“Tutti gli americani sono sconvolti per la morte brutale di George Floyd, alla cui famiglia il mio governo promette giustizia”. Così Donald Trump riconosceva la tragica fine del cittadino afro-americano a Minneapolis. Il 45esimo presidente ha però subito continuato commentando la violenza di alcuni manifestanti dicendo che “le vittime principali sono i cittadini” e che lui farà di tutto “per proteggerli”. Le sue azioni successive ci rivelano che si trattava di parole vuote perché invece di agire da leader e unificare il paese ha subito approfittato della nuova crisi per la sua campagna politica, creando scontri e nemici da sconfiggere.
L’ennesima morte di un afro-americano causato da abusi di poliziotti bianchi ha scatenato manifestazioni che abbiamo visto in precedenza. La stragrande maggioranza sono pacifiche ma emergono anche gesti violenti di una piccola minoranza che cerca di approfittarne per scopi personali, sminuendo il messaggio pacifico espresso dalle folle. Trump ha reagito come spesso fa, identificando i nemici per annientarli con la forza. Parlando con i governatori americani l’attuale inquilino della Casa Bianca ha consigliato a tutti di usare la mano dura contro i manifestanti dicendo che devono “dominare invece di perdere tempo” poiché in caso contrario “verranno sopraffatti”. Bisogna, ha continuato Trump, “arrestare i trasgressori, processarli e metterli in carcere per molto tempo”. Se i governatori non riusciranno a mantenere la pace Trump ha minacciato che se ne incaricherà lui mobilitando le forze armate.
Le proteste nelle maggiori città americane hanno incluso Washington D.C. e hanno anche avuto un impatto sulla sicurezza di Trump. Per un’ora il 45esimo presidente, la moglie Melania e il figlio Barron, sono stati costretti a rifugiarsi nel bunker sotterraneo della Casa Bianca su consiglio dei servizi di sicurezza. Non sarà stato piacevole per Trump e ovviamente ha reagito per dare l’impressione di essere in comando e libero di fare quello che vuole. Trump è uscito dalla Casa Bianca a piedi dirigendosi alla vicinissima Saint John Episcopal Church, la cosiddetta “chiesa dei presidenti”, oltrepassando le urla della folla. Le forze dell’ordine sono state costrette a lanciare lacrimogeni e proiettili di gomma per aprire il varco al presidente. Davanti alla chiesa Trump si è fatto fotografare alzando un braccio, tenendo in mano la Bibbia. Al suo lato erano presenti anche il ministro della Difesa Mark Esper e il Chairman of the Joint Chiefs of Staff (Capo delle Forze Armate), ricordando il potere militare del presidente. Uno spot elettorale per dimostrare ai suoi sostenitori religiosi evangelici che è sempre con loro e che userà i militari per mantenere l’ordine. Il vescovo della Chiesa, però, la reverendo Marianne Budd, ha più tardi espresso la sua indignazione per non avere ricevuto un preavviso della visita e soprattutto per l’uso inappropriato del luogo sacro da parte di Trump. In un’intervista alla Pbs (Public Broadcasting Service) Budd ha detto che tutti sono benvenuti alla Chiesa per pregare. Trump, invece, secondo Budd, ha usato la Chiesa per i suoi scopi politici e per promuovere l’incitamento alla violenza invece di calmare le acque. “Tutto ciò che ha fatto è stato per infiammare la violenza” invece di essere guida “morale del Paese”, continuando a “dividerci”, ha aggiunto la reverendo.
Il vescovo Budd ha in effetti suggerito a Trump di agire a beneficio di tutti gli americani invece di concentrarsi su ciò che gli potrebbe produrre frutti elettorali. Da presidente, il magnate di New York ha continuato la sua politica di creare nemici per poi sconfiggerli. Senza accettare responsabilità, Trump ha, per esempio, cercato di incolpare altri per la pandemia che ha causato la morte di più di 110mila americani. Nella crisi attuale scatenata dall’uccisione di Floyd, il 45esimo presidente ha seguito la stessa strada, minacciando a destra e manca. L’attuale inquilino della Casa Bianca si è dichiarato “the law and order president” (il presidente della legge e dell’ordine) per reiterare la sua strategia con cui mettere fine alle manifestazioni che hanno anche causato danni alla proprietà privata. Ha minacciato di invocare “The Insurrection Act”, legge del 1807, che gli permetterebbe di usare le forze armate per stabilire la pace. Si tratta di un annuncio che richiama non solo la campagna elettorale di Richard Nixon ma anche le misure fascistoidi spesso usate in Paesi autoritari.
Ma siamo negli Stati Uniti e nonostante il fatto che le forze armate obbediscano Trump come comandante in capo, il ministro della Difesa Esper ha preso le distanze sull’uso delle forze militari nell’interno del Paese. Esper ha dichiarato dal Pentagono che non supporta l’invocazione dell’Insurrection Act nella situazione attuale.
Trump non l’avrà presa bene e non sorprenderebbe se Esper dovesse essere licenziato nell’immediato futuro come spesso avviene con collaboratori che non appoggiano la sua linea estremista. Le manifestazioni del caso di George Floyd hanno inevitabilmente occupato i media i quali hanno quasi dimenticato la pandemia del Covid-19 che ha causato quasi 2 milioni di contagi e la morte a più di 110mila americani. Ha messo anche da parte il fatto che 40 milioni di posti di lavoro si sono persi nelle ultime settimane. La parte più pericolosa però è il fatto che Trump non ha detto né fatto nulla per calmare gli animi e preparare una strategia per le ingiustizie razziali che continuano a dominare la società statunitense. Gli americani se ne sono accorti e si sono dichiarati solidali ai manifestanti (64 % solidali, 27 % no), secondo un sondaggio della Reuters/Ipsos. Lo stesso sondaggio ci informa che solo il 39 % approva la condotta di Trump sui manifestanti e il 55 % disapprova. Ci informa inoltre che Joe Biden ha un margine di 10 punti su Trump per le presidenziali di novembre (47 a 37 %). La strategia di Trump di concentrare i suoi sforzi sulla sua rielezione non sembra promettente. Ciononostante il 45esimo presidente è incapace di usare il dialogo invece del conflitto, per il bene del suo futuro politico, ma soprattutto per il bene del paese.