Dopo le testimonianze di Anita Sonego, Pietro Forconi, Davide Scotti, Mattia Rigodanza, Serena Vitucci, Veronica Alfonsi, Rolando D’Alessandro, Antonella Freggiaro, Valerio Colombaroli, Amnesty International di Legnano, “Storiesalvatutti” e “Ceste sospese” , Marco Inglessis, Roberto Fanti, Paola Masiero, Matilda Zacco e Valentina Angotti e Mariagiulia Agnoletto, Luciana Bordin e della Banda degli Ottoni di Milano ascoltiamo Marco Cicorella di Opet Bosna.
L’emergenza coronavirus ha creato una situazione nuova x tutti, sconvolgendo abitudini e certezze, ma per gli attivisti ha significato anche la cancellazione di iniziative organizzate da tempo, o ancora da realizzare. Come hai vissuto e vivi questo momento?
A tutti noi è piombata addosso un’opprimente camicia di forza che ci rendeva immobili, come paralizzati!
Questa prima reazione è evaporata poco dopo, perché ci siamo resi conto che la realtà che viviamo come volontari che da anni seguono la questione migranti è sempre stata cosi instabile e mutante ogni giorno.
Mi rendo conto che forse è un concetto difficile da comprendere per chi, come noi cittadini non costretti a migrare, è abituato a programmare la sua vita in funzione del lavoro, della scuola dei figli: un’interruzione cosi brusca come quella creata dalla pandemia è sconvolgente.
Quello di cui, riflettendo con più freddezza, ci siamo resi conto è che in questi anni nelle zone dove interveniamo (in Bosnia sulla cosiddetta Rotta Balcanica) non abbiamo mai vissuto una certezza del futuro, una possibilità di progetto che non fosse interrotta per mille motivi: cambiamenti dei flussi migratori, cambiamenti di situazioni politiche interne alla Bosnia o esterne, dettate dalla politica europea, o dalle azioni dell’Erdogan di turno, eccetera.
Adesso certamente il cambiamento è stato ancora più drammatico: per un periodo che non sarà breve non potremmo più andare in Bosnia, se non facendo quarantene improbabili a ogni frontiera e rispettando il coprifuoco che vige da quelle parti.
La certezza di un futuro stabile è una “variabile costante” nella vita di un profugo e quindi nella nostra vita di volontari.
Quanto sopra esposto ci ha spinto a reinventarci: siamo usciti sui nostri balconi e finestre virtuali a gridare che, anche se nessuno ne parla più, la questione migrazione è ancora là e le persone che migrano hanno ancora più difficoltà da affrontare.
Quali risposte nuove e creative ha trovato il tuo gruppo per continuare la sua attività nonostante le limitazioni imposte da questa emergenza?
Grazie alla rete di contatti locali (principalmente a Velika Kladuša) siamo riusciti a sostenere un piccolo progetto di cucina “volante” x garantire poco meno di 100 pasti al giorno che raggiungono le persone negli spazi occupati.
Molti dei profughi che vivono fuori dai campi ufficiali gestiti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni sono concentrati in strutture che altro non sono che vecchie fabbriche riadattate in qualche modo, che non rispondono a nessun criterio di igiene e di idoneità al distanziamento sanitario, tanto sottolineato in tutti i paesi del mondo come misura fondamentale di prevenzione.
Ci vivono adesso più di 2.000 persone, in condizioni vergognose sotto ogni punto di vista e senza la possibilità di uscire sino a prossimo avviso.
Quindi il nostro primo obbiettivo è cercare di sostenere quelle persone che sono rimaste nelle case e nei capannoni abbandonati senza nessuna forma di sostentamento, che prima era garantito dall’operato dei volontari stranieri presenti in loco.
In questi giorni l’ong No Name Kitchen, con cui collaboriamo da tempo, sta organizzando – mediante una serie di accordi con i negozi di alimentari – un sistema di voucher da far arrivare a chi ne ha bisogno, in modo che possano comprarsi qualcosa da mangiare o beni di prima necessità.
La nostra non è una grande organizzazione, è un gruppo informale, quindi ci appoggiamo spesso ad altre associazioni più strutturate di noi, come NNK. Stiamo definendo quale può essere il nostro contributo in questa fase.
L’altra attività impegnativa che abbiamo avviato in questo periodo – per tenere alta la sensibilità al tema migrazione e per sentirci più vicini, compensando l’allontanamento sociale con una vicinanza comportamentale – è il Cineforum che abbiamo voluto chiamare Dai Balconi ai Balcani e Oltre.
Si tratta di una serie di documentari e film sulla rotta balcanica e non solo, sulle cause e sulle conseguenze delle migrazioni: ogni proiezione è seguita da un incontro online con autori e protagonisti o altri testimoni.
Siamo partiti due settimane fa riscuotendo un’ottima partecipazione sia ai film che agli incontri.
Invitiamo tutti a partecipare al prossimo appuntamento: martedì 12 maggio alle 20:45 il documentario “Schiavi di Riserva” sarà seguito dall’incontro con Michelangelo Severgnini, l’autore, e Ilaria Zambelli di Medici per i Diritti Umani.