Abbiamo seguito la seconda assemblea on line indetta dal Comitato Rodotà, alla quale hanno preso parte oltre duecentocinquanta iscritti. Moltissimi gli intervenuti durante le oltre tre ore di collegamento, una discussione fortemente condizionata dalla contingenza del lockdown che, in una certa misura, metterà alla prova le lodevoli iniziative programmate dalle quattro mozioni approvate e così titolate:
- M\2 Osservatorio regionale,
- M\3 Cantieri di Idee,
- M\4 Scuola-Attività integrative,
- M\5 Regolamento per la gestione partecipata dei beni comuni urbani.
Sulla base di questi assi dovrebbe pianificarsi l’azione dei Comitati locali che in ogni caso avranno ampi margini di autonomia nell’attuazione delle pratiche politiche nei territori. Complessivamente un progetto generoso su cui vogliamo sollevare una sola perplessità, in relazione ad alcune argomentazione a sostegno della proposta sulla scuola, soprattutto se l’obiettivo del Comitato è quello di allargare il quadro della comunità dei beni comuni, allorquando si invitano altre soggettività ad uscire fuori dal particulare nell’ambito sociale in cui si muovono. Nel merito, il documento sulla mozione-Scuola, ad esempio, manifesta la preoccupazione che “qualcuno pensi di cogliere l’occasione per eliminare il test Invalsi, strumento utile come diagnosi”. Orbene va ricordato che sugli “Invalsi” si determinerebbe una assoluta contrapposizione con la volontà manifestata dal movimento studentesco e dai sindacati di base della scuola da sempre contro le citate prove. Appare ovvio che su questo presupposto non si può pensare di aprire un dialogo con un importante segmento di società che coincide, guarda caso, con la generazione-Thunberg, scesa in piazza nei Fridays For Future.
Ma, al di là delle quattro mozioni, il vero risultato politico che qualifica il secondo incontro del Comitato Rodotà di sabato scorso è la mozione assembleare presentata a nome della Presidenza da Ugo Mattei ed unanimemente condivisa dall’assise.
Un relazione appassionata quella di Mattei che non dimentica l’importanza della giornata del 25 Aprile, andando oltre la mera celebrazione del simulacro, facendo riemergere, invece, la memoria vivificata della lotta partigiana, i cui valori di Resistenza e Liberazione dal nazifascismo sono stati posti a fondamento della Costituzione Repubblicana, non mancando di rilevare come alcuni fondamentali principi costituzionali siano ancora disattesi o, peggio, aggirati e conculcati dalla razionalità capitalistica, interrompendo così quel ciclo virtuoso di inveramento sociale dei principi democratici costituzionalmente tutelati che è stato segnato dalla lotta di classe, almeno fino alla fine degli anni settanta: non a caso la riforma della sanità, realizzata sulla base dello spirito universalistico, è di quegli anni.
Infatti con la legge di riforma 833\78 si aboliva il “sistema corporativo delle mutue” e si istituiva il Servizio Sanitario Nazionale: un modello democratico che ridisegnava l’organizzazione della sanità in modo tale da rendere le prestazioni di cura accessibili a tutti cittadini, senza distinzione di censo o reddito. Da lì a breve, però, quel sistema democratico di tutela pubblica della salute sarebbe stato oggetto di durissimi attacchi concentrici: dapprima con l’occupazione burocratica e clientelare del ceto partitocratico e, a partire dagli anni novanta, con l’aziendalizzazione controllata sotto l’egida gestionale delle Regioni, in uno con la riduzione costante e progressiva della spesa destinata alla Sanità pubblica. Ovviamente non bisogna dimenticare che queste politiche economiche scellerate, volte a colpire in generale i bisogni sociali e che hanno determinato nuova povertà aggiuntiva a quella che versava già in condizione di indigenza assoluta, sono state adottate in questi decenni dai vari governi, sotto la spinta delle direttive neoliberiste imposte dalla governamentalità europea, sebbene con il diretto beneplacito del ceto istituzionale politico e tecnocratico nostrano, corresponsabile delle austere scelte recessive perseguite sul piano sociale per fronteggiare la crisi economica-finanziaria del 2008.
La centralità della sanità nell’analisi sviluppata da Ugo Mattei ha un significato strategico nel rilanciare il tema sui beni comuni, essendo quello della tutela pubblica della salute il fondamento della Carta costituzionale più riconoscibile. In questo senso si fa strada l’ipotesi di imbastire un referendum abrogativo dell’impianto dell’attuale apparato sanitario, per rimettere al centro il diritto alla salute come principale bene comune da tutelare, proprio in considerazione degli inconfutabili limiti registratisi dall’attuale gestione aziendalistica che hanno messo in ginocchio i presidi ospedalieri di fronte all’emergenza pandemica.
Si tratta di mettere in piede una campagna referendaria che sicuramente avrà un impatto positivo immediato sulla comunità, data la drammaticità dei fatti registratisi in questi dolorosi mesi, periodo dove s’è toccato con mano la gravità e i limiti mostrati dalla mercificazione della salute, dentro cui i malati vengono trasformati in clienti. V’è in gioco la possibilità di rimettere la Sanità nell’alveo delle conquiste democratiche, tornando ad essere declinata in chiave protettiva per l’intera società, mettendola al riparo – cosi come l’intera gamma dei beni comuni – dal saccheggio privatistico, cercando di «recuperare lo spirito universalistico del Servizio Sanitario Nazionale come “principio fondamentale” ai sensi dell’ Art. 117 della Costituzione, ponendo così le premesse per un processo di costruzione della salute come bene comune e dei beni materiali necessari per garantirne il suo pieno riconoscimento come beni pubblici sociali in un grande processo di riconversione ecologica».
In sostanza, così come recita la mozione assembleare del Comitato Rodotà, “occorre recuperare lo spirito della Legge 833/78, esito di importanti e lunghe battaglie politiche, la quale contiene “principi fondamentali” di tipo universalistico che rendono possibile la declinazione della salute come bene comune”. Fa bene il Comitato Rodotà a ricordare – richiamando implicitamente le responsabilità dell’intero ceto politico – come i principi neoliberisti (aziendalizzazione \ mercatismo \ privatizzazione, unitamente alla devoluzione gestionale regionale) siano stati gli snodi su cui si concentrò il Governo Amato che – con legge 502/92 – aveva avviato il processo di controriforma del SSN, i cui dettami sono tuttora in atto, validati e perseguiti dalla governace multilivello-UE, sulla scorta dei quali il nostro sistema sanitario è stato rimodellato in “una macrostruttura amministrativa, economico-finanziaria, politica, senza la connotazione originaria di universalità”. Insomma, si è edificato un sistema sanitario che esclude di fatto “14 milioni di cittadini” e che oggi “è messo a durissima prova da un virus” che denuncia e smaschera l’incompatibilità del mercato e della logica del profitto con la salute pubblica.
Fra i partner con cui si sta discutendo dell’ipotesi referendaria non poteva mancare Medicina Democratica, associazione fondata da Giulio Alfredo Maccacaro, da sempre contro la cura mercificata imposta dal processo controriformatore avviato nel ‘92 dal Governo Amato. Ma l’auspicio è che da qui possa partire una rete organizzativa delle soggettività diffuse nei territori che vada anche oltre, guardando anche alle possibili fuoriuscite della crisi. “Per questo il Comitato Rodotà sta mettendo a disposizione della cittadinanza tutta, in modo rigorosamente a-partitico, uno spazio di discussione che ha come scopo fondamentale quello di sospendere la sospensione della politica [corsivo nostro]” .
Il Comitato, pertanto, si sta impegnando a realizzare un’ampia rete sociale dentro cui far convergere ogni risorsa critica del modello neoliberista, immaginando in comune un’uscita dalla crisi, superamento che, ci si augura, non sia semplicemente un ritorno alla normalità: “Guai se la separazione fisica, già presentata come sociale, dovesse diventare anche politica. La perdita per i nostri valori costituzionali sarebbe insostenibile. Dal punto di vista degli interessi delle generazioni future, alla cui tutela il Comitato Rodotà si dedica, il ritorno alla normalità, lungi dall’essere la soluzione, è in realtà il problema“.
Quella referendaria, una volta verificatane la tecnicalità giuridica per la sua conforme ammissibilità, potrebbe essere il lancio di una campagna politica che riapra la stagione del conflitto dal basso, con la speranza di ribaltare lo scontro subito dall’alto, per mano diretta di una governamentalità globale agente sotto la regia neoliberista. Si potrà mai fermare questa sorta di nemesi del capitale iniziata con la sconfitta del movimento operaio e sociale nello scorso secolo e che non si arresta nemmeno davanti ai lutti provocati dalla sua arroganza?