In Turchia, sin dai primi giorni dell’emergenza sanitaria, il governo centrale ha alzato l’asticella della repressione portando avanti una vera crociata contro le opposizioni e non solo. Ankara sembra che abbia deciso di sfruttare la pandemia per i proprio scopi politici, basati sulla cultura del governare con la paura.
Indagini sui sindaci d’Istanbul e Ankara
Una delle soluzioni di Ankara per affrontare l’emergenza sanitaria è stata quella di chiedere ai cittadini di fare delle donazioni per sostenere le spese straordinarie. Il 30 marzo il Presidente della Repubblica si è presentato davanti alle telecamere e ha lanciato l’appello, sottolineando che avrebbe versato anche lui 7 mesi del suo stipendio. La campagna si chiama “Biz bize yeteriz Turkiyem” (Cara Turchia, noi ci bastiamo). Una conferenza stampa in cui il Presidente ha sottolienato che il Paese è capace ad affrontare la pandemia e non ha bisogno di nessun aiuto straniero.
Il giorno dopo lo stesso Presidente si è rivolto ai sindaci d’Istanbul e Ankara e ha definito il loro operato come “un tentativo di lavorare in modo parallelo a quello del governo centrale e di confondere i cittadini”. Si riferiva alle campagne di raccolta di denaro avviata da questi due sindaci, già giorni prima, con l’obiettivo di creare un fondo di sostegno straordinario per le famiglie bisognose della città. In poche ore i conti correnti già aperti dai sindaci sono stati bloccati e i soldi ivi versati sono stati congelati. Nelle ore successive il numero dei comuni ad aver ricevuto questo “schiaffo” politico è salito a 9, tutti governati da partiti delle opposizioni. Forse la dichiarazione più forte del Presidente della Repubblica è stata definire la raccolta di denaro avviata dai sindaci come “un’operazione che assomiglia a quella portata avanti in passato dalle organizzazioni terroristiche”. Pochi giorni dopo, il 17 aprile, il Sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu ha comunicato ai media che sia lui sia il suo collega, Mansur Yavas, sindaco di Ankara, risultavano essere sotto indagine grazie alla richiesta presentata dal Ministro degli Interni, Suleyman Soylu.
Criminalizzare gli albi
Il 26 aprile, durante la preghiera del primo venerdì del mese di Ramadan, il Presidente del Direttorato degli Affari Religiosi, Ali Erbas, rivolgendosi ai fedeli in una moschea, ha definito i rapporti extraconiugali e le persone omosessuali come “le principali fonti di trasmissione delle malattie che fanno marcire le generazioni”.
Dopo il discorso, Erbas è stato denunciato da alcuni albi di avvocati con l’accusa di aver usato un linguaggio d’odio e di aver incitato la popolazione all’ostilità. In particolare, l’albo di Ankara ha definito Erbas come “colui che ricorda le pratiche di linciaggio medioevali”. Poche ore dopo anche gli albi di Izmir e Diyarbakir hanno presentato la stessa denuncia.
Le dichiarazioni di Erbas hanno attirato la protesta di diverse parti della società: il mondo dell’associazionismo, le persone hiv positive e numerosi semplici cittadini. Tuttavia va sottolineato anche il fatto che una notevole fetta del Paese ha sostenuto le idee di Erbas.
La settimana successiva, dopo il consiglio dei ministri, il Presidente della Repubblica si è presentato davanti alle telecamere e ha difeso Erbas definendolo come il più autorevole riferimento sull’Islam in Turchia. Il Presidente ha poi continuato: “Tutto ciò che dice Erbas è corretto e tutti devono conoscere i propri limiti. Le critiche rivolte a lui sono degli attacchi contro l’Islam”.
Il giorno dopo, la Procura di Ankara ha avviato un’inchiesta contro l’albo della città con l’accusa di “offendere i valori religiosi di una parte della società”.
L’ultimo affondo della crociata contro gli albi è arrivato dallo stesso Presidente della Repubblica. Il 5 maggio, in un’occasione pubblica, Erdogan ha affermato: “E’ necessario operare un cambiamento nel sistema elettorale interno agli albi degli avvocatoi e a quelli dei medici. L’attacco contro il Presidente del Direttorato degli Affari Religiosi ci fa capire che dobbiamo finalizzare questo cambimento legislativo con urgenza”.
Sindaci rimossi e posti in detenzione provvisoria
Sempre in questo periodo straordinario, Ankara non ha risparmiato anche i sindaci appartenenti al Partito Democratico dei Popoli, HDP. Gli uomini e le donne eletti nell’ultima tornata elettorale del 31 marzo 2019 sono stati rimossi dai loro incarichi. In totale sono cinque sindaci che non possono più lavorare e al loro posto sono stati nominati dei commissari straordinari. Le municipalità colpite sono Iğdır, Siirt, Baykan, Kurtalan e Altınova. Secondo il comunicato stampa diffuso dall’agenzia di Stato, Anadolu Ajansi, la motivazione sono le inchieste in corso che accusano i sindaci di avere dei “legami con le organizzazioni terroristiche”. Il 19 maggio quattro di questi sono stati rilasciati sotto condizione e messi agli arresti domiciliari.
Nelle ultime elezioni amministrative, l’HDP aveva cantato vittoria in 65 municipalità in tutto il Paese. Le operazioni portate avanti da quel momento ad oggi hanno tolto il potere amministrativo al Partito in 45 municipalità. Tuttora sono 21 i sindaci in carcere.
Mithat Sancar, il co-presidente del Partito Democratico dei Popoli, in un comunicato stampa, il 15 maggio, ha definito le operazioni in atto come un “colpo di stato”. La stessa definizione è stata adottata e utilizzata anche nelle dichiarazioni su Twitter da parte del parlamentare nazionale Ozgur Ozel e da Canan Kaftancioglu, direttrice provinciale per la città d’Istanbul del principale partito di opposizione, Partito Popolare della Repubblica, CHP.
Un nuovo Colpo di Stato?
Quindi in Turchia si torna a parlare di un nuovo di un colpo di Stato. Mentre le opposizioni accusano il governo centrale d’intraprendere strade antidemocratiche che non rispettano le leggi e la costituzione del Paese, quindi di agire come i golpisti, Ankara fa la stessa cosa, sotto un’altra veste, contro le opposizioni.
Per la Turchia, che ha subito 3 veri golpe, si tratta di un discorso molto delicato che crea tensioni, rabbie e angosce. Il governo centrale accusa, sopratutto ma non solo, il principale partito dell’opposizione, CHP, di fare il “rappresentante” dei golpisti, perché mette in discussione il suo operato. Invece le opposizioni e una parte della società civile accusano fortemente il governo centrale di sfruttare le ferite storiche del Paese e di creare un’atmosfera di panico con l’obiettivo di rafforzare il suo potere, proprio in questo periodo d’emergenza sanitaria.
Dopo il fallito golpe del 15 luglio 2016 la Turchia ha vissuto in stato d’emergenza per due anni. In questo periodo le misure restrittive, la censura, la sospensione di una serie di accordi/patti/convenzioni internazionali hanno fatto sì che il governo centrale avesse carta bianca. Questa opportunità è stata senz’altro utilizzata da Ankara per colpire le voci delle opposizioni: parlamentari, sindaci, avvocati, artisti, professori, giornalisti, giudici, procuratori, alti ufficiali dell’esercito e migliaia di attivisti del mondo dell’associazionismo. Ogni volta la motivazione di Ankara era la stessa: “misure contro le organizzazioni terroristiche e contro il pericolo di un nuovo colpo di stato”. Invece le opposizioni hanno sempre definito quest’ondata di repressione come un “colpo di stato civile”, quindi non militare.
Oggi si torna a parlare di nuovo di un eventuale golpe. A parlarne è di nuovo il governo centrale e nel mirino ci sono giornalisti e partiti d’opposizione.
Il 30 aprile, in diretta tv, Canan Kaftancioglu, del CHP, in un collegamento telefonico parla così, lamentandosi dell’operato del governo centrale: “Presto, con le elezioni oppure in un’altra maniera, questo governo perderà il suo potere. Non ci sarà solo un cambio di governo ma un cambiamento del sistema governativo. Questo popolo ormai ha capito chi approfitta di questa pandemia per i propri affari personali”. Ovviamente i media allineati con Ankara non hanno aspettato un secondo ad accusare Kaftancioglu di annunciare l’arrivo di un colpo di stato.
Il giorno dopo Ozgur Ozel, parlamentare del CHP, davanti alle telecamere afferma: “Il sistema del palazzo reale sta arrivando al capolinea. Questo regime sta concludendo la sua vita”. Anche Ozel è stato crocefisso con le stesse accuse dai media mainstream.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso forse è stato l’articolo scritto dal giornalista Ragip Zarakolu per il quotidiano nazionale Evrensel. In questo suo lavoro, Zarakolu paragona l’ex Primo Ministro Adnan Menderes (impiccato durante il colpo di stato del 1961) all’attuale Presidente della Repubblica, basandosi sulle sue campagne di linciaggio e di censura contro le opposizioni.
Il giorno dopo Erdogan ha annunciato di aver denunciato Zarakolu. Il quotidiano nazionale, Sabah, vicino al governo, invece ha definito l’articolo di Zarakolu come una minaccia di morte contro il Presidente della Repubblica.
Il passo successivo arriva, in diretta tv, sul canale nazionale A Haber. Il 10 maggio la giornalista Sebnem Bursali ha accusato il principale partito dell’opposizione, CHP, di “collaborare con le forze straniere con l’obiettivo di indebolire l’economia del Paese, ostacolare il suo brillante successo e progettare un colpo di stato”.
Nei giorni seguenti numerosi giornalisti e parlamentari hanno preso parte a questa ondata di accuse in diversi programmi televisivi/internet, oppure sui giornali.
La Pandemia è un’occasione
Il periodo straordinario che sta attraversando tutto il mondo sembra che stia diventando un’opportunità per Ankara al fine di emarginare le voci dell’opposizione, sfruttando l’angoscia collettiva che crea la pandemia. Ovviamente nel mirino del governo centrale non mancano gli Armeni e i Greci/Rūm.
L’11 maggio il Presidente della Repubblica si presenta davanti alle telecamere per annunciare 4 giorni di coprifuoco, dal 16 al 19 maggio, come misura di prevenzione nell’ambio della lotta contro la pandemia. In quest’la difesa dei nostri diritti nell’Egeo e nel Mediterraneo. Non lasceremo il campo alle organizzazioni terrorisitiche e ai gruppi di pressione armeni e greci/rūm. Coloro che sperano di mettere il paese in ginocchio utilizzando le organizzazioni finanziarie straniere saranno sconfitti”.
E’ evidente che in Turchia le ferite ancora aperte del passato continuano a rappresentare le paranoie della società ed è palese che questo triste fatto venga utilizzato ripretutamente dal governo centrale per legittimare la sua politica di repressione.