Il nostro pianeta è in una fase di declino accelerata che potrebbe portare all’estinzione della nostra civiltà se non prendiamo collettivamente le misure necessarie adesso.

Nonostante il recente aumento delle pubblicazioni sull’argomento, l’origine di tale mutamento, che alcuni chiamano Antropocene (1), risale alla metà del XVIII secolo, con la nascita della Rivoluzione Industriale in Inghilterra.

L’operato svolto dagli scienziati, quali antropologi o esperti di cambiamenti climatici, ci permette di giungere alla conclusione che le attività umane hanno lasciato un’impronta profonda e quasi irreversibile nella storia geologica e climatica del nostro pianeta, mettendo in pericolo l’esistenza stessa della nostra specie.

I limiti del progresso: un primo allarme globale nel 1972

Per più di due secoli, praticamente nessuno si è interessato all’impatto del nostro stile di vita sul pianeta, il che è comprensibile, perché chi avrebbe potuto immaginare che gli esseri umani potessero causare un impatto irreversibile su larga scala? Tuttavia, nel 1972, fu pubblicato un rapporto commissionato dal Club di Roma al Massachusetts Institute of Technology (MIT). I suoi autori lo hanno intitolato: “I limiti del progresso”(2).

Un tale rapporto avrebbe cambiato per sempre la nostra percezione della situazione. Almeno per i “leader” del pianeta, era già praticamente impossibile ignorare le possibili conseguenze del modello economico e sociale che era stato costruito. Ad esempio, la prima conclusione del rapporto è stata inequivocabile: “Se l’attuale aumento della popolazione mondiale, l’industrializzazione, l’inquinamento, la produzione alimentare e lo sfruttamento delle risorse naturali rimarrà invariato, nei prossimi cento anni raggiungerà il limite massimo della crescita sulla Terra. Il risultato più probabile sarà un calo abbastanza improvviso e incontrollabile della popolazione e della capacità industriale”(3).

Il rapporto ci ha messo in guardia sulla necessità di controllare l’aumento di alcuni indicatori ecologici e socioeconomici che, se non vengono stabilizzati, potrebbero avere conseguenze catastrofiche per il nostro pianeta, mettendo addirittura in pericolo la nostra sopravvivenza.

I vertici sul cambiamento climatico e i risultati?

Devono essere trascorsi più di 20 anni dal quel rapporto “I limiti del progresso” per far sì che si tenesse uno dei primi vertici internazionali sui cambiamenti climatici (4). Nel 1992, le Nazioni Unite hanno tenuto la prima Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico (COP) a Rio de Janeiro, Brasile.

Si tratta di incontri internazionali che riuniscono ogni anno i leader mondiali per prendere decisioni che consentano di rispettare gli impegni di riduzione delle emissioni necessaria per affrontare la crisi climatica che stiamo affrontando.

Abbiamo dovuto attendere 21 vertici fino al 2015, quando l’accordo di Parigi (COP21) è diventato un trattato mondiale riconosciuto all’unanimità dalle 196 delegazioni (195 Stati + Unione Europea). Con l’accordo di Parigi, è stato deciso di attuare tutte le azioni necessarie per mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2ºC e di compiere ulteriori sforzi per garantire che non superi 1,5°C, rispetto alle temperature preindustriali. Questi obiettivi sono stati definiti sulla base di raccomandazioni scientifiche, al fine di evitare danni irreversibili al nostro pianeta.

Nonostante la buona volontà dimostrata dagli attori politici ed economici con l’Accordo di Parigi, gli obiettivi finali sembrano ora difficili da raggiungere. Alla fine del 2018, prima della COP24 in Polonia, solo 16 dei 197 firmatari dell’Accordo di Parigi avevano definito un piano d’azione per il clima per adempiere al loro impegno (5). Nel frattempo, le catastrofi naturali, la siccità, le ondate di calore, l’aumento del livello dell’acqua, ecc. continuano a intensificarsi sul pianeta.

Il disfacimento: come prepararsi al peggio?

Nonostante i numerosi e allarmanti rapporti scientifici degli ultimi decenni (6), la stragrande maggioranza degli esseri umani continua il suo cammino, indifferente a tutto ciò che può accadere. Il modello capitalista continua a farla da padrone, creando una tale inerzia che anche i politici più volenterosi non sono in grado di attuare piani d’azione efficaci per invertire questa tendenza “suicida”.

La situazione è tale che negli ultimi anni la teoria del disfacimento è cominciata a diventare più democratica, un neologismo che ci permette di studiare la possibile scomparsa della nostra civiltà industriale, che potrebbe essere definita come: “il processo per cui i bisogni primari: acqua, cibo, abitazioni, vestiti, energia, ecc. non sono più forniti (a costi ragionevoli) alla maggioranza della popolazione in base alla legge” (7).

È vero che lo scenario appare cupo e disperato, ma potrebbe esserci un barlume di speranza dietro questa triste eventualità. I preparativi al disfacimento non impediranno il disastro, ma potrebbero ritardarlo e renderlo meno doloroso.

Gli studi sono chiari, i numeri sono incontrovertibili, e dunque siamo alla fine di un ciclo. Anche la pandemia del Covid19 cerca di ricordarcelo. Dobbiamo rallentare, pensare, immaginare e costruire un altro modello. L’ideale sarebbe quello di poter riconquistare il paradiso perduto che questo pianeta era ai tempi dei cacciatori e di coloro che raccoglievano i frutti della terra, ma questa possibilità sembra remota.

Nonostante ciò è giunto il momento di creare nuove utopie, con storie ispiratrici, capaci di condurci per mano verso un mondo post-capitalista, dove regni la spiritualità, l’aiuto reciproco e il profondo rispetto per la natura, di cui facciamo parte.

 

di Mauricio Álvarez

 

Traduzione dal francese di Maria Rosaria Leggieri

 

(1) Il concetto di Antropocene è stato inventato nel 2000 dal premio Nobel olandese per la chimica Paul Crutzen. La sua opinione era che il nome dell’attuale era geologica dovesse riflettere l’impatto dell’uomo sulla Terra.

(2) “I limiti del progresso”: disponibile gratuitamente in inglese all’indirizzo https://clubofrome.org/publication/the-limits-to-growth/

(3) Fonte: “I limiti del progresso”, pagina 23.

(4) COP 21: https ://www.gouvernement.fr/action/la-cop-21

(5 ) Solo 16 dei 197 paesi rispettano l’accordo di Parigi. 29.10.2018 https ://www.euractiv.fr/

(6) Rapporti IPCC, IPBES o Global Environment Outlook (GE), pubblicati periodicamente dalla Divisione di segnalazione rapida e valutazione del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP/DEA) dell’UNEP.

(7) https://es.wikipedia.org/wiki/Colapsolog%C3%Ada