In Senegal, ma come in molti altri Paesi dell’Africa subsahariana, la pandemia di COVID-19 si sta facendo sentire non tanto per quanto riguarda gli effetti negativi sulla salute umana, ma in termini di conseguenze indirette sulla vita sociale ed economica delle popolazioni locali.
Nel 2018 l’ONG Action Contre la Faim ha messo in piedi un sistema d’allerta per la prevenzione del rischio connesso a possibili catastrofi naturali, che in questo periodo sta tornando molto utile. Il sistema si basa su un meccanismo semplice: una trentina di allevatori provenienti da tutto il Paese, le cosiddette sentinelle, sono incaricati di riempire settimanalmente un breve questionario, poche domande alle quali è possibile rispondere con un sms, senza bisogno di internet. Il sondaggio ha lo scopo di monitorare l’oscillazione dei prezzi del bestiame, delle derrate alimentari, ma anche di verificare la presenza di incendi sul territorio senegalese (molto frequenti soprattutto nel sud per le attività legate alla produzione di carbone), valutare il livello di foraggio nei campi o la disponibilità di fonti d’acqua. Grazie alle sentinelle che si recano personalmente presso i mercati locali di bestiame (i loumas), è possibile raccogliere informazioni puntuali e aggiornate.
Queste notizie sono poi tradotte in diverse lingue native, wolof e pular principalmente, e trasformate in spot diffusi dalle radio comunitarie ancora molto ascoltate da chi, nei contesti più rurali, non si può permettere la televisione o altri mezzi di comunicazione. La radio gioca il ruolo fondamentale di supportare i nomadi nelle loro rotte attraverso la steppa saheliana. Ad esempio, se un transumante decide di spostarsi e non sa che in una determinata zona c’è un incendio, tali informazioni lo aiuteranno nella pianificazione dell’alternativa.
Attualmente i pastori del Senegal stanno vivendo una grave crisi: a causa del deficit idrico del 2019 i pascoli sono già secchi e i numerosi incendi registrati nei primi mesi del 2020 hanno distrutto quel poco di foraggio residuo.
A questo scenario si stanno aggiungendo gli effetti della pandemia di COVID-19, monitorati da Dakar grazie a questo sistema di raccolta dati. Quanto sta emergendo è preoccupante. Con l’interdizione dei mercati i prezzi degli alimenti di base, come riso e miglio, stanno crescendo ogni giorno di più, mentre la vendita di animali si è praticamente arrestata causandone un’immediata svalutazione e l’insorgere di mercati paralleli, illegali, per dare la possibilità agli allevatori di vendere qualcosa.
Inoltre, la recente chiusura delle frontiere terrestri sta avendo un impatto significativo non solo sulle mandrie senegalesi, ma anche su quelle mauritaniane. Se la chiusura dei confini dovesse durare, le conseguenze rischiano seriamente di aggravarsi poiché il bestiame potrebbe non riuscire a rientrare in Mauritania. A questo, verosimilmente, seguirà un’altissima concentrazione di animali in alcune zone del Senegal e quindi ad un aumento dei conflitti tra agricoltori e pastori per l’accesso alla terra.
La transumanza rappresenta di fatto una strategia di adattamento essenziale agli shock climatici e per i pastori del Sahel è indispensabile. I conflitti insorgono per la divagazione del bestiame nei campi degli agricoltori, prima che questi siano riusciti ad ultimare il raccolto.
Solitamente il Senegal non registra molti scontri tra agricoltori e allevatori, come invece avviene in altri Stati saheliani, come la Nigeria, ma quest’anno i transumanti si sono spostati prima del solito e vari Comuni del Paese stanno iniziando ad impedire l’ingresso del bestiame, perché non accettato dalla popolazione.