I gruppi Montecristi Vive e COMUNA fanno sentire la loro voce e avanzano una serie di proposte in risposta alle misure adottate e a quelle annunciate dal governo guidato da Lenin Moreno e che attendono l’approvazione da parte dell’Assemblea Nazionale ecuadoriana.
L’Ecuador sta vivendo una delle crisi più complicate e acute. La frustrazione e lo sconforto popolare continuano ad aumentare mentre cala la leadership governativa e persiste l’evidente ambizione da parte dei gruppi di potere, che continuano il loro impegno nel preservare i propri ritmi “normali” di accumulo e i privilegi, in cambio di briciole di sostegno. Tuttavia, il momento attuale è estremo: o si attua una redistribuzione aggressiva e urgente delle entrate e della ricchezza – cercando di coniugare giustizia sociale ed ecologica – oppure il Paese sprofonderà nella barbarie. È evidente che il modello neoliberale ha fallito in tutto il mondo. Persino le forze più conservatrici chiedono un cambiamento radicale dell’economia. La povertà, l’emarginazione sociale e l’estrema vulnerabilità sanitaria non solo rendono impraticabile, ma anche scandaloso, un modello basato esclusivamente sulla promozione della disuguaglianza. L’Ecuador sta affrontando le conseguenze non solo di questo modello globale, ma anche dell’incapacità politica interna nel promuovere quei cambiamenti che la popolazione chiede e di cui ha bisogno.
In una situazione così difficile è necessario lasciare da parte ogni approccio apparentemente apolitico. Non è questo il momento. Qualsiasi approccio è politico e più che mai deve esserlo oggi: è l’ora della politica, non di politicare. E lo è perché nel mezzo della tragedia umanitaria che stiamo vivendo non è ammissibile nessuna esperienza dittatoriale. Dobbiamo affrontare la gravità del momento storico che stiamo vivendo rafforzando l’istituzione democratica in tutti i suoi ambiti: dall’amministrazione della giustizia (dove persistono i corrotti che vogliono “metterci le mani”), fino alle manovre economiche (in cui la perdita di tempo implica la perdita di altre vite).
In economia, dove la priorità dovrebbe essere la sopravvivenza, l’urgenza è chiarissima: è necessario convogliare tutte le risorse disponibili per superare la pandemia del coronavirus, oltre che per impedire che la fame e la miseria distruggano la vita di milioni di famiglie. La vita prima di tutto. Né il debito estero né tantomeno i privilegi di pochi possono avere la meglio sulla vita. Oggi più che mai è necessario che l’economia abbandoni le proprie logiche di accumulo e diventi solidale, giusta, equa e ponga al centro di tutto la vita umana e la natura, sempre in armonia. Non possiamo continuare ad applicare un modello di economia privatistico, iniquo e accentratore di ricchezza e privilegi. La nascita di uno Stato plurinazionale, sociale e popolare non è più una scelta, ma un obbligo civile. Una volta superata la pandemia non sarà più possibile l’affermazione di uno Stato repressore e complice dei gruppi oligarchici. La democrazia deve occupare tutto lo Stato, ma non deve essere al servizio del capitale, bensì deve abbracciare la più ampia pluralità e partecipazione collettiva nell’assunzione delle decisioni.
Tuttavia, la soluzione non è da ricercare solo nello Stato. Per sopravvivere a una tale crisi sono fondamentali le comunità locali, le reti dei quartieri popolari, i gruppi che si occupano di salute e alimentazione e tutte le altre organizzazioni che sono nate dal basso, sovvertendo l’attuale ordine di sfruttamento e discriminazione. Solo il popolo salva il popolo. Solo con uno Stato nuovo, più democratico ed equo, è possibile affrontare la pandemia e preservare il maggior numero di vite umane. Senza redistribuzione e senza democrazia non sarà possibile superare questa crisi. Per questo motivo, invitiamo organizzazioni come il Parlamento dei Popoli, la CONAIE, il FUT e il Frente Popular a cercare di stringere accordi ampi, che diano risposte concrete per impedire ogni possibile omissione dei Diritti Umani e della Natura.
Dobbiamo esigere misure drastiche che siano in grado di trasformare in maniera profonda il modello sanitario che ci hanno imposto finora, basato su logiche imprenditoriali e curative. La pandemia ha confermato che solamente con un sistema sanitario basato sulla solidarietà e la prevenzione è possibile rispondere in modo efficace non solo a un’emergenza, ma anche ai diritti delle grandi maggioranze. Rendere pubblico il sistema sanitario è più che mai urgente.
Pertanto, e ribadendo le proposte economiche avanzate dal Parlamento dei Popoli, proponiamo:
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Socializzazione immediata del sistema bancario.
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Organizzazione di un sistema tributario, nel quale realmente chi guadagna e ha di più contribuisce maggiormente e in proporzioni crescenti. Per finanziare il superamento della crisi, è necessario applicare un’imposta a ogni patrimonio (sia sulle persone fisiche che sulle società) che superi, per esempio, il milione di dollari. Più alto è il patrimonio, più alta deve essere l’aliquota applicata. Tale imposta dovrà, inoltre, essere prevista anche per i patrimoni di coloro, persone fisiche o società ecuadoriane, che li hanno portati fuori dal Paese.
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Attenzione prioritaria a medici, infermieri, tecnologi e personale dipendente di ospedali e cliniche, impegnati nella lotta alla pandemia anche con il sacrificio della propria vita. È quanto mai urgente garantire un reddito dignitoso e un’assicurazione pubblica per sostenere in particolare le famiglie di coloro che in questo difficile impegno hanno perso la vita. Allo stesso modo, è necessario subordinare il sistema privato alla politica sanitaria pubblica, che deve essere ripensata: non bisogna mai dimenticare che la salute è un diritto, non un business.
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Trasferimento diretto di risorse e alimenti a coloro che sono direttamente colpiti da questa pandemia. A causa della quarantena, milioni di nostri connazionali non possono lavorare e se non vengono uccisi dal virus, moriranno di fame.
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Previsione di un reddito minimo straordinario per tutti gli impiegati. Questo deve essere considerato un primo passo verso la creazione di un reddito sociale minimo per le categorie più vulnerabili, e che potrebbe includere anche coloro che non hanno un impiego stabile.
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Destinazione di risorse – attraverso crediti e assistenza tecnica – ai piccoli e medi produttori e alle cooperative di produzione e di consumo per evitare che a causa della crisi debbano chiudere i battenti e per preservare la maggior parte dei posti di lavoro. Sarebbe anche opportuno pensare che per ogni sacrificio richiesto ai lavoratori, questi possano poi avere una partecipazione effettiva nella proprietà delle loro imprese.
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Rifiuto dei licenziamenti nel settore pubblico. E, invece, ricarico della spesa dell’adeguamento in questo settore a coloro che guadagnano più di duemila dollari al mese, e corresponsione della differenza tramite pagamenti elettronici; denaro che deve essere introdotto sotto il controllo diretto dello Stato, e con l’obiettivo di dare ossigeno all’economia per la fase post-pandemica.
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Garanzia di risorse per l’educazione, in particolare per il miglioramento e l’ampliamento della capacità tecnologica utile a consentire la didattica a distanza. Oltre a modificare le disposizioni burocratiche, è necessario pretendere che le società di internet aprano i propri canali in modo illimitato, e contribuiscano con la consegna di dispositivi che siano in grado di incentivare la didattica online e il trasferimento di informazioni. In tal senso, è importantissimo che l’intera popolazione possa avere accesso, nei prossimi sei mesi, alla rete internet in modo illimitato.
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Promozione della moratoria dell’intero debito pubblico.
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Impegno per costruire, partendo dalla società, un piano che consenta di uscire dalla crisi in modo giusto ed equo. A tal proposito, diventa fondamentale generare un dibattito pubblico con tutti gli ambiti sociali che hanno manifestato la volontà di trovare un accordo a tutela dei diritti della popolazione e che al contempo impedisca di scaricare i costi della crisi sulle categorie più deboli.
Oggi, il governo ha presentato un pacchetto di misure atte a mitigare la crisi economica e sociale. La richiesta di risorse straordinarie ai settori imprenditoriali privati è una misura positiva, ma insufficiente. Tali settori, che hanno molto beneficiato nel corso del precedente boom economico, dovrebbero impegnarsi maggiormente rispetto a quanto finora previsto. Altrimenti, alla fine saremo sempre noi gente comune a dover contribuire alla maggior parte della spese previste per l’emergenza.
Ci accingiamo a vivere una delle maggiori crisi della civiltà del capitale su scala mondiale (con minacce alla democrazia provenienti da più parti, che rifiutiamo in blocco). Nel mezzo di questa crisi, l’Ecuador non può rendere i ricchi più ricchi e i poveri sempre più poveri. Si tratta di una questione di fondamentale importanza.
E allora, avanti con la redistribuzione e la democratizzazione!
Traduzione dallo spagnolo di Ada De Micheli