23 maggio 1992, ore 17:57: sull’autostrada A29 (Sicilia, Capaci, in provincia di Palermo) viene fatto saltare in aria il corteo della scorta del magistrato antimafia Giovanni Falcone.
23 maggio 1992, ore 19:05: viene annunciato il decesso di Giovanni Falcone.
Un’ora e otto minuti di apnea italiana, per poi sciogliersi in un silenzio nazionale.
La mafia aveva vinto? Cosa sarebbe successo ora?
Con Falcone morirono sua moglie e gli agenti della scorta e rimasero ferite 23 persone. Ma no: la mafia non aveva vinto.
Falcone fu un uomo che lottò con tutte le sue forze, riuscì ad arrivare ai traffici intercontinentali tra la Sicilia e New York, mettendo in luce fatti che prima erano sepolti da valanghe di soldi riciclati. Visse durante uno dei periodi più sanguinosi della lotta contro le mafie: vide morire tanti collaboratori, colleghi e non, per mano dei clan corleonesi, come Giuseppe (Beppe) Montana e Ninni Cassarà, ma non si arrese.
Una delle operazioni più note condotte da Falcone, Borsellino e dal pool antimafia fu il cosiddetto Maxiprocesso contro la mafia in Italia, che iniziò il 10 febbraio ’86 e terminò il 17 dicembre ’87, con grandi risultati: 360 condanne per un totale di 2.665 anni di carcere e più di undici miliardi di lire di multe da pagare.
Falcone sapeva di essere esposto a un pericolo molto alto.
Nel 1989 vi fu un primo tentativo di omicidio nei suoi confronti: l’attentato di Addaura. Falcone si trovava nella villa affittata per le vacanze al mare quando alcuni mafiosi piazzarono 58 candelotti di tritolo in mezzo agli scogli, vicino alla villa, ma l’attentato fallì (probabilmente per un difetto nell’ordigno).
Il 10 agosto 1991 si trovava ai funerali di Antonio Scopelliti e affermò: “Se hanno deciso così non si fermeranno più, ora il prossimo sarò io”.
Passarono mesi, Falcone si trovava a Roma e ricevette un foglio con un avvertimento. Pochi giorni prima della strage di Capaci affermò: “Mi hanno delegittimato, stavolta i boss mi ammazzano”. E così avvenne.
Rientrava da Roma, come sempre nel weekend, era atterrato pochi minuti prima all’aeroporto e si trovava sull’A29 in direzione Palermo insieme al corteo di scorta. Un mafioso, Gioacchino La Barbera, li seguì fino all’uscita per Capaci mentre era al telefono con i suoi collaboratori Giovanni Brusca e Antonio Gioè, che intanto osservavano dalle colline sovrastanti. Terminò la telefonata e pochi secondi dopo Brusca azionò l’ordigno: 1.000 kg di tritolo posizionati in un cunicolo di drenaggio sotto l’autostrada esplosero in pochi secondi. Falcone morì un’ora e sette minuti dopo, ma in Italia la notizia dell’attentato era ormai in tutte le strade.
La mafia, Cosa Nostra, aveva ucciso un uomo, ma non le sue idee, per questo non ha vinto e non vincerà: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.”
Questo è un periodo particolare per l’Italia (e non solo); la ripresa della “vita outdoor” mette alla prova chiunque, ma non è il tempo di arrendersi, bensì di cambiare.
“Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare.” Giovanni Falcone.