È di qualche giorno fa la relazione della Corte dei Conti dell’Unione Europea che rileva ciò che i movimenti contro le grandi opere inutili dichiarano da decenni: i conti non tornano, quasi tutte le infrastrutture internazionali visionate – tra cui la linea Torino Lione, ma anche la ben più impegnativa nuova linea del Brennero – non garantivano i ritorni economici promessi. Non solo, anche i millantati vantaggi ecologici di queste ferrovie richiedevano parecchi decenni per avere un bilancio positivo nella riduzione della CO2, sempre, beninteso, che le previsioni di traffico ostentate dai costruttori fossero corrette.
Qualcosa non ha funzionato nel così rigido sistema di controllo dell’informazione gestito dai media in mano ai costruttori. Deve essere stata una bella doccia fredda per un personaggio come l’architetto Mario Virano che, il giorno precedente all’uscita della relazione della Corte europea, se ne era uscito sull’Huffigton Post con una intervista in cui ripeteva il mantra confindustriale della burocrazia che blocca i progetti più dei no tav! Una pugnalata alla schiena del direttore di Telt (la società che dovrebbe realizzare la TO-Lione) quella relazione fatta di grafici e numerini che sfatavano le immense promesse delle grandi infrastrutture dall’utilità sempre smentita dai fatti. Una smentita indiretta anche alle grida del settore più parassitario degli imprenditori italiani che si scagliano contro burocrazia e il timido e vituperato Codice degli Appalti; questi non bloccano un bel nulla: è la pessima progettazione, in lotta con le leggi della fisica e del buon senso, che garantiscono il disastroso fallimento di tante opere italiane e il ben lucroso aumento dei costi. I tanti fallimenti svelerebbero il vero volto dell’italico capitalismo, se solo i principali media volessero provare a fare il loro lavoro.
Ma viviamo di leggende e della peggiore ideologia fatta di chiacchiere il cui significato rimane in una nuvola di indeterminatezza che non consente nemmeno smentite: come si può controbattere a frasi che non hanno senso? Una di queste frasi dal potente effetto, ma che nascondono il vuoto, è quella sulle bocche di tanti politici: “le grandi opere sono strategiche”. Il vocabolario Treccani definisce “strategico”: Che è accortamente diretto al raggiungimento di un determinato scopo. Il problema dei grandi strateghi è che non nominano mai lo scopo cui dovrebbero rispondere le nuove infrastrutture; il vero scopo, mai nominato, si chiama profitto.
In questo filone di retorica, destinata solo a trovare capitali pubblici da trasformare magicamente in profitti privati, c’è il grande panegirico della linea AV da Torino Napoli. In effetti ridurre i tempi di percorrenza tra le 6 città attraversate dai treni veloci è un bel vantaggio per gli abitanti di queste che se ne possono permettere le tariffe; gli altri, i bassi salari, potranno usare Flixbus per i loro spostamenti, o la loro auto! Già, ecco un primo effetto di questo modello di alta velocità: la crescita incredibile del trasporto su gomma, proprio il contrario di quello che i sostenitori della “strategicità” del TAV hanno millantato per decenni.
In questi giorni gli osservatori dell’alta velocità si saranno accorti di alcune polemiche che interessano un paio di regioni: in Emilia la proposta di fare una nuova stazione sulla linea AV in corrispondenza della fiera di Parma ha scatenato una nuova guerra – per ora solo a parole – con i vicini di Reggio Emilia che hanno già la loro stazione AV, bianca come una scatola di cioccolatini.
In Ciociaria, in una zona dove i servizi pubblici sono garantiti da linee ferroviarie vergognose, è apparsa l’idea di una stazione sempre sulla linea AV, come quella emiliana. Le zuffe – verbali – tra i politici di Cassino, Frosinone, Anagni, Palestrina rallegrano i giornali locali in un vortice di analisi e ipotesi, una più “strategica” dell’altra.
Qualcuno si ricorderà anche della polemica innescata dall’idea dell’assessore ai trasporti della Regione Toscana, Vincenzo Ceccarelli, di fare una stazione “medio Etruria” sulla linea direttissima per Roma. Si scatenò una bagarre per dove posizionare questo nuovo scatolone: vicino ad Arezzo? O Chiusi? O Castiglion Fiorentino? L’ultima ipotesi era di porla in mezzo ai girasoli della Val di Chiana. Per fortuna la Confindustria aretina, per una volta non coinvolta nel business, fece notare che ad Arezzo e Chiusi ci sono già le stazioni proprio in mezzo alle città e ci sono anche dei veloci raccordi per far uscire i treni dalla linea veloce, farli fermare e poi inviarli di nuovo sui binari della direttissima.
Questi esempi oltre che parlare del folclore e della meschinità di tanta politica italiana, confermano una cosa che a suo tempo i movimenti critici con il progetto dissero chiaramente: in Italia, il paese dalle cento città, si è costruita un’infrastruttura che serve soltanto sei città, dimenticando tutte le altre. Basta pensare alla Pianura Padana dove la nuova linea veloce ha ignorato completamente uno dei territori più densamente abitati e con importantissimi insediamenti industriali.
La necessità di collegare i territori attraversati e non serviti dalle nuove ferrovie dimostra in maniera evidentissima che il modello scelto è profondamente sbagliato per il nostro paese; si doveva provvedere a velocizzazioni delle linee, a quadruplicamenti dove necessario, ma soprattutto si doveva creare una rete ferroviaria, non una metropolitana per le borghesie delle principali città.
La sbornia ideologica dei sì TAV si sta manifestando ancora in questi giorni, con toni davvero surreali, sia in Ciociaria che in Toscana. Nella regione a sud di Roma, dal 14 giugno, si è deciso finalmente di utilizzare un raccordo ferroviario, che collega la linea AV con la linea storica, per far fermare un treno a Cassino e Frosinone; una scelta semplice che si poteva adottare da subito. Le paginate di dichiarazioni dei politici di quella zona sembravano annunciare l’arrivo di un nuovo messia, si prometteva finalmente lo sviluppo miracoloso di quella zona, si diceva che adesso anche la rendita e i prezzi degli immobili sarebbero stati valorizzati (sic), il sindaco di Frosinone ha detto commosso che la fermata di questo treno è “importante come avere un nuovo svicolo autostradale”. Commozione poco condivisibile, viste le condizioni del trasporto dei pendolari in quella zona cui quella fermata non porterà alcun beneficio.
Nella nostra Toscana, invece, la magnificazione del treno veloce sulla linea tirrenica ha avuto effetti cantati ovviamente come meravigliosi dal candidato Eugenio Giani, ma ha fatto infuriare i pendolari della Maremma che si sono visti soltanto sostituire le “frecce bianche” con nuove “frecce rosse”, con gli stessi tempi di percorrenza, ma con costi ben più salati. Ecco che anche una scelta che poteva essere intelligente (utilizzare le linee esistenti al meglio) si è trasformata in una potenziale fregatura condita però di tanta retorica “strategica”.
Quando si deciderà di fare una seria pianificazione partecipata dei trasporti, queste vicende odierne verranno accuratamente dimenticate.