“Ai repubblicani piace il voto per posta quando è usato da gente con due case ma non da gente che ha un secondo lavoro”. Così Terry McAuliffe, ex governatore della Virginia, rispondendo all’attacco al voto per posta di Donald Trump il quale lo ha definito “terribile” perché “nessun repubblicano vincerebbe mai più”.
In piena pandemia covid-19 i leader democratici hanno già fatto pressione sostenendo che per la sicurezza dei cittadini bisogna cominciare a prendere le precauzioni necessarie a garantire il diritto al voto. Il presidente Trump, ufficialmente residente in Florida, vota per corrispondenza perché risiede temporaneamente a Washington e gli sarebbe difficile, ma non impossibile, recarsi alle urne di persona. Per il 45esimo presidente votare per posta va bene ed è completamente legittimo ma solo per pochi. Per gli altri, continua Trump, ci sarebbe il rischio di troppi brogli. In realtà, Trump riflette la paura repubblicana che vede qualunque aumento degli afflussi alle urne come un pericolo per la loro sopravvivenza politica.
Il Partito Repubblicano ha una lunghissima storia di limitazioni del diritto al voto agli elettori nella convinzione, solo in parte esatta, che meno elettori esercitano il loro diritto, più loro avranno buoni risultati. Anche quando si tratta di rischiare la vita i repubblicani scelgono la strada più propensa a ridurre il numero di elettori. Lo si è visto nelle recenti elezioni dello Stato del Wisconsin. Il governatore di quello stato, Tony Evers, democratico, aveva emesso un’ordinanza per rinviare l’elezione, ma il parlamento dello stato, dominato dai repubblicani, si è opposto. Alla fine la Corte Suprema dello Stato, con 5 giudici tendenti a destra e 2 a sinistra, ha dato ragione ai repubblicani e l’elezione si è tenuta, nonostante il rischio del coronavirus.
L’obiezione di Trump e dei repubblicani al voto per posta rientra nelle manovre per rendere difficile l’esercizio al voto alle classi meno abbienti che di solito votano per i democratici. Questo spiega le insistenze burocratiche, le richieste di carte di identità anche nei casi in cui l’identità dell’elettore è gà stata accertata. L’idea che un cittadino si presenti a un seggio per votare usando l’identità di un’altra persona è rarissima. Rischiare pene severissime per votare non è allettante per nessuno anche perché in molte elezioni degli Stati Uniti meno del 50% partecipa al voto. Nelle elezioni presidenziali si passa la soglia del 50% ma in altre spesso la cifra è inferiore al 40 percento. Nella recente elezione in Wisconsin la partecipazione è stata solo del 34%. L’idea di frode elettorale, spesso citata dai repubblicani, è dunque inesistente come ci rivelano parecchi studi. Avviene molto di rado. Uno di questi casi è successo però nell’elezione del 2018 in North Carolina ma a barare non furono i democratici bensì i repubblicani. Un individuo che lavorava per candidati repubblicani si era presentato in case di anziani e aveva promesso di raccogliere le loro schede elettorali per recapitarle ai seggi ma invece le ha distrutte.
Gli aspetti positivi del voto per posta sono tanti perché rendono più facile la partecipazione. Ecco perché gli Stati del Colorado, Hawaii, Oregon, Washington e Utah lo usano abitualmente anche se offrono la possibilità di consegnare personalmente le schede elettorali all’ufficio della contea di residenza dell’elettore. Una trentina di altri Stati permettono il voto per posta su richiesta degli elettori senza bisogno di alcuna spiegazione mentre altri richiedono una giustificazione come malattia, residenza all’estero o servizio militare. In alcuni casi rari, però, il voto per posta richiede la presenza di un testimone e in rarissimi casi persino la presenza di un notaio.
Con la vittoria scontata di Joe Biden per la nomination del Partito Democratico le rimanenti primarie sono quasi divenute irrilevanti. Preoccupa però l’elezione di novembre che vedrebbe Trump e Biden avversari in un’elezione con l’ombra del coronavirus. L’attuale inquilino della Casa Bianca sta facendo di tutto per riaprire l’economia e tentare di rilanciarla, limitando le perdite, sperando nel miracolo della ripresa economica come sua carta vincente. Dall’altro lato i democratici sono preoccupati dall’inerzia repubblicana per accertarsi che l’elezione di novembre venga condotta in modo adeguato anche se si prevede e spera che il covid-19 sarà solo un bruttissimo ricordo. Ciononostante la preoccupazione di una seconda ondata di contagi potrebbe avere un forte impatto negativo all’afflusso alle urne. Ecco perché i democratici hanno insistito che lo stanziamento di 2,2mila miliardi approvato recentemente includesse 400 milioni di dollari dedicati a facilitare le elezioni. Non sarà ovviamente sufficiente. Ecco perché la senatrice Amy Klobuchar, democratica del Minnesota e già candidata alla nomination del Partito Democratico, ha introdotto un disegno di legge che richiederebbe a tutti gli Stati di offrire la scelta di votare per posta o recarsi alle urne. Non andrà in porto per l’opposizione dei repubblicani ma quella sarebbe la strada giusta per un’elezione democratica.
Alcuni studi ci dicono che nelle elezioni condotte per corrispondenza si ottiene più democrazia poiché il 3% in più di elettori vi partecipano. Non si tratta di una cifra grande ma abbastanza da potere essere decisiva, soprattutto in quella decina di Stati in bilico che spesso decidono le elezioni presidenziali. Va ricordato che nel 2000 George W. Bush fu eletto presidente per aver avuto la meglio in Florida con un margine di 500 voti.