Stiamo vivendo un tempo davvero anomalo, in cui l’emergenza causata dal Covid-19 ha provocato e sta provocando una serie di conseguenze importanti per moltissimi, ma ancora una volta soprattutto per chi ha poca voce e continua ad essere reso invisibile e i cui diritti continuano ad essere carta straccia.
Tra questi in particolare le persone che, fuggendo da una situazione terribile di guerra come quella in Libia, di cui non si parla più, cercano ancora di attraversare il Mediterraneo per approdare in un luogo sicuro.
Abbiamo sperato che le politiche italiane ed europee potessero fare dei passi avanti, tratteggiando quelle pratiche di discontinuità tanto conclamate. Quello cui assistiamo, invece, è in realtà un continuum con un passato di scelte che non servono affatto a tutelare i diritti elementari delle persone.
Sembra ripetersi in queste ore e in questi giorni lo stesso schema operativo che ha portato a tragedie in mare, a trattamenti inumani delle persone in arrivo, alla criminalizzazione della solidarietà.
Nel giro di poco tempo abbiamo assistito, con un decreto interministeriale, alla chiusura dei porti, alla creazione di un hot spot galleggiante proprio dinanzi la costa palermitana, in cui lo Stato italiano ha tenuto bloccate 183 persone per 18 giorni; abbiamo visto tragedie in mare con la perdita di non sappiamo neanche quante vite umane; stiamo assistendo nuovamente alla criminalizzazione della solidarietà e di quelle poche imbarcazioni e organizzazioni che si stanno impegnando ancora oggi a salvare vite umane nel Mediterraneo. La tendenza generale europea continua a essere quella di contenimento e respingimento in nome di una sicurezza che oggi ha preso anche la bandiera della sicurezza sanitaria, ma non fa altro che continuare sulla strada delle politiche atte a respingere le persone e a militarizzare i confini.
La Guardia Costiera italiana non è autorizzata dal governo a uscire per soccorsi al largo delle coste, un’omissione di cui l’Italia è imputabile per il mancato rispetto degli obblighi di ricerca e salvataggio stabiliti dalle Convenzioni internazionali e dai Regolamenti europei. E nonostante gli alert che giungono dalle organizzazioni internazionali che monitorano la situazione – in particolare dal sistema di allarme internazionale Alarm Phone – non si riesce a fare altro che affidare le attività di soccorso e salvataggio a navi commerciali, inadatte allo scopo: un fatto gravissimo che da un lato mette a serio rischio le stesse persone da salvare e dall’altro consente vere e proprie operazioni di respingimento, come nel caso delle imbarcazioni-peschereccio anonime a disposizione del governo maltese.
In questi ultimi due giorni abbiamo assistito a Palermo, ‘città dell’accoglienza’, a due cose che pensavamo di non dover più vedere:
– lo sbarco delle persone che erano state salvate in due operazioni di salvataggio dalla Alan Kurdi e dalla Aita Mari, poi tenute ostaggio per 18 giorni in quarantena su una nave hotspot lontano dalla costa. Come nei peggiori momenti del passato si è rincorsa l’emergenza senza aver predisposto alcun piano di accoglienza. Solo a notte fonda lo sbarco è stato completato con un trasferimento fuori dalla Sicilia e con un rimpallo di responsabilità di fronte a una situazione programmabile sin dal primo giorno di quarantena;
– il trattenimento delle navi Alan Kurdi, della ong tedesca Sea Eye e Aita Mari, della ong spagnola Proyecto Maydayterraneo, che dopo avere ricevuto ringraziamenti per le operazione di salvataggio, sono da ieri costrette al fermo amministrativo su provvedimento della Capitaneria di porto di Palermo. Fermo pretestuoso (‘irregolarità’) probabilmente ispirato dai vertici politici nazionali, che significa il blocco a tempo indeterminato delle poche navi che ancora operavano nel Mediterraneo centrale per attività di ricerca e soccorso. Fermo che continua a significare avere sempre meno testimoni degli effetti tragici sulle vite delle persone di politiche di abbandono e respingimento, contravvenendo ancora una volta agli obblighi di salvataggio di naufraghi imposti dalle Convenzioni internazionali e dai regolamenti europei.
Dalla crisi sanitaria non stiamo uscendo migliori, come si dice….
Denunciamo l’esplosiva situazione di Lampedusa, dove persone sopravvissute all’attraversamento del Mediterraneo e fortunatamente arrivate a terra, vengono lasciate in attesa sul molo senza che nessuno sappia gestirle e accoglierle degnamente.
Chiediamo politiche e prassi operative capaci di rispondere immediatamente alle richieste di soccorso in mare e di distribuire tempestivamente sull’intero territorio nazionale, con il rispetto di rigorosi protocolli sanitari, tutte le persone che saranno salvate, anche al di fuori delle acque territoriali italiane. E’ indispensabile concordare con gli Stati che sono titolari di zone SAR limitrofe interventi coordinati per il salvataggio e lo sbarco in un porto sicuro, senza lasciar perire in mare altre migliaia di innocenti e senza foraggiare le milizie che in Libia, su tutti i fronti, stanno dimostrando una crescente crudeltà.
Chiediamo a gran voce e al più presto un piano di sbarchi nazionale e la riattivazione del sistema di accoglienza smantellato con i decreti su immigrazione e sicurezza dell’ex Ministro degli Interni (convertiti in L. n. 132/2018).
Chiediamo che sia garantita la più rigorosa sicurezza sanitaria con procedure previste per legge di screening e quarantena per tutte le persone, che devono comunque essere accolte a terra, con operazioni di soccorso completate nel porto sicuro più vicino.
Contro ogni iniziativa di criminalizzazione della solidarietà sosteniamo apertamente chi oggi si impegna per salvare vite umane nel Mediterraneo e riteniamo che prestare soccorso consentendo gli sbarchi presso i nostri porti sia un dovere di umana civiltà e un adempimento dei principi di diritto internazionale e del mare.
Sosteniamo un intervento legislativo per la regolarizzazione di chi è presente sul territorio italiano indistintamente, non solo a favore delle “mani e braccia utili”.
Riteniamo indifferibile una riforma organica della legislazione sull’immigrazione, che preveda la cancellazione dei decreti sicurezza e immigrazione.
Chiediamo al governo e a tutti i livelli istituzionali, compresi il Sindaco della nostra città, di fare dei passi coraggiosi, di mantenere le promesse di discontinuità, di guardarsi intorno e comprendere che se a qualcosa il virus e lo stato d’emergenza sono serviti è a farci capire che quella che vivevamo non era affatto la ‘normalità’, ma una condizione di inumanità e sfruttamento che si ha finalmente l’occasione di sanare!
Forum Antirazzista di Palermo