Il 15 maggio 2020 alla Casa Bianca il Presidente Trump ha presentato ufficialmente la bandiera della nuovissima USSF – United States Space Force, l’Astronautica Militare degli Stati Uniti, la nuova forza armata da lui fortissimamente voluta.

La neonata Space Force, annunciata da Trump il 18 giugno 2018 tra la sorpresa generale e ufficialmente insediatasi il 20 dicembre 2019 dopo l’approvazione del Congresso, è ormai la sesta forza armata degli Stati Uniti, dopo Army, Navy, Air Force, Marine Corps e Coastal Guard. Il logo presentato alla cerimonia di insediamento suscitò molta ironia per la sua somiglianza grafica con le insegne di Star Trek.

La decisione presidenziale sollevò in patria moltissime polemiche poiché secondo diversi analisti, anche del campo repubblicano, questo nuovo soggetto non apporterà significativi vantaggi strategici. L’apparente semplificazione dovuta all’unione sotto un unico Command Center di tutte le attività spaziali militari, fino ad ora suddivise fra le diverse forze armate, potrebbe essere vanificata dall’inevitabile complicanza delle comunicazioni e degli scambi di informazioni interforze a causa di ulteriori aggiunte burocratiche e del rallentamento dei processi decisionali. Per non parlare di un significativo rialzo dei costi dovuto all’aumento degli effettivi e di nuove basi militari dedicate.

Allora viene da chiedersi quale sia il vero scopo di questa forzatura di Trump.

La mission ufficiale della nuova Space Force è organizzare, addestrare, ed equipaggiare le forze spaziali al fine di proteggere gli interessi nello Spazio degli USA e dei suoi alleati… di migliorare l’accesso allo Spazio delle forze armate... (https://www.spaceforce.mil/About-Us/Fact-Sheet)

Nei suoi pomposi discorsi ilPresident Of The United States” (abbreviato in POTUS dagli americani) ha apertamente giustificato la nuova Arma con l’assoluta necessità per gli Stati Uniti di garantirsi la supremazia spaziale militare di fronte alla crescente minaccia dei russi e dei cinesi, a suo dire impegnati a fondo nella stessa corsa (il che è probabilmente vero).

D’altronde tutta la politica spaziale degli Stati Uniti è radicalmente cambiata con l’avvento di Trump: se prima di lui la NASA navigava un po’ a vista, senza obiettivi stabili e con finanziamenti sempre al ribasso, dopo l’insediamento del tycoon l’orizzonte si è fatto chiarissimo:

  • Nomina di un nuovo Amministratore esterno e politico, in rottura con la tradizione Nasa che vedeva tale ruolo sempre scelto tra le figure tecnico-operative interne: il neoincaricato, Jim Bridenstine, confermato dal Congresso per un risicato solo voto in più a favore, è un giovane yesman repubblicano privo di competenze scientifiche o ingegneristiche, tantomeno spaziali, e negazionista del riscaldamento globale.
  • Forte riduzione dei finanziamenti per le missioni scientifiche, specialmente quelle dedicate allo studio della Terra e delle varie forme di inquinamento, e per quelle di ricerca astrofisica. Si sono salvate soltanto quelle che erano ormai a sviluppo troppo avanzato o perché il Congresso, cui spetta l’ultima parola e che per fortuna non è controllato a bacchetta dal Presidente, è riuscito a tenerne in vita qualcuna di importante.
  • Progressivo abbandono della Stazione Spaziale Internazionale a partire dal 2024, incentivandone se possibile la graduale cessione ad aziende private, se non addirittura la dismissione, nonostante si tratti di un formidabile laboratorio di ricerca scientifica e di un validissimo esempio di cooperazione internazionale.
  • Rilancio impetuoso dell’esplorazione umana della Luna con il programma Artemis e in prospettiva, a partire dal 2030, di Marte.
  • Crescita costante dei finanziamenti (dai 16 miliardi di USD del 2015 ai 25 miliardi proposti per il 2021).
  • Forte aumento delle spese militari: il budget 2021 del Pentagono (ancora da approvare) è di 738 miliardi di dollari (sì, settecentotrentotto miliardi), con un incremento rispetto alla gestione Obama di oltre 100 miliardi. Gli USA non solo sono ampiamente in testa alla classifica delle Nazioni con la maggiore spesa militare, ma il loro budget è maggiore della somma di quello delle successive 13 nazioni, Russia e Cina incluse. Sotto Obama tale budget superava solamente (si fa per dire) la somma delle successive 7 nazioni, a riprova che gli americani stanno inseguendo sempre più lo strapotere militare.

https://www.americanprogress.org/issues/security/reports/2020/05/06/484620/pentagons-fiscal-year-2021-budget-meets-u-s-national-security-needs/

  • Il budget della neonata Space Force passerà dai 500 milioni spesi nel 2020, sufficienti solo per partire, ai 15,8 miliardi richiesti per il 2021. Chiaramente si tratta di una voce della spesa militare USA destinata a scalare le classifiche nei prossimi anni.

Nella visione trumpiana, lo Spazio è una terra di nessuno (quindi disponibile) in cui è fondamentale stabilire una presenza umana permanente, americana naturalmente. In quest’ottica si spiega l’improvvisa accelerazione del programma di ritorno sulla Luna che prevede il prossimo sbarco umano (e della prima donna?) nel 2024 anziché nel 2028 come previsto in origine.

La data non è casuale: se Trump venisse rieletto nel prossimo novembre, si troverebbe alla fine del suo secondo mandato nel 2024 e una missione lunare di successo sarebbe una carta vincente per la rielezione di un altro POTUS repubblicano (magari simil-Trump).  Lo scopo dichiarato di questo rinnovato interesse per la Luna è la realizzazione di insediamenti permanenti sul suolo lunare, che in prospettiva potrebbero aprire la strada ad una vera e propria colonizzazione basata sul diritto del primo arrivato, stile Far West.

In merito alla legittimità o meno di tale occupazione si sono accesi diversi dibattiti di diritto internazionale. Esiste un trattato ONU del 1967 (Outer Space Treaty, firmato da oltre 100 Nazioni, Stati Uniti compresi) che vieta ai paesi firmatari l’uso militare ostile dello Spazio extra-atmosferico e la colonizzazione della Luna o di qualsiasi altro corpo celeste, pur non impedendo lo sfruttamento delle risorse, a condizione che non se ne rivendichi il possesso esclusivo. Non basta piantare una bandiera sulla Luna per diventarne padroni. Ma fatta la legge, scoperto l’inganno: il trattato obbliga le Nazioni ma non parla di imprese private. Discutibile fin che si vuole, ma è quello che si sta cercando di sfruttare. Se nel 1967 i privati nello Spazio si vedevano solo nei film di fantascienza, oggi sono una vera e propria realtà, tanto che la Space Economy è forse la più promettente new economy del prossimo futuro.

Il decreto firmato il 6-4-2020 da Trump — ancora lui! — che consente lo sfruttamento di risorse spaziali da parte di aziende private, ha proprio lo scopo di insinuarsi in quella crepa giuridica. Il testo della Casa Bianca recita come segue: “Gli americani devono aver il diritto di effettuare ricerche commerciali, di approvvigionarsi e utilizzare le risorse dello Spazio in conformità con la legislazione vigente. Lo Spazio è, a livello fisico e legislativo, un dominio dell’attività umana e gli Stati Uniti non lo considerano un bene comune in termini globali”.

https://www.whitehouse.gov/presidential-actions/executive-order-encouraging-international-support-recovery-use-space-resources/

Quest’ultimo assunto è in aperto contrasto con la risoluzione ONU del 1967 e riecheggia la conquista pionieristica del Far West: un luogo non ancora raggiunto e inesplorato è di chi ci arriva per primo e ci pianta i suoi paletti. La Russia ha subito reagito protestando.

Va detto che il primo a rompere questo tabù fu l’Obama Space Act del 2015, prima legge al mondo che consentiva lo sfruttamento commerciale delle risorse spaziali, pur nell’ambito di accordi internazionali. Ma Trump è andato oltre: nessun bisogno di accordi per chi non deve chiedere mai!

Notevole anche il fatto che il Lussemburgo fu il primo paese europeo ad adottare il 1° agosto 2017 una legge simile che permette ai privati che abbiano sede nel principato lo sfruttamento commerciale delle risorse spaziali, con l’evidente intento di attirare colossi industriali con la solita politica fiscale compiacente.

Non vanno sottovalutate le potenzialità economiche spaziali, sebbene siano ancora in una fase di studio ed esplorazione. Tanto per citarne una: nel 2022 partirà la sonda scientifica della Nasa Psyche per esplorare l’omonimo asteroide composto quasi totalmente di metallo, ferro essenzialmente, e chissà cos’altro. Negli asteroidi vi sono giacimenti di metalli e composti preziosi per l’industria elettronica, e non solo, che sulla Terra si stanno facendo via via più rari. Chi fosse in grado di estrarli nello Spazio acquisterebbe un potere economico e strategico enorme. Le sfide tecnologiche sono formidabili, ma altrettanto lo è la posta in gioco.

Ecco allora che acquista significato la recente strategia degli USA: uno sfruttamento commerciale, un po’ prepotente, delle risorse spaziali che spiani la strada agli ingentissimi investimenti dei colossi privati, e un nuovo programma lunare avente lo scopo dichiarato di preparare uomini, donne e aziende al presidio continuo dello Spazio. La nuova Space Force sarebbe funzionale sia al predominio militare circumterrestre che alla protezione degli enormi interessi commerciali in gioco.

Ovviamente in questo scenario gli altri non stanno a guardare. È praticamente certo che Russia e Cina abbiano già dei programmi militari attivi in tal senso e il Presidente Macron ha annunciato il 13 luglio 2019 che la Francia si doterà a sua volta di un comando militare spaziale. Molte nazioni “minori” hanno in orbita satelliti militari, per lo più di sorveglianza e spionaggio, Italia compresa (la nostra flotta è composta dalle serie di satelliti Cosmo-SkyMed e OPT-3000, destinati all’osservazione terrestre ad alta risoluzione, di tipo dual-use, cioè utilizzabili sia per scopi militari che civili, ad esempio per protezione civile). Persino l’Iran, dopo numerosi fallimenti, il 22 aprile 2020 ha lanciato con successo il suo primo satellite militare. L’India ha addirittura portato a termine il 27-3-2019 un pericoloso test di attacco missilistico per la distruzione di un proprio satellite ormai inattivo. Quel test ha creato una nuvola di detriti spaziali che comporta seri rischi per molti altri satelliti in orbita e riprende lo scenario del programma di Scudo Spaziale voluto da Reagan negli anni ’80 (all’epoca soprannominato Star Wars) e abbandonato dopo pochi anni per gli altissimi costi e per le sfide tecnologiche quasi insormontabili a quell’epoca. Il fatto che oggi l’India sia stata in grado di condurre un simile test, la dice lunga sugli avanzamenti tecnologici e sulle possibilità di accesso a queste tecnologie anche da parte di paesi che non sono superpotenze.

Ed ecco quindi lo scenario Star Wars 2.0: non più solo difesa missilistica ma occupazione militare permanente dello Spazio.

È il coronamento di una visione guerrafondaia iniziata immediatamente dopo il lancio del primo satellite sovietico Sputnik-1 nel 1957. Basti pensare che il primo satellite inglese Ariel-1 lanciato nell’aprile 1962 venne danneggiato inavvertitamente 3 mesi dopo da un esperimento nucleare americano in alta atmosfera.

Da allora sono stati lanciati oltre 15.000 satelliti (per l’80% oggi inattivi), dei quali non è noto quanti fossero a uso militare per ovvie ragioni di segretezza, ma sicuramente oltre la metà.

Mentre il mondo corre allegramente verso il baratro tra drammatiche crisi climatiche, sanitarie e sociali, le grandi “potenze”, invece di cercare soluzioni, non sanno far altro che aggiungere nuove minacce.