Racconti dal Senegal al tempo del coronavirus
“Ogni sera così: voci, musiche, canti, preghiere, animali, bambini, luci e caos. Un caos che ha il suo senso, un caos ordinato. Questa è la città in cui sto vivendo da poco, immergendomi senza esitazione in un immenso teatro umano.” Così scrivevo qualche settimana fa sul mio diario personale prima che la situazione cambiasse in maniera tanto netta che ora è impossibile non notarlo. Da più di una settimana il Senegal ha chiuso le sue frontiere via terra, il suo spazio aereo ed ha istituito lo stato d’emergenza: il corona virus è arrivato anche qui.
La situazione però s’era insediata in Senegal ben prima che il suo presidente parlasse alla gente, e questo gap temporale di sicuro non ha aiutato, perché prendere sottogamba una pandemia globale già dichiarata dall’OMS e nascondersi dietro il dato che nel paese la situazione fosse più che tranquilla con meno di 5 casi (nella prima settimana di marzo) non è stata certo un’idea intelligente.
Ovviamente la situazione è peggiorata con il passare delle settimane: prima la chiusura delle scuole e delle Università, poi il divieto di manifestazioni pubbliche e religiose, infine il fatidico discorso del presidente. Da due settimane circa in Senegal vige il coprifuoco, il divieto di assembramenti e la chiusura di tutti i servizi salvo quelli farmaceutici ed alimentari (aperti solo i supermercati). Dall’alto di Keur Marietou, la struttura in cui convivo con i miei colleghi di progetto ed in cui siamo stati in isolamento preventivo per due settimane, l’immagine ricorrente è quella di una popolazione che non può fermarsi durante le ore del giorno, gente che va e che viene, gente in mezzo alla strada, forse solo un po’ meno di prima.
Poi però arrivano le 20:00 ed il coprifuoco inizia, non si cammina più per strada e tutto diventa deserto. Dopo cena ecco il silenzio totale, impossibile fino a poche settimane prima quando quasi non si riusciva a parlare in casa per tutto il paese dei balocchi che si animava da quell’ora e fino a dopo mezzanotte. Il silenzio ora è così forte che mi stordisce, se si esagera a parlare anzi ci riprendono dicendo che c’è gente che vuole dormire, ma come?!? Pikine non è più la stessa ed io non so se questo derivi dalla paura o da altro; così ogni sera mi tranquillizzo salendo in terrazza per guardare una luna bellissima in un cielo di stelle lucenti che forse proprio il silenzio ha portato a risplendere.
Andrea Briamo, volontario in servizio civile universale con Energia per i diritti umani onlus in Senegal.