Jacques François Anatole Thibault, grande letterato e scrittore francese, nonché Premio Nobel per la letteratura, considerava lo Stato come il corpo umano e sosteneva che non tutte le azioni compiute dal medesimo fossero nobili. Tale assunto calza perfettamente con il pensiero dei genitori di Giulio Regeni torturato e assassinato in Egitto all’inizio del 2016. Dopo quattro lunghissimi anni, ormai stanchi e avviliti, ricevono un’ulteriore “mazzata” dalla vendita all’Egitto di due fregate italiane, approvata dal governo in carica. “Lo Stato italiano ci ha tradito. Siamo stati traditi dal fuoco amico, non dall’Egitto”. Come non comprendere il loro stato d’animo? Proviamo solo per pochi minuti a metterci nei loro panni. L’Italia ha dato il via libera, quattro giorni fa, alla vendita di due fregate all’Egitto. Si tratta di due navi della Marina Militare Italiana, le ultime due delle dieci ordinate, per un valore stimato di circa 1,2 miliardi di euro.
L’affare fa parte di una commessa ancora più ampia per un valore totale di circa dodici miliardi di euro. Forse è giuridicamente, politicamente, ed economicamente corretto fare affari con un regime che ha coperto gli assassini di un ragazzo di ventotto anni. Esiste tuttavia una morale ed esistono due genitori che attendono giustizia. Come diceva il grande Sandro Pertini: “Non esiste una moralità pubblica e una moralità privata. La moralità è una sola e vale per tutte le manifestazioni della vita. E chi approfitta della politica per guadagnare poltrone o prebende non è un politico. È un affarista, un disonesto”. “Qualsiasi opinione della famiglia merita rispetto” ma lo meritano “anche gli sforzi del governo italiano che sono stati sempre incessanti per chiedere in ogni occasione possibile l’accertamento della verità nei confronti dell’Egitto”. Così il premier Giuseppe Conte. Eh no, troppo comodo.
La morale ci dice quello che dobbiamo fare. E proprio secondo questo principio che mi sono chiesto, ma Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio e Luigi Di Maio, Ministro degli Esteri, avranno trovato due minuti per chiamare i genitori di Giulio Regeni? Se non l’hanno fatto, il loro è un silenzio colpevole perché il senso d’umanità comincia a sgretolarsi quando diventiamo silenziosi sulle cose che contano. Ecco, noi non siamo silenziosi e chiediamo e gridiamo a squarciagola due parole: “giustizia” e “verità”, com’è stampato sul manifesto giallo dove Giulio Regeni sorride.