Lo abbiamo visto ancora ieri in un convegno on line sul “Virus della guerra”. Adesso arriva la notizia. La prima reazione è no, non è possibile. E invece sì, Giulietto Chiesa, uno dei giornalisti più impegnati e più scomodi, uno di quelli con cui potevi scontrarti e urlare ma al quale non potevi non riconoscere onestà morale e intelligenza, ieri, a 79 anni è improvvisamente morto.
Per chi lo conosceva e ne conosceva l’energia intellettuale la notizia ha dell’incredibile. Sarà stato un infarto, quel male al cuore che porta via le persone sensibili alle ingiustizie del mondo con un dolore che s’insinua nelle vene fino a far scoppiare letteralmente il cuore! O forse un ictus. Al momento in cui scriviamo non si sa ancora, ma la notizia arriva fulminante. E ingiusta.
In passato chi scrive ebbe modo di incontrarsi e di scontrarsi con lui. Anche mezz’ora di toni violentissimi da entrambe le parti, ma questo non ha tolto il rispetto e la stima per un uomo che non ha mai temuto di perdere la “pacca sulla spalla” del potere e che si è inimicato tanti giornalisti suoi colleghi, spesso di livello incomparabilmente inferiore, ma ligi al potere (o, se volete, al dovere, quello di obbedire) e tanti politici a cui la sua “spregiudicatezza” dava molto fastidio.
Era stato una firma del vecchio Paese Sera, per molti anni era stato corrispondente da Mosca per l’Unità, per la Stampa e per alcuni Tg. La sua vita è sempre stata segnata dall’impegno politico a sinistra e sempre è stato un giornalista scomodo. Tanto amato e tanto avversato proprio per questa sua caratteristica.
Non sappiamo ancora di cosa sia morto, ma proprio perché pensiamo che l’abbia tradito il cuore lo ricordiamo con alcuni versi del poeta Nazim Hikmet che aveva reso in forma poetica quel male che lo opprimeva, l’angina pectoris, perché il suo cuore era in collegamento stretto col mondo e col suo dolore.
“Se qui c’è la metà del mio cuore, dottore,
l’altra metà sta in Cina
nella lunga marcia verso il Fiume Giallo.
E poi ogni mattina, dottore,
ogni mattina all’alba
il mio cuore lo fucilano in Grecia.
… …
E poi sono dieci anni, dottore,
che non ho niente in mano da offrire al mio popolo
niente altro che una mela
una mela rossa, il mio cuore.
È per tutto questo, dottore,
e non per l’arteriosclerosi, per la nicotina, per la prigione,
che ho quest’angina pectoris…”
Ora una voce scomoda non c’è più, ma abbiamo i suoi libri, i video con le sue interviste e tanto, ma proprio tanto su cui seguitare a riflettere e, se del caso, a contestare. Senza perdere il rispetto per un uomo che difficilmente il giornalismo attuale potrà rimpiazzare.
Non ci sentiamo di dire riposa in pace, perché Giulietto Chiesa non riposerà in pace, aveva ancora troppo da dire. Ma per lui parlerà l’eredità che ci ha lasciato e che seguiterà a farci discutere.
Quindi il nostro ultimo saluto è: che la terra ti sia lieve, Giulietto.