Conseguenze del blocco dovuto alla pandemia in Cisgiordania
Asil Qraini ha 23 anni. È cresciuta e vive nella città di Nablus, in Cisgiordania, in territorio palestinese. Il gruppo di Pressenza, nell’ambito di una missione più ampia in Cisgiordania, ha incontrato Asil durante una visita alla Al Najah University. Ancora una volta, Asil ha accettato di essere intervistata per informarci su come lei e la società in cui vive stiano affrontando la pandemia. È stata intervistata da Christina.
A che punto è l’innalzamento delle restrizioni in Cisgiordania dovuto al Covid-19? In che modo la sua vita quotidiana, i suoi studi, il suo lavoro, i suoi viaggi, ecc. sono stati influenzati da queste restrizioni aggiuntive?
Abbiamo avuto a che fare con un aumento delle restrizioni sia da parte degli israeliani che dell’AP (l’Autorità palestinese n.d.T.) a causa della diffusione del virus. L’AP ci ha tenuto in lock down completo per quasi 3 mesi, sono rimaste aperte solo le panetterie e le farmacie. Le regole del coprifuoco sono cambiate in quei mesi. Non era permesso viaggiare tra le città e interi quartieri all’interno della stessa città sono stati tagliati fuori attraverso pesanti controlli di sicurezza e posti di blocco. Coloro che non rispettavano queste restrizioni venivano multati e le loro auto venivano confiscate. Fino a poco tempo fa non avevamo mezzi di trasporto pubblico; i taxi privati potevano circolare, ma con a bordo solo 2 passeggeri della stessa famiglia. Quest’ultima è stata una delle nostre maggiori sfide, perché io e la mia famiglia viviamo in una zona periferica e remota della città, e non possediamo un’auto.
Prima della chiusura lavoravo come traduttrice e interprete freelance, ora sono disoccupata da mesi. La mia famiglia, come molte altre, ce la fa a malapena. Mia sorella e io siamo le uniche fonti di guadagno e anche lei, un ingegnere dei software, è stata colpita. Il suo stipendio è stato dimezzato ma considero che comunque siamo fortunate ad avere una fonte di reddito stabile.
La mia quotidianità ne ha risentito molto, perché ho lasciato casa solo per piccole passeggiate nei dintorni e rari tragitti per fare la spesa. Non ho visto amici o familiari per settimane…
Secondo l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità), ci sono stati circa 602 casi confermati e 5 decessi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza; ognuno di essi è una perdita importante, tuttavia, secondo lei, cosa ha aiutato queste zone a evitare una massiccia quantità di casi di coronavirus?
Forse sì, la chiusura ha aiutato un po’, ma per come la vedo io, ha causato più danni che benefici.
Ogni persona e ogni paese del mondo ha un’esperienza diversa per quanto riguarda il lock down e la minaccia del Covid-19. Non tutti hanno avuto il privilegio di potersi godere la situazione a casa, di potersi permettere una pausa, o di stare in un ambiente sicuro, ecc. In base alla sua esperienza, come l’ha vissuta la gente in Cisgiordania? Ci sono differenze evidenti tra le tre aree della Cisgiordania: l’area A, l’area B e l’area C, che hanno ciascuna una forma amministrativa diversa? Dobbiamo presumere che ogni area sia stata sottoposta a diverse restrizioni/ politiche o misure di protezione?
Quasi tutte le aree hanno seguito le stesse misure, per quanto ne so. Ma sin dall’inizio, i villaggi e i campi profughi sono stati tagliati fuori dalle città e alcuni quartieri all’interno della stessa città sono stati separati da varie aree di controllo. Questa situazione nel complesso è stata tutt’altro che una “pausa” per la maggior parte dei palestinesi, me compresa, e posso dire che le cose non torneranno forse mai più alla normalità! Nonostante le restrizioni siano state tutte eliminate, gli animi della gente si sono spenti: tensione, ansia e paura riempiono l’aria. Il tasso di disoccupazione è salito alle stelle e l’incertezza incombe su tutti noi.
Il Covid-19 ha causato cambiamenti nella politica di Israele in Palestina? Pensa che il Covid-19, sia stato usato come un’ulteriore minaccia per il popolo palestinese?
Penso che sia stato usato come scusa per porre più restrizioni al movimento, alle industrie, all’agricoltura e praticamente a tutti gli aspetti della vita. Senza dimenticare che Israele ha distrutto sul nascere un ospedale da campo d’emergenza che era stato creato per combattere il Covid-19.
Ci sono movimenti/iniziative palestinesi e/o israeliani di rilievo che hanno cercato di rimanere attivi e di rispondere alle esigenze del Covid-19? In che modo i giovani cercano di superare le sfide attuali?
Un marchio palestinese chiamato “BabyFist” ha raccolto fondi e realizzato maschere da donare alle ONG di Gaza. Anche un altro stilista palestinese, Yazan Zeit, dona maschere in tessuto prodotte nel suo atelier.
Si può dire che ci siano stati risultati positivi da tutta questa situazione?
Onestamente, essendo una realista, sebbene non pessimista, non riesco a pensare a nessun risultato positivo…
Traduzione dall’inglese di Ivana Baldioli