Alla vigilia dell’Assemblea dei Soci di UniCredit, Re:Common e Greenpeace evidenziano come la banca continui a prestare miliardi al comparto del carbone, ignorando gli appelli delle Nazioni Unite e della scienza. In Europa, il 45% delle emissioni da carbone è responsabilità di sole cinque società: RWE (Germania), PGE (Polonia), EPH (Repubblica Ceca), Fortum-Uniper (Finlandia-Germania), CEZ (Repubblica Ceca). Dalle ricerche effettuate dalle due organizzazioni ambientaliste emerge come, dal 2016 al 2019, UniCredit abbia finanziato questi grandi inquinatori con 6 miliardi di euro.
Il carbone è responsabile di circa la metà delle emissioni legate ai combustibili fossili e si stima che ogni anno provochi la morte prematura di oltre 16 mila persone in Europa, a causa delle sostanze tossiche come mercurio e polveri sottili che provengono dalle ciminiere delle centrali. I costi sanitari addebitabili all’uso di questa fonte fossile ammontano invece a circa 45 miliardi di euro, interamente scaricati sul pubblico.
Il principale beneficiario dei finanziamenti elargiti da UniCredit è il colosso finlandese-tedesco Fortum-Uniper, con 4,7 miliardi di euro. Non solo Fortum-Uniper ha intenzione di completare una nuova centrale a carbone in Germania, Datteln 4, in aperta contraddizione con quanto richiesto dalle Nazioni Unite, ma ha anche minacciato di fare causa al governo dei Paesi Bassi, dal momento che quest’ultimo ha approvato una legge che prevede il phase-out dal carbone entro il 2030. Un’azione intimidatoria che non ha precedenti in Europa.
Fuori dall’Ue, Unicredit è inoltre il primo finanziatore straniero del carbone in Turchia, terzo Paese al mondo, dopo Cina e India, per piani di espansione di questo combustibile fossile.
«UniCredit si definisce sostenibile, ma rimane tra i primi finanziatori del carbone in Europa», dichiara Alessandro Runci, di Re:Common. «L’emergenza climatica non si combatte con la retorica, UniCredit deve smettere di prestare miliardi a chi costruisce nuove centrali e miniere, e deve iniziare subito».
Lo scorso novembre, UniCredit ha compiuto un primo passo cessando l’erogazione di prestiti diretti (project finance) per la costruzione di nuove centrali e miniere a carbone. L’impatto di questa restrizione è però vanificato dal fatto che il gruppo bancario continua a finanziare le società che intendono realizzare questi impianti.
Altre istituzioni finanziarie come Axa e Credit Agricole hanno introdotto policy molto più rigide di quella di UniCredit, vietando qualsiasi finanziamento a società che vorrebbero costruire nuove centrali e impegnandosi ad azzerare la loro esposizione al carbone entro il 2030 in Europa. Per Greenpeace e Re:Common, Unicredit dovrebbe seguire questo esempio invece di restare aggrappata al passato.
«Ogni nuova centrale che entra in funzione ci allontana da quanto ci chiede la scienza, ovvero di spegnere entro il 2030 l’80 per cento di quelle attive sul Pianeta per avere una chance di limitare l’aumento della temperatura media globale al di sotto di 1,5 gradi Centigradi», dichiara Luca Iacoboni di Greenpeace Italia. «Nonostante questo, al momento è in programma la costruzione di altre mille centrali in tutto il mondo, il che vanificherebbe ogni sforzo fatto finora. L’unico modo per disinnescare queste bombe climatiche è smettere di finanziare chi le sta realizzando. È tempo che UniCredit lo faccia», conclude.