Stiamo uscendo, in maniera lenta e confusa, da una pandemia globale che, tra i tanti temi posti al centro della riflessione, sta sollecitando anche quello della famiglia transnazionale.
Il fenomeno migratorio è incorporato nelle dinamiche e nei fabbisogni della nostra società, in particolare in quella occidentale, in cui si nota una sempre più evidente stratificazione internazionale che vede gli immigrati protagonisti attivi in settori diversi (per fare un esempio di cui si sta dibattendo molto: i braccianti nei campi agricoli italiani) per sostenere la famiglia e tenere vivo il rapporto con i parenti rimasti nel paese di origine. Il transnazionalismo è spesso volontario proprio per questo motivo, ma rivela conseguenze tipiche di una scelta forzata.
Tale fenomeno riguarda, in particolare, le donne che negli ultimi quindici anni hanno iniziato a viaggiare, a spostarsi per cercare lavoro altrove, lasciando dietro di sé i figli, destinandoli alle cure di madri, sorelle, o altre donne salariate in terra d’origine, raramente alle cure degli uomini, dei mariti che soffrono la perdita del ruolo primario all’interno del nucleo familiare.
Il fenomeno delle donne migranti lavoratrici può essere considerato esemplare per vari motivi: il primo perché viene definito un “welfare informale”, invisibile, spesso pagato in nero. Si viene così a creare un legame tra domanda (da parte delle famiglie occidentali più abbienti che non riescono ad accudire i propri cari e necessitano di un aiuto esterno) e offerta (da parte di persone – spesso donne, ma anche uomini in taluni casi – povere e straniere che offrono il caregiving come collaboratori e assistenti domiciliari). Tale legame è proficuo per entrambe le parti , ma in questo modo si evidenzia anche la dicotomia tra immigrati regolari (utili, da includere nel tessuto sociale) e immigrati irregolari (fuori legge, pericolosi e da respingere).
In secondo luogo, le disposizioni giuridiche dei paesi riceventi rafforzano il teorema secondo cui è possibile far entrare nel paese una donna straniera (più o meno formalmente), ma risulta difficile per lei ricongiungersi con i propri familiari nello stesso luogo di accoglienza. Le donne sono, prima di tutto, mogli e madri e per loro il percorso di migrazione è più doloroso che per altri soggetti: è vero che la tecnologia avanzata permette di mantenere i contatti con figli, mariti e genitori, ma non è sufficiente. Il senso di colpa per averli abbandonati permane sempre; sono frequenti, purtroppo, casi di forte depressione e di suicidio sia da parte delle madri sia da parte dei figli, sottoposti a sentimenti di solitudine, inadeguatezza e vulnerabilità. Il ricongiungimento familiare è utile – anche se spesso frenato dalle procedure burocratiche – ma non risolutivo in quanto comporta necessariamente cambiamenti strutturali all’interno della stessa famiglia transnazionale: la madre diventa più autonoma economicamente, aumenta la sua autorevolezza nell’educazione dei figli, crea legami con altre donne, imparando la lingua del luogo in cui vive e lavora…E quindi si viene a creare un’alterazione nei rapporti di genere.
Posto questo, bisogna ribadire che sarebbe utile proporre un’offerta di lavoro a domicilio a donne adulte, che abbiano già cresciuto i propri figli; sarebbe utile concedere il ricongiungimento nel paese di accoglienza per evitare l’insorgere di problemi psicologici e per il contenimento di comportamenti indesiderabili; sarebbe necessaria (e chissà se la pandemia ha fatto riflettere, come dicevamo all’inizio, su questo tema) una revisione delle procedure di assistenza degli anziani e delle persone con disabilità. E’ fondamentale, oggi più che mai, un’attenzione mirata alle disuguaglianze sociali, a livello di reddito e di contratti di lavoro, in particolare per gli autonomi. Si auspica, in definitiva, una globalizzazione dal basso, orientata verso una società includente, basata sul mutuo aiuto e sulla regolarizzazione delle professioni e dello status giuridico delle persone straniere.
A.D.R.I. (Associazione Donne Rumene in Italia) e Associazione Per i Diritti umani vi invitano alla tavola rotonda che si terrà venerdì 15 maggio, alle ore 18 dal titolo “Migrazioni e famiglie transnazionali”, in diretta streaming su piattaforma Zoom.