“Fa che tu sia tempo senza limiti” Cecilia Meireles

 

In quel sabato di primavera, avevo deciso di fare quello che preferisco: camminare per le strade, senza meta, osservando gli edifici e le persone. Nelle grandi città del mondo ci sono tanti posti per vedere gente, ma anche per esplorare il loro passato. Parigi, Rio, Buenos Aires, New York, tutte le grandi città dove ho passato del tempo o dove ho vissuto sono ricolme di angoli da esplorare. Non si conosce veramente una città se non ci si tuffa nel suo passato, che va oltre le case e le piazze con le statue. Anche i ricordi delle persone restano in giro alla ricerca dei nostri sguardi.

I mercati di quartiere e di antiquariato riflettono la storia del nostro tempo – e del tempo dei nostri genitori e nonni. Quando mi decisi a trasferirmi a Manhattan, ancora negli anni 90, non avevo idea di quante storie perdute avrei potuto trovare da queste parti. La città più importante del secolo scorso, un turbinio di manifestazioni, di case popolari in cui gli immigrati di un’Europa impoverita sono ancora tra noi. Ancora oggi sparpagliate tra gli scatoloni, invecchiate sugli scaffali, impolverate nei caseggiati. I miei occhi cominciarono a brillare quando entrai in un mercato a Chelsea, un quartiere che è stato in parte industriale all’inizio del secolo scorso e dove ora si concentrano negozi moderni e gente della classe media.

Nel mercato, posto in un parcheggio, c’era un’immensa collezione di oggetti colorati e di cristalli. Il profumo di incenso indiano, le bancarelle con libri e cristalli. Quadri e dipinti con rappresentazioni della Belle Époque, medaglie ed elmetti della prima e della seconda guerra mondiale, uniformi, fonografi di marca Edison, videocamere super8, giacche di tutti i tipi, uniformi militari della guerra in Vietnam. Decadi intere che si mescolavano al suono di Bob Dylan, fruste elettriche e frullatori di metallo.

I miei occhi vagavano tra gli scaffali e i vari stand, quel giorno, ma uno scatolone attirò la mia attenzione. Le mie dita si tuffarono in mezzo a una manciata di lettere, osservai le date: dicembre 1942, novembre 1950. Primavere e estati di guerra. Le lettere sono sempre documenti personali e preziosi, e mi decisi a comprarne alcune per passare il fine settimana immerso nella vita di qualcuno che, di sicuro, non era più tra noi. Quali erano i suoi sogni? Chissà se un giorno i miei libri e le mie carte finiranno in un posto così? Un cimitero di foto e lettere, amori e immagini dell’oblio?

Le tre lettere che comprai erano piene di dettagli sulla destinataria. Film, musica e perfino le ondate di caldo in estate erano raccontate a una giovane e bella cantante d’opera. Miss Sonia Stolin. Era ebrea; di qualche luogo dell’Europa Orientale. Aveva fatto una crociera nel Mediterraneo quando ancora era molto giovane, con persone più vecchie di lei. Le piaceva suonare il piano, cantava. Il suo fidanzato Paul, che all’epoca prestava servizio su una nave nella costa del Pacifico, le aveva mandato poemi d’amore e raccontato la solitudine delle notti in mezzo all’Atlantico. 1941. Bombardieri, Paul non sa se tornerà. Smette di scrivere l’estate successiva. Sparisce. Ottis, un amico, scrive chiedendo di essere presentato. Lei arriva alla Filarmonica.

Altre lettere, un’amica di nome Beth, di Filadelfia, la spronava a continuare determinata nella sua carriera artistica. Attraverso i messaggi scritti su carta azzurra, di grana molto fine e ben conservata, scopro che Sonia era figlia unica, di una famiglia di immigrati che abitava in una via di Astoria. Dalla finestra vedeva Manhattan. Tra le righe, il sogno di una generazione segnata dalla guerra e dalle difficoltà economiche. Contava i centesimi per comprarsi un vestito. I palcoscenici della città, la ricerca della fama, la difficile condizione della donna che ancora lottava per avere un posto nella società. Non avrebbe dovuto essere solo una moglie, si lamenta il padre. Artista? Ah che vita di abbandono e di tristezza, profetizza la madre.

Non ho resistito e il giorno dopo sono tornato alla fiera per trovare altre lettere. Mi sono innamorato di miss Stolin e dei suoi sogni di Opera. Sono riuscito a contrattare e a comprare due scatoloni di lettere, foto, dischi in vinile, tutti datati tra gli anni 40 e 50, con il suo nome e indirizzo. Ho passato tutta la settimana successiva dividendomi tra il lavoro e quel materiale. Mi sono immerso nella sua vita e nella New York degli anni di guerra, conoscendo i suoi amici, i suoi amori e le sue paure. Scavando ancora di più, mi sono imbattuto in vinili registrati dal vivo, in uno dei suoi concerti negli anni 50. Ci era riuscita! – ho sentito le vibrazioni! Un ritaglio del New York Times quasi a brandelli mi rivelò che era arrivata, in quello stesso decennio, alla posizione di soprano dell’Opera Company di New York. Chi l’avrebbe detto! La ragazza delle lettere del 1939 era diventata un’artista di successo negli anni 50. Le lettere terminarono. E lei, anche?

Mi sono sentito ricompensato, ma triste. Storia incompleta. Miss Stolin non aveva vissuto una vita comune e i suoi amici erano pianisti e cantanti che frequentavano Broadway e i palcoscenici famosi. Lei sopravvisse agli anni difficili della guerra, si innamorò di nuovo. L’unico problema è che tutto il materiale finiva nel 1952. Non c’era niente dopo. Tornai alla fiera la settimana dopo, camminai per decine di bancarelle alla ricerca di qualcos’altro, ma niente. Il venditore mi disse che era arrivata una donna anziana, aveva venduto quel materiale e non era più tornata. L’unica pista che avevo si riassumeva in una ricerca che ho fatto su internet. Il suo nome appare in esibizioni e spettacoli, ma anche lì sparisce dopo gli anni 50. Nessun registro, solo una foto in vendita su ebay.

Deciso a trovarla o almeno a sapere perché quel materiale era lì, presi la metro per la stazione vicina all’indirizzo delle lettere, ad Astoria, verso cui sono sempre state indirizzate. Qualche ipotesi: Lei poteva essere morta in quegli anni, e qualcuno della famiglia aveva conservato le sue cose. Poteva essere in ospedale e la famiglia si era liberata delle “cianfrusaglie” che lei ancora conservava. Ho immaginato mille possibilità, compreso di trovarla viva e solo decisa a dimenticare il passato. Me la immaginai mentre litigava con me “ho buttato via il mio passato e tu me lo riporti indietro?”

Dopo aver camminato tanto – Astoria ha una numerazione civica completamente folle – sono arrivato al 30-46 della 36esima Strada. Visto che non c’era in nessuna lettera un riferimento al numero dell’appartamento e sul posto trovai un edificio, conclusi che la casa degli Stolin era stata distrutta.

Osservai attentamente l’ingresso dell’edificio e lo stile sembrava proprio degli anni 40 ma non c’era modo di setacciare 20 appartamenti. Interpellai alcuni vecchietti in strada con una foto dell’epoca. Nessuno sapeva … nessuno aveva visto niente. Il quartiere sembrava essere zona di ebrei ortodossi, che non sono molto aperti alle domande per la strada.

Stavo quasi per rinunciarci, andando verso l’angolo della strada quando vidi un signore, di circa 90 anni, che scendeva lentamente le scale dell’edificio. Mi decisi a tornare sui miei passi per un ultimo tentativo. Visibilmente emozionato il vecchietto prese la foto, deglutì a vuoto e disse in un sussurro… “Sonia”. Io rimasi di ghiaccio. In verità non credeva di poter incontrare qualcuno che l’avesse conosciuta. Ero andato lì più per soddisfare una curiosità. “Lei sa se è ancora viva” chiesi deglutendo anch’io a vuoto. Il vecchietto scosse la testa negativamente e mi restituì la foto “era la mia vicina… è morta due settimane fa”. Rispose ancora a qualche domanda, camminò verso la strada e scomparve tra i passanti.

Sola, non sposata e senza figli Sonia Stolin probabilmente è morta semplicemente e nell’anonimato. Nessuna delle mie domande avrebbero avuto risposta, ma diventai il suo unico erede. I suoi mobili probabilmente sono stati messi all’asta dal Comune e qualcuno ha preso le sue lettere e foto e le ha vendute sperando di tirarci su due soldi. Senza volere, il destino mi ha trasformato nel guardiano delle cose che lei conservava più gelosamente, i suoi ricordi. L’incredibile stato di conservazione del materiale non lasciava dubbi sul fatto che quel decennio avesse segnato la sua vita. Le sue mani rugose e il suo viso segnato dalla vecchiaia non erano mai entrati in quegli scatoloni. Miss Stolin è sopravvissuta all’oblio e il caso ha salvato il suo prezioso patrimonio. Dalla sua finestra di Astoria ha ascoltato le urla di commemorazione della fine della seconda guerra, ha pianto per il Vietnam, ha visto le manifestazioni per i diritti civili, ha sorriso degli hippies e dei punk, si è divertita con l’hip hop della stazione più vicina.

Miss Stolin non vive più in quella casa, ma le sue foto e lettere sono sopravvissute. Sono diventato il suo unico erede. I suoi amori e la sua voce restano nei vinili, nei ritagli di giornale. Parte di quel materiale l’ho donato al museo della città e mi sono tenuto solo qualche ricordo per il mio scatolone – sì anch’io ne avrò uno! – che un giorno potrà essere ritrovato da un altro sognatore, in una fiera qualunque.

Ispirazione per sempre. È una conoscenza mancata che non dimenticherò mai.

 

Traduzione dal portoghese di Raffaella Piazza