alla fine, mi sarei reso conto del fatto che queste esperienze sensoriali non avvengono lontano da ciò che sono. Mi sarei reso conto che queste cinque sensazioni, se esaminate senza preconcetti, in realtà sono del tutto parte di me.
Ora ho un dilemma
Ok, e ora? Devo continuare a presumere che questo altro mondo del tutto indipendente esista solo sulla base dell’unico stralcio di realtà che io abbia mai osservato direttamente – uno stralcio che altro non è che la mia consapevolezza?
Oh wow! Per tutto questo tempo ho pensato che esistesse un mondo del tutto indipendente e da me separato. Tuttavia, ora mi rendo conto che posso conoscere questo mondo presumibilmente del tutto indipendente e altro solo attraverso il filtro dei miei sensi, ovvero attraverso la mia interpretazione di “esso”, qualsiasi cosa esso sia, se esso esiste davvero.
In filosofia questa mossa è conosciuta come inferenza, ovvero una supposizione che non trova fondamento nella prova fornita da un’esperienza diretta. In questo caso sto deducendo l’esistenza di una categoria ontologica del tutto separata, di un reame del tutto indipendente (un mondo materiale indipendente) a cui, per definizione, non si può accedere per esperienza diretta. Uh-oh! Se continuassi ad agire così, continuerei ad affidarmi a un’idea, a una supposizione riguardante la realtà, piuttosto che puntare sulla mia esperienza diretta per farmi un’opinione della realtà.
Benissimo! È la mossa meno scientifica che si possa fare.
Invece, lasciatemi usare ancora la mia esperienza (e non la mia idea della stessa) per testare la realtà. Lasciatemi usare un approccio molto scientifico nel parlare di questo mio impegno, sebbene a un primo acchito non sia la cosa più logica da fare. D’altronde, qui si sta discutendo della mia definizione di ciò che sono essenzialmente! È roba importante! Non ho più 4 anni! Quest’indagine si merita tutto il rigore che posso raccogliere.
La fonte primaria di sofferenza umana
In ultima analisi, tutta la nostra sofferenza psicologica deriva dalla paura della solitudine e della morte. All’origine di questi timori c’è un nucleo, un’idea rimasta inesplorata, che funge da fonte primaria della nostra sofferenza: “Sono un’entità separata con una consapevolezza separata e isolata e condivido i limiti e il destino del mio corpo che, naturalmente, alla fine cesserà di esistere.”
Aha! Ora comincio a vedere il legame tra le mie più grandi paure e quell’idea di chi sono e la concezione a cui mi sono aggrappato di ciò che sono essenzialmente.
Sì, e ho appena scavato una fossa in quella concezione! Mi sono reso conto che per tutta la mia vita ho dato per scontato che fossi un essere limitato e finito. Ho dato per scontato il fatto di essere il frutto dei limiti del mio corpo e di essere confinato all’interno degli stessi. Mi sono appena reso conto che tutto quello che precedentemente pensavo fosse altro da me in realtà può essere solo il risultato di qualcosa che provo dentro di me, in quella consapevolezza di essere me. Mm?
Un momento! A questo punto sorge spontanea una domanda: se tutto ciò e tutti quelli che un tempo consideravo “altro rispetto a me” possono essere solo frutto di un’esperienza che faccio dentro di me, in quella consapevolezza che chiamo “io”, forse allora a essere limitati e separati sono solo i miei pensieri, le mie percezioni e sensazioni e non la mia conoscenza in sé?
La coscienza stessa potrebbe essere universale in ultima analisi? La coscienza potrebbe essere condivisa? Immaginate un mondo pieno di individui che, invece di credere che siamo tutti separati e finiti, sapessero che fondamentalmente condividiamo tutti il nostro essere.
No! No! No!
Ma le mie esperienze, i miei pensieri, le mie sensazioni e le mie percezioni sono private! Come potrei condividere la mia consapevolezza con altri se tutto quello che sperimentiamo viene provato in privato?
Inoltre, se quella consapevolezza che chiamo “io” corrisponde davvero a ciò che sono, allora cosa sono i miei pensieri, le mie sensazioni e le mie percezioni? Pensieri, sensazioni e percezioni vanno e vengono. Ma cosa mi dite della consapevolezza in sé? Posso essere certo che la coscienza venga e vada?
In realtà, io non ho mai provato la sensazione della coscienza che viene meno. Presumevo che essa scomparisse nelle notti prive di sogni e dopo la morte del corpo, ma non ho prove per avallare la mia teoria. Nessuno ne ha, pensandoci bene. Forse a scomparire durante le notti senza sogni e dopo la morte è la consapevolezza dei fenomeni, degli oggetti e non la consapevolezza in sé?
Ma allora cos’è il mio corpo, se non l’elemento fondamentale della mia esistenza? È il corpo ad apparire nella mia consapevolezza o viceversa?
Continuo a girare a vuoto, mi rendo conto che si intravedono delle crepe in quell’idea a cui mi sono aggrappato per così tanto tempo, concezione secondo cui io sono il corpo e che ne condivido i limiti e il destino. Sono piuttosto entusiasta di poterle intravedere, ma, sinceramente, mi spaventa anche un po’. È semplicemente troppo per me in troppo poco tempo. Sembra che la mia mente stia per scoppiare! L’origine della mia paura potrebbe essere ritrovata in una concezione del tutto sbagliata? La nostra cultura potrebbe essere del tutto sbagliata?
Beh, tutti quanti noi, tutti insieme, abbiamo preso diversi granchi in passato. Di fatti, quando individui come Isaac Netwon e Copernicus hanno reso pubbliche per la mia prima volta le loro teorie, si pensava che fossero “fuori come un balcone” e che gli mancasse il buon senso. Ora, a distanza di alcuni secoli, si crede che le idee “fuori dagli schemi” siano il pilastro del buon senso della società odierna! Mm?
Non credere a tutto ciò che hai letto finora
Forse vi identificate con quanto è stato scritto finora? Forse non sapete se potete condividere a pieno quanto letto, ma qualcosa di quello che avete letto sembra verosimile e ha stuzzicato la vostra curiosità? Forse invece vi sembrano solo stupidaggini? Magari avete interrotto la lettura già un paio di paragrafi fa e quindi non state nemmeno leggendo quello che affermo in questo paragrafo?
Presupponendo che non mi abbiate ancora abbandonato, mi piacerebbe darvi un suggerimento che siete liberi di prendere o lasciare: non credete a tutto quello che avete appena letto. In altre parole, se qualcosa di quanto avete appurato finora sembra reale, mettetelo alla prova sulla base delle vostre esperienze, prima di prenderlo per buono a prescindere.
Quanto ho sostenuto finora mette in dubbio delle concezioni ormai condivise da tempo da un punto di vista culturale. Alcuni potrebbero affermare che quanto ho scritto finora è pura blasfemia, altri che è ascientifico. Altri ancora potrebbero dire che non c’è nulla di nuovo e che __________ già lo aveva detto 2.500 anni fa.
Forse dovrei ammettere che i terzi hanno ragione, credo. Tuttavia, se mi venisse chiesto di rispondere alle altre due critiche, ovvero che la prospettiva qui presentata sarebbe in qualche maniera blasfema o ascientifica, affermerei, con rispetto e sicurezza, che quanto ho scritto finora è l’esatto opposto di una blasfemia e che, da un punto di vista scientifico, è tanto coerente da un punto di vista logico quanto ogni articolo che sia stato prodotto su questo tema, sia all’interno che all’esterno dell’ambito accademico.
Wow! Una replica con i controfiocchi! Forse. O forse no. Come già detto all’inizio di questo articolo, ho fiducia nel fatto che chiunque abbia un’intelligenza nella media e una mente aperta e che desideri (davvero) affidarsi alle proprie esperienze, piuttosto che alle idee che si è fatto sulle sue esperienze, avrà perlomeno imboccato la strada giusta per capire davvero quanto ho sostenuto finora.
Dovrei essere aperto a una nuova possibilità?
Guardatevi intorno.
Ho pensato seriamente di concludere questo articolo con le tre parole che avete appena letto. Tuttavia, ci ho ripensato e ho deciso che fosse necessario scrivere qualche riga in più.
Credo che l’ultima cosa che vorreste leggere a questo punto del nostro piccolo viaggio è un’altra lista dettagliata di modi in cui la nostra cultura umana sembri essere su una sorta di corsa verso la distruzione e l’estinzione, una corsia francamente confusa e mossa dall’avarizia. Quindi non ve ne fornirò una.
Quello che farò invece, cari lettori, è incoraggiarvi a mettere in dubbio i “dati di fatto” e il principio fondante della nostra cultura. Questo principio altro non è che la posizione metafisica universalmente accettata, posizione conosciuta con il nome di “materialismo”.
Cos’è il materialismo (o fisicalismo)
Il materialismo (o fisicalismo) afferma che la realtà è sempre riducibile alla materia, alla fisicità. In altre parole, il materialismo nega categoricamente la plausibilità di ogni possibile interpretazione della realtà che dia la priorità alla soggettività e non all’oggettività.
Tuttavia, se dessimo per buona questa idea, allora tutta questa presunta oggettività verrebbe osservata attraverso le lenti della soggettività di un dato soggetto. In altre parole, colui che fa dei proclami su ciò che ha sempre pensato fosse altro e indipendente da sé lo fa sulla base di informazioni raccolte soggettivamente.
Per metterla in un altro modo ancora, il materialismo pone l’esperienza vissuta in secondo piano rispetto alle congetture. Considera la rilevanza dell’esperienza vissuta secondaria rispetto alla rilevanza delle credenze sull’esperienza vissuta.
Non neghi la realtà negando le pretese del materialismo?
In realtà è il contrario. Il materialismo, che vi è stato venduto inconsapevolmente e che avete acquistato senza saperlo a soli quattro anni, vi ha sottomesso e ha sviato la vostra attenzione, facendovi credere che non siate altro che un oggetto, una cosa.
Quello che sto per dirvi potrebbe sorprendervi. Fateci caso: la maggior parte degli individui non si rende conto che il materialismo afferma, senza uno straccio di prova (o anche solo un pizzico di ironia), che tutta la vostra esperienza non è reale, che è una simulazione della realtà che ha luogo nella vostra testa.
Secondo il materialismo – il sistema di idee alla base della cultura globale – non avete mai abbracciato per davvero qualcuno, non avete mai visto il colore verde e non avete mai provato del cibo vero e proprio. I materialisti sostengono che le stelle che vediamo nel cielo di notte sono frutto di una riproduzione nella vostra mente di un qualcosa al di fuori di stessa che non avete mai realmente vissuto. Questo “qualcosa” altro da noi e indipendente da noi, che per i materialisti è esiste fuori dalla nostra mente, è simile a una serie di equazioni matematiche.
Non sto scherzando. Questo è esattamente quanto affermano i materialisti. Cliccate su uno qualsiasi dei loro TED Talk, se non mi credete, e vedrete. Questi “esperti” sono dell’avviso che tutto sia riducibile alla massa, alla carica, allo slancio e alla rotazione e che la vostra esperienza vissuta e consapevole è un fenomeno secondario non dimostrabile. Sì!
Sapete una cosa?
Se dovessimo osservare molto da vicino le nostre stesse idee, allora ci renderemmo conto che quanto questi “esperti” affermano è, che ci crediate o meno, abbastanza simile a quanto voi e io pensiamo, se non del tutto uguale.
Cosa?! Magari starete pensando “Assolutamente no! Non ci credo! Non ho mai detto qualcosa del genere! Beh, fratelli e sorelle, vi dico che quasi certamente siete dello stesso avviso e non sapete neanche ancora di crederlo. Ecco quanto ci hanno pregiudicato secoli di “trattamento” a cui siamo stati sottoposti.
Il materialismo è quell’acqua metafisica in cui nuotiamo sin da quando avevamo 4 anni e, poiché non abbiamo mai contemplato la possibilità che forse ci stiamo muovendo in qualcosa, non vediamo neanche questo liquido.
Analogamente, il materialismo ha seminato e lasciato crescere una lunga serie di tendenze problematiche, tra cui la più pericolosa è quella secondo cui l’accumulazione degli oggetti materiali, della “ricchezza” materiale sia la fonte della felicità. Tuttavia, come detto precedentemente, vi risparmierò una lista dettagliata.
L’infinito e l’eterno sono qui e ora
Da tempo feticizziamo, senza rendercene conto, l’infinito e l’eterno. Il nostro modello culturale della realtà materialista e riduzionista ci ha portato a frapporre una distanza tra noi e l’infinito e l’eterno. Il trattamento materialista ci ha convinto che l’infinito e l’eterno non siano sperimentabili, a eccezione forse di un paio di santi o di un paio di momenti sfuggenti durante un’enorme esperienza psichedelica allucinogena.
La verità è proprio il contrario. L’infinito non è nello spazio e l’eterno non è nel tempo e vengono vissuti continuamente.
Per quanto concerne il tempo e l’adesso, beh, non ci sono molti “ora” diversi. L’ora non può essere scomposto in diverse sezioni. Non viviamo il tempo così come pensiamo normalmente di farlo.
Cercate di lasciare l’ora ed entrare in un reame chiamato passato o futuro. Provateci davvero. Vi renderete conto, se vi concentrerete sulla vostra esperienza invece che su i vostri pensieri e idee sulla stessa, che non avete vissuto in prima persona nulla che non sia l’adesso. Anche il ricordo, che consideriamo una prova dell’esistenza di un passato, appare sempre nel presente. Riprovateci diverse volte e vedrete che i ricordi sono una dimostrazione dell’ora e non del passato.
Similmente, “qui” non si riferisce a un a un posto nello spazio. Non è localizzabile. Quando si dice “Io sono qui”, affermazione del tutto giusta, non ci si riferisce davvero a un luogo nello spazio. Questa è una delle pillole più difficili da mandare giù perché siamo stati pesantemente condizionati a credere che “io” sia localizzabile da qualche parte nel nostro corpo, generalmente nella mente.
Se si dovesse indagare con attenzione, se si dovesse incorporare e combinare veramente quanto si è discusso fino a ora con una valutazione molto sincera delle esperienze davvero vissute, vi renderete chiaramente conto che “qui” in fondo non è localizzabile.
Tutto ciò indica il fatto che si sia finiti per confondere sé stessi con un oggetto finito e che, a un’analisi più attenta, non siamo assolutamente solo cose, tanto che ogni prova del nostro vissuto sembra suggerire la nostra eternità e la nostra infinitezza.
Sento di dovervi una scusa
Mi rendo conto che quanto ho appena affermato potrebbe sembrare agli antipodi rispetto a ciò che è reale per alcuni di voi. Vorrei solo dire che ho la sensazione di dovervi una scusa. Generalmente non liberiamo mai la mente una volta raggiunta una certa età e ciò potrebbe rappresentare un pericolo. La mente difficilmente riesce a lasciare andare via qualcosa. L’ho visto già in passato e mi dispiace. Ho fatto quel che ho fatto perché dovevo farlo.
Capite? Nessun problema vero?
Non fraintendetemi
Non fraintendetemi. Concetti come quelli della materialità, del tempo e dello spazio etc. hanno ovviamente un valore enorme. Sono strumenti utili che hanno permesso alle specie umane di fare rapidamente dei passi in avanti che nessun’altra è stata in grado di replicare, per quanto ne sappiamo. Negarlo sarebbe assurdo. Tuttavia, quando questi concetti vengono confusi con le basi della realtà stessa, beh, finiamo esattamente a quel punto a cui siamo giunti attualmente nel nostro sviluppo, ovvero sostanzialmente un po’ nei casini. Ho avuto la sensazione che fosse importante includere questo paragrafo in modo tale da chiarire completamente che questo articolo non sta suggerendo che il mondano e l’eterno siano agli antipodi.
Esisto perché esisti e viceversa (Imagine a World…)
Ora che sono stati esaminati gli assunti piuttosto vacillanti che sottintendono il modello dominante che rappresenta la realtà della nostra cultura, mi piacerebbe offrirvi, molto brevemente, un altro possibile standard. Si tratta di uno standard che è maggiormente in linea con il nostro vissuto e che non dipende dalle nostre idee o dai nostri assunti.
Invece di provare disperatamente, con ogni possibile acrobazia metafisica, di dimostrare l’esistenza di una sostanza del tutto indipendente chiamata materia che è, per definizione, totalmente inaccessibile tramite l’esperienza diretta, perché non rimanere aperti perlomeno alla possibilità che la realtà sia una sola, e non due o più.
In altre parole, perché non accarezzare la possibilità che voi e io e tutti e tutto alla fine condividiamo la stessa esistenza? Dopo tutto, ora siamo stati capaci di vedere ciò che si nasconde dietro le teorie appannaggio del contrario, teorie che presentano non pochi difetti.
Che cosa ne direste se quella consapevolezza che chiamo “io”, alla fine, non sia altro che la stessa infinita consapevolezza a cui anche voi vi riferite come “io”? E se a sottintendere i nostri pensieri e le nostre sensazioni e percezioni private fosse universale e condiviso? E se questa coscienza universale e condivisa fosse, in ultima analisi, la sostanza di cui è fatto tutto ciò che apparentemente è altro e finito?
Non si è mai riusciti a trovare neanche uno straccio di prova che possa contraddire questa possibilità. Perché non essere pronti ad accettarla? Difatti, più seriamente si prende in considerazione questa possibilità (la possibilità che la coscienza sia universale e condivisa), più ci si renderà conto di quanto sia assurdo e a-scientifico il fatto che gli “esperti” continuino a screditarla.
Ripetiamo quanto ho detto precedentemente: immaginate un mondo ricco di individui che, invece di vedersi come esseri finiti e altri, sappiano che, fondamentalmente, condividiamo tutti lo stesso essere. Immaginate cosa si proverebbe se noi essere umani fossimo legati l’uno all’altro dal punto di vista suggerito dal filosofo e scrittore argentino Silo in una delle sue storie brevi di fantasia? “Esisto perché voi esistete e viceversa”. Che mondo potremmo costruire insieme, con questa idea a fungere da linea guida di base?
La libertà è libera dal bisogno di essere liberi
“La libertà è libera dal bisogno di essere liberi”, ha detto la banda Funkadelic 50 anni fa, nel 1970.
In fondo, ciò che questo articolo sta suggerendo è che noi, in realtà, siamo già liberi. Afferma che, in ultima analisi, tutto quello che ci sta impedendo di sfruttare ed esprimere sia individualmente che collettivamente il nostro potenziale, un potenziale nascosto all’interno della nostra considerazione, è quel condizionamento che ci accompagna da sempre e il nostro insistere istintivamente sull’idea di essere altri e finiti.
La nostra cultura, che al momento si avvicina pericolosamente all’estinzione a velocità supersonica, è stata costruita su una concezione materialista della realtà. Non si può negare che l’attuale modello culturale per rappresentare la realtà abbia fruttato dei miglioramenti tecnologici miracolosi. Tuttavia, a cosa potrebbero servire questi passi in avanti se annichilissimo la nostra specie?
Non è necessario rinunciare alle tecnologie, assolutamente no! Sarebbe come fare di tutta l’erba un fascio. Abbiamo bisogno di ripercorrere a ritroso i nostri passi e riconsiderare il modo in cui ci siamo definiti e come questa definizione corrisponda a ciò a cui diamo più valore come cultura globale. Senza rendercene conto, abbiamo forgiato il modo in cui ci relazioniamo l’uno con l’altro e con l’ambiente sulla base di una concezione di realtà piuttosto traballante. Magari è arrivato il momento di contemplare un nuovo modello di realtà?
“Puoi spingerti fino al punto a cui la tua ambizione più importante ti permette di spingerti. Si scende al livello più basso dell’idea di sé stessi. Liberate la vostra mente e il vostro corpo vi seguirà.” Funkadelic, tratto dal singolo “Good Thoughts, Bad Thoughts”.
Il ritmo è la nostra sola guida
Detto tutto ciò, non credo che saranno delle teorie a modificare davvero il paradigma culturale. I saggi di questo tipo forniscono una finestra dalla quale tutti possano osservare il mondo, così da notare come vi sia un nuovo terreno da oltrepassare. Tuttavia, l’impulso di esplorare e magari occupare questo nuovo terreno dovrà arrivare da qualche altra parte, credo. Arriverà da immagini e movimenti meno razionali. Noi, gli esseri umani, dovremo trovare un modo per sciogliere questa matassa. Dovremo imparare a danzare l’uno con l’altro, letteralmente e figurativamente.
“Con il ritmo come nostra unica guida, dovremo muoverci tutti… Abbiamo la possibilità di uscire da qui, di lasciarci questi limiti indietro a passi di danza.” George Clinton, Funkadelic.
Mark Lesseraux è un cantante/cantautore/filosofo di Brooklyn, New York, USA. È un umanista, un sostenitore e praticare della non violenza e uno studente della non-dualità. La foto che accompagna questo articolo raffigura la modella/attrice/attivista Marcia McBroom, fondatrice della fondazione For Our Children’s Sake.
Traduzione dall’inglese di Emanuele Tranchetti