“Dal 2012, i beneficiari del DACA si sono iscritti a università, iniziato carriere, messo su aziende, comprato case e si sono anche sposati e hanno avuto figli, tutto questo basato sull’esistenza del programma DACA”. Così il presidente della Corte Suprema americana John Roberts, scrivendo per la maggioranza (voto 5 a 4), che ha impedito all’amministrazione di Donald Trump di eliminare il programma che ha beneficiato i “dreamers”, giovani portati in America dai loro genitori senza autorizzazione legale. Si tratta di individui cresciuti negli Usa che a tutti gli effetti sono cittadini americani eccetto per i documenti. Il DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals), ordine esecutivo di Barack Obama del 2012, ha offerto protezione a questi individui, offrendo loro un permesso di soggiorno temporaneo, rinnovabile ogni due anni. In sintesi, si tratta di una “green card”, il cartellino verde di residenza legale negli Usa, anche se non permanente né valido come porta aperta alla cittadinanza.
Facile pensare che quando Roberts ha scritto le sue parole pensava sicuramente a uno di questi giovani adesso adulto, uno degli avvocati che ha difeso il programma DACA nelle deliberazioni della Corte Suprema. Luis Cortes Romero, infatti, un membro della squadra di avvocati che è riuscita a salvare il programma, è proprio uno di questi beneficiari. Nato in Messico, Cortes Romero è stato portato dai suoi genitori negli Usa senza autorizzazione legale quando aveva solo un anno. Dopo tanti sacrifici è riuscito a laurearsi in giurisprudenza alla University of Idaho dove studiava senza residenza legale e nessuna speranza di potere esercitare la sua futura professione. Poi nel secondo dei tre anni di studi emerse il DACA, fece domanda e riuscì a rientrarvi, ottenendo la residenza legale temporanea. Dopo la laurea ha iniziato a esercitare la sua professione e ha persino avuto l’onore e l’onere di difendere individui nella sua stessa situazione. Cortes ha dichiarato a Democracy Now, la rete progressista televisiva americana, di essere sicuro che le storie di tanti giovani come lui hanno avuto un impatto nella decisione di Roberts e di consegnare una seria sconfitta a Trump.
Non si tratta di una sconfitta totale poiché il 45esimo presidente potrebbe riprovarci anche se ovviamente richiederebbe tempo. Roberts nella sua decisione ha detto che i legali di Trump non hanno specificato una ragione legalmente valida per la revoca dell’ordine esecutivo di Obama. Inevitabile la tipica reazione di Trump che ha caratterizzato questa sentenza ed altre di “fucilate verso coloro che sono repubblicani”. L’attuale inquilino della Casa Bianca era decisamente deluso specialmente perché dei nove giudici della Corte Suprema cinque pendono a destra, essendo stati nominati da presidenti repubblicani. Il “traditore” in questo caso è stato Roberts, nominato da George W. Bush nel 2005, il quale secondo Cortes, ha usato la logica giuridica ma anche le sue emozioni per prendere la decisione.
Roberts non è stato l’unico ad usare argomentazioni extralegali. La giudice Sonia Sotomayor, la quale ha votato con la maggioranza, ha però dissentito in un aspetto che tocca direttamente la politica. Sotomayor sottolinea che Trump ha espresso malanimo verso gli ispanici che la maggioranza non ha incluso nella decisione. Cita specificamente alcune frasi arcinote di Trump politico e presidente che caratterizzano gli ispanici come “criminali”, “spacciatori” e “stupratori”. Sotomayor sa benissimo che dal punto di vista legale questi suoi punti hanno solo valore storico per sottolineare i comportamenti politici dell’attuale presidente.
Anche Clarence Thomas e Brett Kavanaugh, due dei quattro giudici che hanno votato per Trump, hanno dissentito, nascondendosi principalmente in una giungla di argomentazioni legalistiche comprensibili solo agli specialisti. Thomas però si tradisce quando riconosce che la legge conferisce al ministro della Giustizia il potere di proteggere dalla deportazione alcuni stranieri per ragioni “umanitarie”. Quindi non ignora la tragica situazione dei “dreamers” i quali se respinti potrebbero ritrovarsi nel Paese natale che conoscono a malapena poiché sono cresciuti negli Stati Uniti. Poi però Thomas si rifugia in argomentazioni giuridiche asserendo che l’ordine esecutivo di Obama ha creato una nuova classe di immigrati concedendo loro benefici non supportati dalla legge.
Roberts controbatte però citando gli aspetti umanitari e pratici asserendo che l’amministrazione di Trump non ha considerato gli effetti della rescissione del decreto di Obama. Cita specificamente il fatto che i beneficiari del DACA hanno negli otto anni del programma creato famiglie e 200mila bambini nati in America i quali sono cittadini americani a tutti gli effetti. Aggiunge anche il valore pratico dei contributi dei “dreamers” poiché hanno generato più di 215 miliardi di dollari in attività economiche e in dieci anni daranno 60 miliardi alle casse del tesoro in contributi fiscali. I “dreamers”, dopotutto, sono giovani e il 90 percento di loro ha un lavoro e quindi contribuisce notevolmente di più grazie allo status di residenti legali conferitogli dal DACA.
I giudici della Corte Suprema devono essere obiettivi e basare le loro decisioni sulla legge. Sono però esseri umani oltre a essere “animali politici” poiché nominati da inquilini della Casa Bianca. La sentenza sul Daca ce lo dimostra. Roberts però, da presidente della Corte Suprema, si preoccupa anche della reputazione del gruppo da lui condotto. Gli attacchi dei politici ai magistrati, specialmente quelli di Trump, da candidato ma anche da presidente, hanno eroso in parte la credibilità della Corte Suprema. Nel 2016 il 48 percento degli americani approvava l’operato della Corte Suprema. Adesso la cifra è salita al 58 % tornando dunque in positivo. Inoltre un recente sondaggio ci dice che il 64 % crede che la Corte Suprema usi la legge per stabilire le sue sentenze. Si vedrà fra breve se Roberts continuerà a fare da ago della bilancia con altri importantissimi casi attualmente in considerazione come l’aborto e il rilascio delle informazioni sul reddito di Trump.