Da quasi due mesi stiamo vivendo una crisi globale attesa, ma in una forma inconsueta che ha messo in crisi il quadro politico economico, istituzionale, amministrativo e valoriale nel nostro Paese. Di fronte al dolore e allo shock che sta investendo l’Italia, l’Europa e l’intero Pianeta, la narrazione di ciò che accade soccombe alle esigenze della cronaca e non lascia spazio a riflessioni più ampie e di prospettiva, che provino a fare tesoro dell’attuale situazione e della crisi economica, sociale e ambientale, per immaginare la ricostruzione del mondo all’indomani dell’epidemia.
L’Europa è epicentro di questa lotta tra pulsioni regressive-conservatrici e speranze di transizione trasformazione, ma, se le prime sono ben rappresentate dai Governi centro-settentrionali, decisi a mantenere l’egemonia culturale, economica e politica dell’agenda UE, alcune istanze riformatrici sono sostenute senza convinzione dagli Stati dell’Europa mediterranea, che incapaci di pensare fuori dai paradigmi dominanti e atterriti all’idea di perdere terreno, se ne allontanano.
I movimenti sociali hanno avuto il merito di individuare e indicare strade diverse e possibili, in equilibrio tra lo sviluppo dei sistemi umani e la biosfera. Questa capacità di visione deve aiutarci anche adesso per organizzare l’uscita dalla crisi e ciò che verrà dopo. Dal dopoguerra ad oggi, forse, non abbiamo avuto una finestra di opportunità come questa per sovvertire la narrativa globale sul futuro.
La pandemia sta mostrando la fragilità delle nostre società, delle forme di economia e democrazia. Di fronte a questa evidenza solare non possiamo accettare che le proposte avanzate da istituzioni, da parte del mondo scientifico e universitario e delle imprese, tentino di riportarci al fallimentare schema precedente. La risposta a questa crisi deve andare alla radice delle sue cause, prendendo di petto i fattori che rendono le nostre società così vulnerabili e inique.
L’Europa ha fatto evolvere il suo secolare dominio coloniale in una visione neoliberale, che dall’inizio del Novecento ha via via ridisegnato le istituzioni nazionali e internazionali con l’intento di proteggere il mercato dalle “irrazionalità” della democrazia. Questa operazione impedisce ai nostri Governi e Parlamenti di rispondere con la prontezza necessaria alle richieste di servizi, occupazione e transizione ecologica che vengono dalle comunità, per garantire diritti fondamentali e nuovi bisogni emersi con particolare urgenza in questa crisi.
Il regime di mercato che oggi regola l’esistenza e ha messo a profitto tutta la biosfera, mercificando e speculando sugli elementi alla base della vita stessa – ossigeno, idrogeno, carbonio e i loro composti – è un sistema che premia un ristretto numero di soggetti a spese della maggioranza.
Occorre invertire questa tendenza adesso. Noi chiediamo che i flussi economici mobilitati in queste ore e nel futuro siano sottoposti a rigorose e partecipate valutazioni d’impatto: vogliamo che inneschino e accompagnino una irrimandabile transizione ecologica, vincolando spese e investimenti al rafforzamento dei servizi pubblici essenziali (come la sanità, che solo in Italia ha subito tagli per 37 miliardi di euro in dieci anni) alla equa remunerazione e protezione dei lavoratori e alle produzioni non inquinanti.
Siamo contrari all’ennesimo salvataggio indiscriminato delle grandi imprese insostenibili a scapito delle persone e dei territori, così come non accettiamo passivamente soluzioni securitarie non bilanciate da misure altrettanto energiche di prevenzione e cura. Non tolleriamo violazioni della privacy e sospensioni dello stato di diritto sull’onda dell’emergenza.
Gli interventi devono avere come priorità il supporto a chi soffre la fame, a chi è senza casa o vive in insediamenti informali, a chi non può accedere ai servizi igienico-sanitari e a tutte le fasce più vulnerabili della nostra società, che meno hanno gli strumenti materiali e materiali per garantirsi una sopravvivenza dignitosa all’attuale pandemia e alla crisi che ne deriverà.
I servizi pubblici devono essere intesi come beni comuni essenziali, sostenuti e potenziati.
C’è una cosa che questa crisi ha reso innegabile: l’irragionevolezza dell’austerity, della logica dei conti in ordine e dei pareggi di bilancio che trasformano le persone e le loro vite in numeri da far quadrare, secondo un dogma imposto da forze che hanno falsificato la narrazione sul futuro per cristallizzare i rapporti di potere del presente.
Le ricette per risollevare il sistema dalla crisi del 2008 hanno esacerbato la povertà e le diseguaglianze, ma una auspicabile e importante mobilitazione di risorse per contrastare il Coronavirus ci offre l’opportunità di cambiare strada: questa è forse l’ultima occasione per indirizzare gli sforzi verso la ricostruzione di una società equa ed ecologica, condizionando gli aiuti a profonde riforme del sistema scientifico, economico e produttivo per dotare le società di una maggiore resilienza rispetto alla crisi climatica e agli impatti connessi.
La risposta alla pandemia, per traghettarci verso un mondo più giusto, deve senza indugio assicurare:
- Una elaborazione e valutazione partecipata e trasparente di tutte le misure da introdurre per arginare le crisi vecchie e nuove emerse con il Covid-19, valorizzando le esperienze e le competenze dei movimenti, dei sindacati, delle associazioni, dei protagonisti e delle reti dell’economia trasformativa e dei territori, per evitare di percorrere le strade battute e sbagliate che ci hanno portato alla situazione attuale; un più forte spazio di contrattazione collettiva per i lavoratori, così che possano ottenere gli strumenti più adeguati per evitare l’impoverimento.
- Misure innovative come il reddito di base contro la povertà e l’emarginazione, per uscire dalla crisi chiudendo quanto possibile la forbice delle diseguaglianze.
- Un prelievo fiscale finalmente congruo sui profitti e rendite parassitarie delle imprese multinazionali, per evitare che scarichino il peso della ricostruzione sulle spalle delle persone e del pianeta.
- La ripubblicizzazione piena dei servizi fondamentali come acqua, energia, trasporti, sanità e istruzione.
- L’abbandono dei vincoli di spesa e di indicatori fallimentari o incompleti per stimare la performance economica dei paesi; la moratoria sui negoziati e la revisione di tutti gli accordi di liberalizzazione commerciale, che hanno finora contribuito a bloccare politiche economiche espansive in direzione della sostenibilità.
- Il finanziamento immediato dei più ambiziosi obiettivi del Green-deal europeo, attraverso ferree condizioni da imporre alle imprese destinatarie degli aiuti.
- Il riorientamento delle spese militari a sostegno della transizione ecologica.
- La moratoria su trivellazioni e grandi opere, con la cancellazione dei sussidi dedicati, per spostare finalmente l’attenzione sulla decontaminazione e la bonifica dei luoghi devastati dall’estrazione di valore dalla natura.
- La liberazione del sistema scientifico dagli interessi privati e commerciali, per rafforzare la ricerca e orientarla all’interesse pubblico.
Questi sono alcuni dei nodi da portare alla luce in un nuovo dibattito pubblico che vogliamo il più ampio e partecipato possibile.
Insieme possiamo fare tesoro di questa crisi, costruire una reazione decisa al cambiamento climatico, lavorare al rafforzamento delle democrazie e delle idee più progressive di cooperazione dell’umanità nella rete della vita.