“Mal d’Africa” esce con la firma tua e di Raffaele Masto, che purtroppo ci ha lasciati da poco, stroncato dal coronavirus. Com’è nata e si è sviluppata l’idea di questo libro a due?
E’ molto semplice: abbiamo voluto mettere insieme, appunto in un libro, le nostre esperienze africane di 30 anni, fatte di viaggi e studio, raccontare cosa sta accadendo oggi e provare ad avere una visione di futuro. Abbiamo pensato che potesse essere utile raccontare il continente, cercare di scoprirlo e mettere a disposizione di tutti questo lavoro. Sono convinto, anche dopo questo libro, che l’Africa debba essere capace di costruirsi un futuro e noi, il mondo occidentale, dovremmo sostenere questi sforzi senza mire predatorie come, purtroppo, sta ancora accadendo. Un atteggiamento miope che peserà molto anche sul mondo occidentale. Solo un numero: nel 2050 1 abitante su 4 nel pianeta sarà africano.
Come mai avete scelto il titolo “Mal d’Africa”?
Inizialmente pensavamo di titolarlo “La (ri)Scoperta dell’Africa”. Poi, invece, abbiamo deciso di dare un titolo che fosse più “attraente”, senza dimenticare che questo poteva essere ricondotto a un romanticismo di maniera. Un rischio. Ma basta affrontare le prime pagine per capire subito che di romantico non c’è nulla. O meglio, c’è quella passione per l’Africa che ti fa raccontare anche tutte le cose che non vanno. Infatti la prima parte cerca di spiegare – è un’analisi – cosa sta accadendo in quella terra molto giovane, abitata da giovani, e la seconda parte, invece, è più un racconto. Uno sguardo su alcuni paesi più attento ai suoi abitanti e a ciò che fanno, oltre alle condizioni di vita reali, ai loro sogni, alla resilienza. Insomma spesso noi sappiamo tutto su come muoiono gli africani, ma quasi niente su come vivono. Questa, tra l’altro, è la visione mia e di Raffaele che ci ha mosso, negli ultimi trent’anni, ha battere le piste di terra rossa, a farci sporcare da quella polvere rossa, che può diventare fango durante la stagione delle piogge. Per noi viaggiare in Africa ha avuto il sapore dell’incontro. Il libro, infatti, è dedicato a tutti gli uomini e le donne che abbiamo conosciuto in Africa, che ce l’hanno fatta amare.
Nel libro si ripete spesso il concetto che “l’Africa finanzia con le sue risorse l’opulenza dei paesi ricchi” e si denunciano il saccheggio operato dalle multinazionali e la spartizione e occupazione del continente da parte delle grandi potenze. Puoi approfondire questi concetti?
L’intero continente è oggi terra di conquista per gli interessi globali. Questo ci fa capire come non ci sia nulla di romantico nel titolo del libro. Ma il punto è questo. L’Africa è diventata un continente affollato, addirittura caotico, nel quale sono in gioco interessi di ogni tipo: politici, economici, commerciali, anche ideologici e addirittura religiosi. Le vecchie potenze coloniali, in un qualche modo, resistono anche se hanno perso qualche posizione. Poi ci sono la Cina, l’India, la Corea del Sud, il Giappone, l’Indonesia. Ma anche la Russia, gli Stati Uniti, l’Australia. Per non parlare delle Monarchie del Golfo. Insomma, rispetto all’epoca coloniale, una bella confusione. Cosa attira tutte queste potenze in Africa? E perché ciò avviene solo ora, all’alba del terzo millennio? La risposta più evidente a queste domande è che l’Africa si appresta, ancora una volta, a finanziare con le sue materie prime, minerarie e agricole, il prossimo assetto geopolitico del pianeta. In sostanza l’Africa si prepara a essere, come già avvenuto in passato, un grande “serbatoio” di risorse invece di diventare un “mercato”. In sintesi: l’Africa è una riserva strategica alla quale attingere per finanziare lo sviluppo di altre aeree del pianeta. E sembra essere cambiato poco rispetto al passato. “Strappar tesori dalle viscere della terra era il loro unico desiderio, senza più fini morali di quanti ce ne siano nello scassinare un forziere”. Lo scriveva Joseph Conrad nel suo libro Cuore di tenebra. Era il 1899.
Che ruolo hanno i dittatori e i governanti corrotti africani nel mantenere nella povertà paesi ricchissimi di materie prime come il Congo Brazzaville e molti altri?
E’ uno dei drammi del continente. L’età media degli abitanti dell’Africa, forse, è la più bassa al mondo e, di contro, ha i presidenti e i governati più longevi al mondo. Governano per decenni. La dinastia dei Bongo, in Gabon, è sopravvissuta a tutta la Quinta Repubblica francese, da De Gaulle a Macron. Il presidente del Congo Brazzaville governa il paese dal 1979. Paul Kagame è al potere in Rwanda dal 1994 e ha modificato la Costituzione del paese per rimanere al potere fino al 2035. Il presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, governa il paese dal 1986, quando il presidente degli Stati Uniti d’America era Ronald Regan e Michail Gorbacev si cimentava con la perestroika. Sono solo alcuni esempi. Il tema vero, e il libro cerca di approfondirlo, è che la democrazia in Africa è un malato grave. E non è solo una questione di organizzazione democratica, per lo più imposta prima dai colonizzatori e poi dai nuovi modelli occidentali, che non tengono in considerazione la natura stessa dell’organizzazione societaria dei vari paesi africani. Ma ancora più drammatico è il fatto che i presidenti stessi hanno dimenticato, hanno cancellato rapidamente, le loro radici storiche. Sembra siano diventati essi stessi predatori a scapito dei loro popoli.
Cosa significa nella pratica la guerra commerciale e militare che fa ancora una volta dell’Africa una terra di conquista?
Se si escludono il Sudafrica e i paesi del Maghreb, il Pil dell’Africa è appena poco più dell’1% di quello mondiale. Ben poca cosa. Ciò è dovuto, principalmente, al fatto che non si è sviluppata non solo un’economia di prossimità, ma neanche un’industrializzazione manifatturiera degna di questo nome. Le industrie di trasformazione alimentare in molti paesi rimangono un sogno, tanto che non è garantita la sicurezza alimentare. E poi ci sono le materie prime, il grande serbatoio africano. Materie prime che acquistano valore quando arrivano sui mercati internazionali, ma che nei paesi di estrazione valgono poco o nulla e non hanno una ricaduta sull’economia reale. Se pensiamo a paesi ricchissimi di risorse, come la Repubblica democratica del Congo, un vero e proprio scandalo geologico, ci verrebbe da pensare a un paese ricchissimo che può soddisfare i bisogni della sua popolazione. Invece no, soddisfa quelli delle élite. Questo è un tema cruciale. Un tentativo è l’area di libero scambio continentale, la più grande al mondo, ma che il coronavirus rischia di vanificare. In sintesi: L’Africa vuole e ha bisogno di giustizia. Non di denaro; quello scorre a fiumi.
Quali esperienze positive vedi a livello di società civile, organizzazioni femminili, giovani attivisti e governanti?
Sono molte le realtà della società civile, donne soprattutto, che hanno a cuore lo sviluppo del proprio paese. Parlo di donne perché il futuro dell’Africa è possibile solo se sarà “femmina”. L’organizzazione sociale ruota infatti tutta intorno alle donne che ne devono sopportare il peso maggiore. Sono convinto, perché l’ho visto con i miei occhi, che l’Africa avrà un futuro solo con l’emancipazione della donna, sottraendola al giogo del maschio. Basta guardare alla storia del continente per vedere quante donne erano a capo di regni immensi e ricchi. La tradizione matriarcale fa parte della tradizione profonda dell’Africa. Se oggi poi devo guardare a qualche esperienza governativa positiva, non posso che fare riferimento al premier dell’Etiopia Abiy Ahmed, che è stato insignito del Premio Nobel per la Pace. Un Nobel che premia un processo politico, non solo l’uomo che lo ha avviato. Un processo di riforme che sembrava impossibile e che invece, in appena due anni – dal 2 aprile 2018 – ha praticamente rivoltato l’Etiopia, trasformandola dal profondo. Un Nobel che suona come un incoraggiamento a continuare su questa strada. Credo che il premier etiope debba diventare un punto di riferimento per tutto il continente.
Scheda del libro e informazioni sull’acquisto a questo link.
Foto di Angelo Ferrari