Abbiamo avuto l’occasione di intervistare Laura Silvia Battaglia, giornalista, videomaker, esperta di Medioriente che oggi ci parla del tema della tracciabilità del mercato delle armi e del ruolo dei giornalisti.
Cosa possono fare i giornalisti investigativi che si occupano di tracciabilità del mercato delle armi?
Possono mettere a disposizione il giornalismo dei dati informatici in open source (in gergo definito OSINT) ai fini della verifica incrociata dei dati forniti in formale regime di trasparenza dagli Stati che la dichiarano (le democrazie europee sono tra questi) con i dati forniti dalle aziende produttrici di armamenti (quantità di produzione annuale, qualità di produzione e diversificazione, destinazione, modalità di destinazione, contratti, protocolli, utili aziendali). Il principio di base non è contrastare il mercato internazionale in chiaro delle armi che esiste comunque, che siamo pacifisti o no. Il punto è verificare che quanto dichiarato da governi e aziende “in trasparenza” dei limiti che gli Stati stessi si impongono corrisponda a verifica costante. E, purtroppo, scopriamo, abbastanza sistematicamente, che ciò non accade.
Di quali risorse si può avvalere il giornalista investigativo?
Innanzi tutto non lo si può fare da soli. Il mito del giornalista investigativo genio solitario che incontra gole profonde è assolutamente da sfatare. Questo lavoro si fa in team transnazionali, dislocati in diverse parti del mondo, che scambiano dati sensibili usando un determinato server e che sono composti da diverse professionalità: giornalisti, traduttori, ingegneri informatici, esperti di diritto internazionale, avvocati, ricercatori, ex militari, sviluppatori in 3 D. Queste stesse persone accade che un certo numero di volte l’anno si incontrino in bootcamps e si dedichino a una specifica investigazione a capofitto in una/due settimane di intenso lavoro. Questo modello che si sostiene grazie a grant di diversi organismi internazionali che finanziano progetti di giornalismo investigativo, ha il suo massimo esponente nel collettivo Bellingcat. Esistono progetti che in Bellingcat confluiscono e che si concentrano in modo specifico sulla tracciabilità del mercato delle armi . Quello di cui faccio parte è #EUarms di Lighthouse Report . Cosa facciamo? Sostanzialmente, partiamo dal confronto tra le leggi europee, le costituzioni dei diversi Paesi, i rapporti annuali dei governi nei parlamenti e i bilanci annuali delle aziende del settore per vedere se esistono delle discrepanze in termini quantitativi e qualitativi (esempio: la costituzione di un determinato Paese impedisce di vendere delle armi a un Paese in guerra; quanto dichiarato in trasparenza dal governo di uno Stato nell’anno X non corrisponde alla somma quantitativa e qualitativa delle esportazioni dichiarate dalle aziende nazionali verso alcuni paesi). Riusciamo a farlo anche con l’aiuto di ngo internazionali che si occupano di monitorare questi mercati: cito SIPRI e Rete Disarmo per tutte. Una volta individuata la discrepanza tra i documenti, se ne cercano le tracce in ambiente informatico aperto. Cosa vuol dire? Vuol dire che, unendo i puntini, si riesce sempre a capire, ad esempio, se un carico di armi,italiane, esportato un tot numero di anni fa dall’Italia alla Libia di Gheddafi, oggi sia in uso alle milizie locali che noi combattiamo a fianco del governo di Tripoli; oppure se una serie di elicotteri italiani venduti alla Turchia di Erdogan siano stati utilizzati dal governo turco per operazioni di guerra nella zona turca-curda, il che sarebbe del tutto in contrasto con alcuni principi sottoscritti dai Paesi Europei riguardo alle violazioni dei diritti umani; stessa cosa per dei veicoli blindati italiani per la polizia venduti all’Egitto di Mubarak e poi utilizzati, debitamente armati con altre componenti di artiglieria leggera e di precisione elettronica, durante manifestazioni del 2011 e successive per la soppressione fisica dei protestanti, anche qui in piena violazione dei diritti umani internazionali che tanto difendiamo. Tutte queste storie che abbiamo prodotto in un anno, relative ad armi prodotte ed esportate da Francia, Belgio, Germania, Spagna e Italia, le potete trovare qui .
Ma basta solo confrontare documenti ufficiali o c’è da fare altro?
Ovviamente non basta. Utilizzando una serie di software e strumenti di ricerca di cui solitamente gli utenti del web comuni non hanno idea (un esempio per tutti è sapere usare con dovizia uno strumento di Google come Google Earth nella versione per professionisti) è possibile ricostruire tutta la strada che le armi fanno per arrivare da qualche parte. E’ possibile tracciare navi e aerei che arrivano a destinazione, incrociare, tramite le tracce lasciate su Youtube, Facebook, Twitter e altri social media, una serie di informazioni relative a fiere di armi, avvistamenti di corvette, operazioni d’aria e di terra, gruppi armati ed eserciti ufficiali. Molti dati si trovano semplicemente sui siti aziendali, a disposizione dei clienti potenziali compratori. In questo modo è possibile, nei casi di maggiore successo, ricostruire tutta la filiera dalla commessa della produzione al delivery, fino all’uso finale, e dimostrare che, nella maggior parte dei casi, anche il mercato cosiddetto “in chiaro” non rispetta il minimo della “trasparenza” che pretende di rispettare. In buona sostanza, ci vuole molto tempo, un gruppo preparato e affiatato di buoni professionisti e grande dedizione. Ma i risultati sono sempre molto soddisfacenti.
Il grande pubblico però non è informato di questo…
In realtà abbiamo sviluppato delle media partnership anche con media mainstream di grande qualità e diffusione in questi anni. Il collettivo Bellingcat è diventato collaboratore fisso del New York Times, del Washington Post e della BBC. Il progetto #Euarms ha sviluppato partnership di peso in tutti i suoi bootcamp: per la Francia con Radio France, Arte, Mediapart; per la Germania con Spiegel e ZDF; in Italia con Report della Rai e il Fatto quotidiano. Se devo essere sincera, credo semplicemente che la parte finale di questo percorso, dopo tutti gli sforzi che noi facciamo, spetti al lettore. Se il cittadino non applica forme di cittadinanza attiva, se sa solo lamentarsi del fatto che di queste cose non ne parla Porta a Porta o il TG1, non ha capito come funziona il sistema dell’informazione ma non ha anche capito come funziona la democrazia e non ha capito che noi abbiamo bisogno di lui. Leggere e informarsi è un esercizio faticoso e non può essere un fast food . E’ uno slow food che abbisogna di attenzione e dedizione. Per chi lo può fare, lo sa fare e lo vuole fare, noi lavoriamo per lui e intanto gli facciamo sapere che esistiamo e abbiamo preso seriamente questo impegno per il bene comune.