Lo ricordiamo dieci anni dopo.

Un anno prima nasce l’idea de “Lo sbarco”: una nave di italiani residenti all’estero che dichiarano il loro amore per la terra che hanno lasciato e vogliono partecipare a quei movimenti di resistenza che, diffusi ovunque, faticano a coagularsi. Uno sguardo da fuori che aiuti a capire, che contribuisca a mettere a fuoco problemi che hanno messo radici. Dall’inizio degli anni ’80 è avvenuta una lenta erosione di diritti. Ciò che appare è un costante impoverimento materiale e, ancor più, politico e culturale, un imbarbarimento che fa della TV commerciale, del centro commerciale, dei contratti di lavoro spazzatura, dei tagli alla sanità e alla scuola pubblica, i nuovi pilastri su cui poggia il potere di una nuova destra volgare e razzista.

In quel momento l’Italia è ancora una volta nella storia “all’avanguardia”. Chi è al potere è impresentabile, uno spettacolo osceno tra prepotenza e maschilismo. Eppure ha successo e il mondo si domanda: “Perché?”

Perché il popolo italiano, che in passato ha prodotto gioielli di cultura e di sapere politico, ora annaspa nel fango?

Gli italiani all’estero si vergognano. In loro si mescola un senso di colpa e di impotenza nel partecipare come spettatori a questa rapida decadenza.

“Lo sbarco” è un gesto di amore, amor proprio innanzitutto, nel non voler essere “ridotti a quello”. La volontà di mostrare che c’è altro, altro che non viene messo in luce dalle telecamere. Un gesto di dignità.

Movimenti, lotte, forme di resistenza diffusi sul territorio.

Così si lavorò per un anno intero alla realizzazione di questo progetto. Fu un lavoro di tessitura di relazioni; se il centro fu Barcellona, si crearono gruppi altrettanto significativi a Genova, Bruxelles, Parigi, Milano, ma si unirono anche da Madrid, da Londra, da Roma, Torino, dal Sud, dalla Sardegna, dalla Germania.

Un’esperienza che sicuramente intaccò ben poco le dinamiche politiche “alte”, ma che fece incontrare centinaia di persone le quali misero in comune un sogno che era anche azione visibile.

Ricevemmo la “benedizione” di Saramago, che morì poche settimane prima dell’impresa. Molta la solidarietà che ricevemmo, la simpatia che suscitammo. Una sorta di Social Forum che si svolse prima sulla nave, per 24 ore e poi a Genova, dove venimmo ospitati a dormire in più di 400. Genova ci accolse magnificamente con 5 piazze organizzate con incontri, installazioni mostre, concerti e spettacoli sui vari diritti: diritto alla salute. All’educazione. Alla cittadinanza. All’ambiente. Alla pace e al lavoro.

Ne uscirono poi un documentario e un libro, ma furono soprattutto le relazioni a mantenersi, anche col passare degli anni.

Lo sbarco, la nave dei diritti, ha fatto parte di quel fiume carsico che in Italia c’è sempre stato. Che ha fatto si che in un momento storico fossimo parte di un paese dove si erano raggiunti dei punti di grande altezza nella civiltà di questo mondo: scuola pubblica e sanità universali, statuto dei diritti dei lavoratori, chiusura dei manicomi, diritti. Da quel piedistallo conquistato con lotte dure e bellissime, ci fecero scendere, a spinte e strattoni.

Sappiano, coloro che comandano in questo paese, poteri forti di tutti i tipi, legali e illegali, solitamente a braccetto, sappiano che ci siamo, che le braci sono ancora accese, che arrivano da lontano, che stiamo segnando tutto, che la lista è lunga, che c’è un limite a tutto e che le stagioni si alternano.

Starà poi a noi caricarci sulle spalle responsabilità e impegni ai quali la storia presto ci chiamerà. Facciamolo con lucidità e determinazione, ma anche con generosità, gioia e amore.

Documentario: