Gli echi della protesta americana che afferma che “Black Lives Matter” (le vite dei neri contano) si sta diffondendo anche in Italia: giovedì scorso si è tenuta a Torino un’assemblea pubblica a Porta Palazzo.
Leggo su “Specchio dei tempi” (La Stampa):
«Ho letto con interesse le dichiarazioni del Sindaco riportate sotto il titolo “Corsa al Nord”. E ora che si cominci a considerare con estrema serietà il problema degli immigrati, sopra tutto di quelli che vengono all’avventura dal sud: giovani senza mestiere attratti dalla speranza di trovar qui l’Eldorado, intere famiglie che mancano di ogni mezzo di sussistenza. Come ha detto giustamente il Sindaco, Torino non è in grado di accogliere ogni mese migliaia di senza lavoro.
E vero che il tenore di vita della nostra popolazione è migliore di quello degli abitanti delle zone depresse del Sud e che la concentrazione di importanti complessi industriali crea più numerose occasioni di lavoro. Ma Torino è ormai al massimo della saturazione sia rispetto alla disponibilità di abitazioni sia rispetto alla capacità di assorbire nuova manodopera. Che la crisi edilizia sia ancor lontana dall’essere risolta lo dimostrano le masse di persone ammucchiate nelle varie “casermette”, lo prova il triste spettacolo del villaggio di baracche in corso Polonia. A Torino si lavora; ma molti sono ancora i disoccupati. Quanto sia diffìcile anche per i giovani trovare un posto, lo sanno i genitori, che dopo aver fatto sacrifici per dare a un figlio un mestiere, una specializzazione, un titolo di studio non riescono a fargli aprire la porta di un ufficio o di una fabbrica.
Bisogna che le autorità centrali prendano a cuore il problema della “corsa al nord” e scoraggino in maniera efficace e persuasiva, dal tentar l’avventura»
L’aspetto curioso è che del 1956: oggi gli argomenti, dopo 64 anni, sono gli stessi. Qualunque italiano auto-compiaciuto nella mediocrità del suo “buon senso” scriverebbe, tronfio, le stesse banalità.
Come banale e patetica è stata a Torino la discussione sulla statua imbrattata dai dimostranti sabato scorso, quando gruppi neofascisti e neonazisti continuano costantemente ad imbrattare con segni che sono stati simboli di distruzione, torture, sofferenze, morte, luoghi della memoria istituiti proprio affinché tutto ciò che quei simboli rappresentano non si ripeta mai più.
Inoltre c’è una risposta facile a queste stentoree critiche: le persone, quando stanno bene, non scendono in piazza a dimostrare. Se queste persone avessero uno standard minimo di vita e, non ultimi, dei diritti, andrebbero al parco con i bambini.
Giovedì scorso si è svolta a Porta Palazzo un’assemblea pubblica dal titolo: “ASSEMBLEA PUBBLICA SULLE RIVOLTE NEGLI USA E SUL RAZZISMO“.
A seguito di quest’assemblea il Prinz Eugen (realtà sociale torinese) ha pubblicato un comunicato che, sebbene graffiante, solleva molte questioni sulle quali un “movimento” a mio parere dovrebbe riflettere.
Il pericolo è quello di, schierati dalla parte opposta, scadere nel populismo più becero, nella peggiore guerra tra poveri. Il pericolo è quello di inimicarsi tutto l’ambiente dell’accoglienza, che è l’unico, o quasi, attualmente sensibile a questi temi.
Molti problemi economici, di fragilità sociale, non sono esclusiva degli immigrati e di coloro che vengono discriminati in base all’etnia.
Molti italiani hanno, oggi più che mai, difficoltà economiche.
I diritti devono quindi valere per tutti, non ci dev’essere distinzione né in un senso né in un altro.
Quindi se un eventuale movimento dovesse nascere, non dovrà certo avere dei “capi popolo” in cerca di rivalsa e visibilità personale, ma di persone con una solida base politica e un sé allargato.
Il singolo “si salva” se si “salvano” tutti, non viceversa. Questo è anche quello che a mio parere dovrebbero tenere ben presente Amnesty International e UNHCR, quando sembrano buttarsi con “molta foga” su campagne mediatiche (remunerative in termini di consenso?) a favore di singoli.
Ecco perché non è un problema di colore di pelle, ma di diritti negati e questo è ciò che va combattuto: la negazione dei diritti e la povertà.
Tutti coloro che subiscono sulla propria pelle gli effetti dell’aumentare della povertà e la conseguente privazione dei diritti dovrebbero coalizzarsi affinché tutto questo termini.
Di seguito alcuni brani salienti del comunicato del Prinz:
“Quando si confondono i piani, mutuando discorsi sulle libertà in termini di soli bisogni, questi sono i risultati. Si esprime il cuore, la pancia, per i più beceri, ma non vi è politica, ma una specie di catarsi collettiva.”
“Ed il problema non è non dare un aiuto a chi sta subendo le peggiori ingiustizie (che sarebbe altrettanto sbagliato). Quanto aver chiaro il percorso, quello che va oltre.
Quello che apre la diga ed unisce i discorsi di tutti, In tutto il pianeta.
Quello che riconosce nella devastazione ambientale, nel predominio di specie, nella afflizione di homo su homo, un unico responsabile.”
“Il razzismo contro cui si battono in USA è razzismo organizzato, strutturale, dello STATO.
In Europa e soprattutto in Italia, viene declinato, non avendo ancora generazioni sedimentate che vivono qui, tra una accoglienza basata sui criteri di sofferenza dimostrabili (ed i cui livelli di valutazione sono sempre più alti.) e non sul diritto alla circolazione. Per poi estendersi fino alle carcerazioni etniche dei CPR.
Da lì, dalla difficoltà sociale, dall’inasprimento delle condizioni di vita, dalla voluta ed organizzata “guerra tra poveri”, prende forza il razzismo ignorante di chi pensa che solo perché sei extracomunitario non paghi il biglietto del tram, prende slancio la violenza del livore di chi ti scarica addosso tutte le frustrazioni. Si trasforma in violenza della polizia che fa sì che se un extracomunitario (se poi arabo o nero, meglio ancora) viene picchiato: la violenza intanto non era così violenta (si, una frase pronunciata anche in ambienti diversi)“.
“Ehi Bro! (fratello nd.r.) occhio, se pensi che solo i neri vengano lasciati a dormire in strada:
- non è vero.
- è un attimo che qualcuno dica: prima i bianchi.“
“Accettare qualsiasi cosa venga detta, solo perché chi parla è la persona che subisce in modo diretto il razzismo è altrettanto razzista”
Quest’ultima frase è particolarmente dura, disincantata, ma indicativa su quanto sia importante unirsi piuttosto che dividersi inneggiando alle differenze.
Comunque il problema della discriminazione di Stato, è un problema vero:
- esternalizzazione dei confini, con conseguenze come quelle che vediamo quotidianamente in Grecia, Bosnia, Libia, ecc..
- la Legge 40/1998, la Turco Napolitano, madre dei CPT, CIE, CPR (e forse ho dimenticato qualche ipocrita sigla per strada)
- la Legge 189/2002, la Bossi Fini
- l’abbietto articolo 10 bis del Testo unico sull’immigrazione 2009, che introduce il reato di clandestinità
- i scellerati Decreti Sicurezza
Nessuna di queste norme profondamente inique e discriminatorie è mai stata cancellata. Queste norme dovrebbero essere messe profondamente in discussione, per la privazione di diritti e il peggioramento delle condizioni di vita che causano, per la sofferenza e il malessere sociale che provocano.
Poi c’è la discriminazione “di tutti i giorni”: quella che viene perpetrata ai danni del diverso, che viene discriminato anche se nato in Italia, molti bambini nati in Italia, figli di cinesi, africani, di coppie miste, vengono discriminati quotidianamente, ovunque e in ogni momento.
C’è molto da fare e occorre farlo bene.