L’Italia è una Repubblica perché il 2 giugno 1946 il popolo sovrano ha scelto democraticamente con un referendum questa forma dello stato (la proposta alternativa, cioè la Monarchia, fu sconfitta). Questa scelta è diventata irreversibile. Infatti l’art. 139, l’ultimo articolo della Carta Costituzionale, stabilisce che “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”.
La parola Repubblica proviene dal latino “res pubblica”, “cosa pubblica”, cioè di tutti. Quindi, non è soltanto un’antitesi di Monarchia, ma un modo diverso di pensare e di agire, una particolare visione delle relazioni tra le persone e le istituzioni. Repubblica significa non delegare tutta la responsabilità a un capo, ma aver scelto che la cura del bene comune ricada su tutti e su ciascuno.
Per i Costituenti non si tratta soltanto di un riconoscimento formale, ma di un impegno concreto, che deve manifestarsi nella quotidianità. Questa impostazione “comunitaria” si capisce bene leggendo l’art. 3, comma 2: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
La nostra Repubblica è democratica. La parola “democrazia” è composta dalle parole greche demos (popolo) e cratos (potere): perciò significa “governo del popolo”. Ma come può un popolo governare ed esercitare il proprio potere? Con quali strumenti, metodi, regole, istituzioni? L’aggettivo “democratica” può significare molto, ma anche molto poco.
È il caso di ricordare che Hitler è andato al potere attraverso un’elezione democratica e che circa 2.000 anni fa la folla preferì, in una sorta di primarie, Barabba a Gesù. Ciò che è “democratico” non è detto che sia “giusto”. E soprattutto non è vero il detto che “la maggioranza ha sempre ragione”.
Anzi, Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte Costituzionale, nel suo saggio “Imparare la democrazia” sostiene che «l’essenza della politica democratica sta di solito non nella maggioranza, ma nelle minoranze che fanno loro il motto “non seguire la maggioranza nel compiere il male” e tengono così fede alla coerenza con sé medesime».
Dato che esiste sempre il rischio che ogni esercizio del potere si trasformi in un abuso di potere, la Costituzione ha previsto che persino il potere originario, quello della sovranità popolare, si possa esprimere soltanto “nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1).
La democrazia ad esempio non può negare sé stessa, magari chiudendo il parlamento o delegittimando il potere giudiziario. La Costituzione preserva le condizioni perché la democrazia possa continuare ad esprimersi, salvaguardando anzitutto le minoranze e gli ultimi.
Bisogna fare attenzione a non confondere la democrazia con il solo suffragio universale, cioè con l’esercizio del voto. Quest’ultimo è solo un momento (per quanto importante) dell’esercizio della sovranità. La democrazia è anzitutto divisione dei poteri e partecipazione attiva dei cittadini. Ridurre tutto alla scheda elettorale o referendaria è una banalizzazione della democrazia.
Democrazia significa anche rispetto delle Istituzioni della Repubblica, che rappresentano il potere del popolo (il Parlamento, il Presidente della Repubblica, la Magistratura, ecc.). In altre parole, l’Italia è una Repubblica democratica, ma soltanto dentro i limiti costituzionali.
La Costituzione resta la prima e l’ultima parola, cioè la premessa e la cornice sia della Repubblica che della Democrazia. Perché è il Patto che stabilisce le regole fondamentali della convivenza, che tutti devono rispettare e difendere. Infatti, il primo comma dell’art. 54 della Costituzione stabilisce che “tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi”.
Rocco Artifoni e Filippo Pizzolato*
*autori del libro “L’ABC della Costituzione”, Edizioni Gruppo Aeper