Il 18 maggio del 1978, ben 42 anni fa, il Senato della Repubblica italiana ha approvato la legge sulla regolamentazione dell’interruzione volontaria di gravidanza con 160 voti favorevoli e 148 contrari. La legge 194 sarà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 140 il 22 maggio 1978, da cui prenderà il nome ufficiale.

 

La 194 consente alla donna, nei casi previsti dalla legge, di ricorrere alla interruzione volontaria di gravidanza in un ospedale o poliambulatorio convenzionato nei primi 90 giorni di gestazione in maniera libera, sicura e assistita.

Una legge rivoluzionaria per i diritti delle donne, che ha permesso, e permette tutt’ora, di evitare l’utilizzo di metodi abortivi illegali e pericolosi, mettendo a rischio la propria salute.

Prima di questa legge le donne che abortivano erano accusate di reato “contro l’integrità e la sanità della stirpe” poiché vigevano ancora le norme del “Codice Rocco” emanata nel 1930. La pena prevista era da uno a cinque anni di reclusione per le donne che si procuravano da sole l’aborto; da due a cinque anni per quelle che si sottoponevano all’interruzione e a chi lo praticava, con una possibile riduzione della pena solo “se il fatto è commesso per salvare l’onore proprio o quello di un prossimo congiunto”.

La legge 194 è strutturata su più articoli e credo sia importante riportarne alcuni:

Il prologo della legge (art. 1), recita: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.

L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite.

Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”

Nell’Articolo 2 e 3 parlano dei consultori, del loro compito di informazione che ha verso le donne che vogliono godere della procedura “contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza.” e  dei loro finanziamenti, invitando l’utilizzo democratico delle risorse senza farli disperdere ne strumentalizzare.

L’interruzione di gravidanza arriva solo nell’Articolo 4: “Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia”.

 

E poi c’è l’Articolo 9, punto dolente della legge, dove si parla dell’obiezione di coscienza che tutt’ora crea non pochi disagi alle donne che devono effettuare un’interruzione volontaria di gravidanza.

 

La legge concede infatti l’obiezione ai medici che sono dunque liberi di non eseguire aborti e tale mancata prestazione viene scaricata sui colleghi non obiettori portando così ad un sovraccarico di lavoro non riconosciuto in termini economici né di carriera. Inoltre all’art. 9 si vieta l’obiezione di struttura, ma non vi sono indicazioni pragmatiche per garantirne l’esecuzione.

Infatti esistono ancora ospedali a cui è impossibile ottenere anche solo un certificato per interruzione volontaria di gravidanza e questo si traduce nella vita delle pazienti con lunghissimi viaggi alla ricerca di un ospedale con personale non obiettore, allungando i tempi di attesa che per un aborto sono cruciali. Insomma, un nodo critico di questa legge che gioca una battaglia sul corpo delle donne.

 

Come diceva Paul B. Preciado “chiusi nella finzione individualista neoliberale viviamo con l’ingenua sensazione che il nostro corpo ci appartenga, che sia la nostra più intima proprietà. In realtà la maggior parte dei nostri organi è gestita da diverse istituzioni governative ed economiche. Di tutti gli organi del nostro corpo, l’utero è stato senza dubbio quello che nella storia è stato oggetto della maggiore espropriazione politica e economica”.

Dopo 42 anni la legge 194 fa ancora tanto discutere soprattutto dalle associazioni prolife e cattoliche. Ma questa legge, che ha permesso a milioni donne (80mila solo nel 2019) di poter scegliere in totale libertà e sicurezza del proprio corpo e della propria vita. Una legge forse incompleta, migliorabile, ma che al momento attuale bisogna difendere con le unghie e con i denti.

Una vera e propria svolta per l’emancipazione e l’autodeterminazione delle donne che possono finalmente scegliere della propria maternità, in una società in cui la maternità viene considerata, erroneamente, parte integrante della propria femminilità.