Disponibili nuovi e importanti dati sul rapporto tra uomo, acqua e patrimonio idrico. Nel corso degli ultimi cento anni l’utilizzo globale dell’acqua è cresciuto di sei volte, una crescita che proseguirà costantemente ad un tasso pari a circa l’1% annuo in conseguenza dell’incremento della popolazione, dello sviluppo economico e del cambiamento dei modelli di consumo.
Al termine del periodo degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (2000-2015), sono moltissime le criticità che vengono evidenziate in molte parti del mondo. Molto resta ancora da fare per raggiungere i nuovi e più alti livelli di approvvigionamento idrico e di servizi igienico-sanitari gestiti in sicurezza come definiti negli obiettivi di sviluppo sostenibile, rispettivamente per i 2,2 miliardi e i 4,2 miliardi di persone ancora non in grado di accedere a questi più elevati livelli di servizio.
L’Onu ha pubblicato il Rapporto 2020 sullo sviluppo idrico e richiama l’intera comunità internazionale a saper gestire questa preziosa risorsa. C’è molta preoccupazione tra gli esperti, che trapela chiaramente nel Rapporto mondiale sullo sviluppo idrico 2020, pubblicato dall’Unesco per conto dell’Agenzia dell’Onu sull’Acqua (UN-Water). “I cambiamenti climatici influenzeranno la disponibilità, la qualità e la quantità di acqua necessaria per i bisogni umani di base, compromettendo così il godimento dei diritti fondamentali all’acqua potabile e alle strutture igienico-sanitarie per miliardi di persone”, leggiamo nel documento. Da qui l’invito rivolto agli Stati “ad assumere impegni più concreti per affrontare la sfida”, che vede allontanarsi l’obiettivo fissato dall’Onu nell’Agenda per lo sviluppo sostenibile di garantire l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari di base a tutti entro il 2030.
Una sfida considerevole, visto che oggi 2,2 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile. Se l’uso dell’acqua è aumentato di sei volte nel secolo scorso, si stima che il cambiamento climatico e la crescente frequenza di eventi estremi, come tempeste, inondazioni e siccità, aggraverà la situazione nei paesi che già soffrono di “stress idrici” e genererà problemi simili in altre aree. Per questo gli autori del rapporto sottolineano che “una cattiva gestione dell’acqua tende ad esacerbare gli impatti del cambiamento climatico, non solo sulle risorse idriche, ma sulla società nel suo complesso”. Problematiche che risultano aggravate da cattive politiche di investimento nelle strutture pubbliche legate al patrimonio idraulico e inefficaci politiche di privatizzazione del settore, che non hanno garantito nessun beneficio per la popolazione mondiale.
Preoccupazioni ribadite anche da Eriberto Eulisse, direttore della Rete Mondiale Unesco dei Musei dell’Acqua (una iniziativa del Programma Idrologico Internazionale dell’Unesco-Ihp) con queste parole: “Come sta drammaticamente mettendo in luce la recente pandemia, per tutelare meglio la salute di tutti è importante riflettere sulla necessità di investire maggiormente nei servizi di adduzione e depurazione delle acque, per vivere in un ambiente più sicuro. Le conseguenze di questa mancata attenzione potrebbero essere devastanti per le future generazioni. La lezione del Covid-19 dovrebbe insomma indurci a considerare con maggiore lungimiranza il valore dei patrimoni idraulici ereditati, senza i quali non sarà mai pensabile quella necessaria transizione verso nuove e più sostenibili modalità di produzione e consumo”.
“L’acqua non deve essere necessariamente un problema”, sostiene Audrey Azoulay, direttrice generale dell’Unesco, ma al contrario “può essere parte della soluzione”, se siamo capaci di gestire questa risorsa per mitigare e adattarci al cambiamento climatico.