La regione del Mar Caspio ha le carte in regola per essere considerata un vero e proprio Eldorado. In questo bacino circondato da un alternarsi di deserti sconfinati e vette altissime, si cela un tesoro di inestimabile valore: 48 miliardi di barili di petrolio e 292 mila miliardi di piedi cubi di gas naturale (EIA, 2018). Iran e Unione Sovietica sono stati per svariati decenni i soli guardiani dell’Eldorado. Le due potenze si sono sforzate di escludere le influenze straniere dall’accesso a queste acque e di regolamentarne l’utilizzo sulla base di accordi bilaterali. Tuttavia, la situazione è cambiata radicalmente con la caduta dell’Unione Sovietica.
Azerbaigian, Kazakistan e Turkmenistan, i nuovi stati apparsi nella regione, hanno espresso fin da subito l’intenzione di usare le vastissime risorse caspiche come mezzo per la loro crescita economica. Proprio per questo motivo, l’accesso al bacino idrico e, soprattutto, alla sua enorme quantità di risorse energetiche, è un dilemma che si protrae da vent’anni e ruota intorno ad una domanda apparentemente banale: il Caspio è un mare o un lago?
Dietro questo enigma si trova la chiave per accedere ai tesori energetici del bacino. Se è un mare, in termini giuridici la sovranità dei paesi che vi si affacciano si calcola in base alla “linea mediana” tra la costa e il limite delle acque territoriali. Applicando tale principio, nel Caspio si verrebbero a creare dei veri e propri “settori di sovranità” con grandezze percentuali diverse: 30% per il Kazakistan, 20,6%, per l’Azerbaigian, 19,2% per il Turkmenistan, 15,6% per la Russia e, infine, 14,6% per l’Iran.
Se invece si accettasse che il Caspio è un lago, i cinque paesi costieri avrebbero parti uguali. E’ quel che vorrebbe Teheran per non trovarsi svantaggiata e non perdere preziosi giacimenti. Così, mentre nel Caspio settentrionale la Russia ha raggiunto accordi separati con Azerbaigian e Kazakistan per la spartizione delle risorse, in quello meridionale sono insorte varie dispute tra Azerbaigian, Iran e Turkmenistan.
Verso la svolta?
Una svolta in proposito è arrivata il 12 agosto 2018, quando i leader dei paesi rivieraschi, riuniti nella città portuale kazaka di Aktau, hanno siglato una Convenzione sullo status del Mar Caspio. Questo documento di 14 articoli, tra i vari argomenti trattati, sancisce due elementi fondamentali: definisce il Mar Caspio quale “mare chiuso e inaccessibile all’attività militare da parte di Stati stranieri” e regolamenta la spinosa questione delle nuove infrastrutture energetiche.
Il primo punto nasce dalle preoccupazioni di Mosca e Teheran per la crescente presenza americana nella regione. Washington cerca, infatti, di consolidare le relazioni strategiche con Azerbaigian e Kazakistan e considera il Caspio come crocevia per i rifornimenti verso l’Afghanistan.
Il secondo, all’articolo 14, consente agli stati costieri di posare condotte nell’intero bacino, previo accordo coi paesi coinvolti. Su questo punto hanno molto premuto gli stati di formazione più recente. La possibilità di realizzare in tal modo infrastrutture energetiche alternative al dominio di Mosca e Teheran non è passata inosservata ai vari attori esterni interessati alle risorse della regione.
Tra le possibili infrastrutture troviamo il Trans-Caspian Pipeline (TCP): un gasdotto sottomarino progettato per indirizzare da Türkmenbaşy (Turkmenistan) a Baku (Azerbaigian) 30 miliardi di metri cubi di gas. L’iniziativa è supportata soprattutto da Stati Uniti e Unione Europea. Questo perché, una volta giunto in Azerbaigian, il gas turkmeno si unirebbe al Corridoio Meridionale del Gas: una condotta di 3500 chilometri che connette i giacimenti del Caspio alla Puglia, una pedina essenziale nella strategia europea di diversificazione delle fonti di approvvigionamento. È un progetto in stato avanzato. Il Turkmenistan, dotato della quarta maggiore riserva di gas naturale al mondo dopo Russia, Iran e Qatar, è deciso ad avviare questa importante iniziativa.
Guai però a sottovalutare le due superpotenze del gas. Prima di firmare la Convenzione, Mosca e Teheran hanno pensato alle contromisure. La seconda clausola dell’articolo 14 prevede che gli Stati del Caspio possano impugnare i progetti proposti da uno o più paesi esibendo studi alternativi o contro-relazioni sull’impatto ambientale. Russia e Iran possono dunque invocare il rischio ambientale a pretesto per impedire nuove rotte del trasporto di idrocarburi.
Va inoltre detto che il TCP presenta ulteriori incognite. Come la concorrenza del gas russo e, in parte, azero, visti i costi elevati di far passare il gas turkmeno per il corridoio meridionale del gas (Raimondi, 2018). Oppure il possibile dietrofront degli Stati Uniti, preoccupati da una possibile concorrenza del TCP alle loro esportazioni di gas naturale liquefatto (GNL). Infine il Turkmenistan, benché interessato al gasdotto, ha messo in cima alle priorità della sua politica energetica altri obiettivi, considerati più raggiungibili: espandere le infrastrutture energetiche che lo collegano alla Cina (da cui già tanto dipende per le sue esportazioni) e costruire il TAPI (il gasdotto Turkmenistan – Afghanistan – Pakistan – India).
In conclusione, si può dire che se dopo la caduta dell’Unione Sovietica il mar Caspio ha cessato di essere inaccessibile come un tempo, con l’accordo sul Corridoio Meridionale del Gas le porte dell’Eldorado sono state definitivamente aperte. Tuttavia, la Convenzione sul Caspio del 2018 dimostra che Russia ed Iran non sono disposte a tollerare estranei in quello che ancora considerano l’orto di casa propria. Turkmenistan e Kazakistan non potranno perciò esportare le loro enormi ricchezze energetiche come meglio ritengono, almeno nel breve periodo. Sta agli attori esterni, Bruxelles in primis, assumersi l’onere di intensificare il loro ruolo nella regione.