La sera del 28 marzo 2020, con gran parte del mondo in quarantena, mii sono ricordata di una poesia di Nazim Hikmet ambientata il 28 marzo 1962, in cui da dietro il finestrino del treno PragaBerlino il poeta pensa alle cose che non si era reso conto di amare, come accade spesso a noi da dietro le finestre delle nostre case. Allora ho deciso di tradurla in italiano –  dalla traduzione inglese e condividerla sul mio profilo Facebook –  per farne dono a chi si trovava in questa condizione condivisa. (Pina Piccolo)

“È il 28 marzo 1962
Sono seduto accanto al finestrino del treno Praga-Berlino
Cala la notte
Non avevo mai saputo di amare
la notte che come uccello stanco scende sulla pianura
bagnata e fumosa
Non mi piace
paragonare il calar della notte a un uccello stanco

Non sapevo di amare la terra
Può amarla una persona che non l’ha mai lavorata?
Non ho mai lavorato la terra
Sarà solo di un amore platonico

Ed ecco, io, che da sempre amo i fiumi
siano essi immobili come questo che s’incurva
sfiorando le colline
colline europee incoronate da castelli
sia che si allunghino piatti a vista d’occhio
So che non ci si può lavare nello stesso fiume neppure una volta
So che il fiume porterà nuove luci che non potrai mai vedere
So che viviamo appena un po’ più del cavallo ma non
tanto quanto il corvo
So che prima di me delle persone hanno trovato tutto ciò inquietante
e che continuerà a disturbare quelle che verranno
dopo di me
Questo lo so perché è stato già detto mille volte prima
e verrà detto altre mille volte dopo

Non sapevo di amare il cielo
che fosse nuvoloso o chiaro
Quella volta celeste che Andrei aveva studiato supino
a Borodino
In prigione ho tradotto in turco entrambi i volumi di Guerra e Pace
Sento voci
non dalla volta celeste, ma dal cortile
Le guardie stanno di nuovo picchiando qualcuno

Non sapevo di amare gli alberi
I faggi spogli vicino a Mosca a Peredelkino
In essi mi imbattevo nel nobile e modesto inverno
I faggi sono russi allo stesso modo in cui i pioppi sono turchi
“I pioppi di Izmir
che perdono le foglie…
Mi chiamano Il Coltello…
Amante come un alberello…
Faccio saltare al cielo i palazzi signorili
Nel 1920 nei boschi di Ilgaz ho legato
un fazzoletto di lino ricamato
a un ramo di pino come talismano

Non ho mai saputo di amare le strade
pure quelle asfaltate
Vera è al volante, siamo in viaggio da Mosca alla Crimea
A Koktebele
che prima si chiamava Goktepe Ili in turco
noi due chiusi dentro una scatola
Il mondo ci scorre attorno da entrambi i lati distante e muto
Non sono mai stato tanto vicino a una persona in vita mia
Sono stato fermato dai banditi sulla strada rossa tra Bolu e Geredé
quando avevo diciotto anni
A parte la mia vita nella carrozza
non avevo altro che potessero prendersi
E a diciotto anni la vita è ciò a cui diamo meno valore
Questo l’ho scritto da qualche parte prima
Attraversando una strada fangosa e buia mi dirigo
verso il teatro delle ombre
È la notte di Ramadan
Una lanterna di carta mi indica la via
Forse niente di tutto questo è accaduto
Forse l’ho letto da qualche parte – un bambino di otto anni
che si reca al teatro delle ombre
la notte di Ramadan a Istanbul
tenuto per mano dal nonno
Il nonno porta il fez e un cappotto
di pelliccia
con il collo di zibellino sul mantello
E c’è una lanterna in mano al servo
E non sto nella pelle dalla gioia
chissà perché mi vengono in mente fiori
Papaveri, cactus e narcisi
Nel giardino di narcisi del quartiere Kadikoy di Istanbul ho baciato Marika
Il suo alito di mandorle fresche
Avevo diciassette anni
Il mio cuore su un’altalena che arrivava al cielo
Non sapevo di amare i fiori
In prigione i miei amici mi hanno mandato tre garofani rossi

Mi sono appena ricordato delle stelle
Anche quelle le amo
sia che ne resti estasiato guardandole dal basso
sia se gli voli accanto

Ho delle domande per i cosmonauti
Le stelle erano molto più grandi
sembravano gioielli giganteschi sul velluto nero
oppure albicocche o arance?
Vi siete sentiti fieri di esservi avvicinati alle stelle?
Ho visto foto del cosmo a colori
nella rivista Ogonek
Ora compagni
non arrabbiatevi, ma risultavano non figurative, diciamo,
o astratte
be, alcune sembravano proprio
dipinte, quindi diciamo
terribilmente figurative e concrete
avevo il cuore in gola al solo guardarle
Esse sono il nostro infinito desiderio di capire le cose
Guardandole potevo perfino pensare alla morte e non sentirmi
affatto triste

Non avevo mai saputo di amare il cosmo
mi lampeggia davanti agli occhi la neve
sia quella bagnata e fitta che quella asciutta e volteggiante
non sapevo di amare la neve

Non avevo mai saputo di amare il sole
Perfino in quei tramonti di ciliegia come ora
A Istanbul talvolta tramonta come nelle cartoline
ma mica dipingerlo con quei colori

Non sapevo di amare il mare
Tranne che il mare di Azov
Né quanto

Non sapevo di amare le nuvole
sia che mi trovi di sopra o di sotto
sia che sembrino giganti o bestie bianche e spelacchiate

Il chiaro di luna il più falso il più languido
Il più
piccolo borghese
mi colpisce
mi piace

Non sapevo di amare la pioggia
sia che cada come rete sottile o che si spiaccichi contro il vetro il mio
cuore mi lascia invischiato in una rete o intrappolato
dentro una goccia
e si avvia per paesi inesplorati che
non sapevo di amare
la pioggia Ma perché tutto a un tratto sto scoprendo
tutte queste passioni mentre siedo
accanto al finestrino del treno Praga Berlino
È forse perché ho acceso la mia sesta sigaretta
una sola basterebbe ad uccidermi

È forse perché sono mezzo morto pensando
a una donna rimasta a Mosca
dai capelli di paglia d’oro e le ciglia blu

Il treno sprofonda nella notte buia come la pece
Non sapevo di amare la notte buia come la pece
La caldaia sprigiona scintille
Non sapevo di amare le scintille
Non sapevo di amare così tante cose e ho dovuto aspettare
fino ai sessanta anni
per scoprirlo seduto accanto al finestrino
del treno Praga Berlino
guardando il mondo sparire come in un viaggio senza ritorno.”

Nazim Hikmet

19 aprile 1962
Mosca

Traduzione italiana di Pina Piccolo dalla traduzione inglese di Randy Blasig e Mutlu Konuk in Selected Poetry, Persea Books 1986.

Versione in lingua originale, turca, letta dall’attore teatrale Genco Erkal.