Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera giunta alla nostra casella di posta elettronica.
Sono un caso di sospetto covid da più di un mese e il sistema sanitario mi ha abbandonata: sola in casa, priva di diagnosi, monitoraggio e cure.
Scrivo la presente, per denunciare una serie di fatti gravissimi nella quale sono incappata mio malgrado. Lavoro in un Call Center di Torino. Una di quelle attività che il governo nei suoi numerosi DPCM ha ritenuto un’attività essenziale. Sono andata a lavorare fino al 12 marzo. Circa 460 persone su tre piani, in modalità Open space. La modalità di lavoro a scacchiera è stata introdotta solo in data 10 marzo. Il metro di distanza non è stato subito rispettato. Come se fosse sufficiente a salvaguardare la nostra salute quando siamo chiusi in un unico spazio.
Il 13 marzo mi ammalo. Mi sale la febbre, mal di gola e mal di testa oltre a spossatezza e dolori alle ossa e muscolari. I classici sintomi influenzali. Essendo venerdì sera, inizialmente chiamo il numero verde della regione Piemonte 800192020, dedicato all’emergenza Covid-19. Dopo una breve intervista, mi viene comunicato che potrebbe trattarsi di Covid-19 e vengo invitata a chiamare la guardia medica. Dopo lunghe attese riesco a parlare con la guardia medica di Torino che mi prescrive due giorni di malattia e una terapia a base di Tachipirina, rimandandomi al mio medico di base. A quest’ultimo, telefonicamente comunico la mia condizione: durante il mattino, la febbre rimane sui 37,4°, ma dal pomeriggio in poi aumenta, arrivando a 37,8°.
Sabato 21 marzo la febbre arriva a 38,7° e lunedì 23 il mio medico mi segnala all’Asl come sospetto caso di Covid-19. Tuttavia, mi informa che in Piemonte non ci sono tamponi. Inizio così una terapia antibiotica (sempre su prescrizione del mio medico) sperando in un miglioramento. Durante i successivi 6 giorni della terapia antibiotica la febbre non scompare, attestandosi su una media di 37,8°. Finita la terapia, la febbre rimane su una media di 37,7°.
Giovedì 1° aprile il medico inoltra una nuova segnalazione all’Asl, sollecitando la precedente, per far sì che qualcuno venga a farmi il tampone.
Di fronte alle chiamate ai vari numeri verdi le risposte sono varie: prima i tamponi a Torino non ci sono, poi arrivano ma mancano i reagenti, poi ancora arriva tutto ma sono solo in ospedale e io sono casa, non posso uscire. Mi dicono: attendere che passi.
Lunedi 6 aprile: ho ancora la febbre. Le segnalazioni del mio medico non hanno avuto alcun seguito (nessuno mi ha MAI contattata dal SSN per sapere se fossi viva, per farmi il tampone e neanche misurarmi l’ossigeno) chiamo l’ospedale “Amedeo di Savoia” per prenotare i tamponi e per verificare la mia positività o meno al virus. Dall’ospedale, rinomato per la sua equipe di virologia, mi viene risposto che i tamponi non li fanno, mi forniscono il numero dell’Ufficio di Igiene e Sanità e mi abbandonano. Dall’Ufficio di Igiene e Sanità mi viene detto che nel fine settimana sono cambiati i portali delle segnalazioni in Piemonte, pertanto le mie (fatte dal mio medico) sono andate perse. L’operatore mi dice inoltre che devo far riaprire un’altra segnalazione dal mio medico (la terza) e che mi verrà aperta una procedura di quarantena, di attendere il codice che arriverà con a/r, e che successivamente verranno a farmi il tampone.
Mercoledì 8 aprile: Il mio medico non riscontra segnalazioni di quarantena sul portale dedicato e nessuno ha risposto alle sue segnalazioni effettuate a mio nome. Entrambe chiamiamo l’Ufficio di Igiene e Sanità. A lei dicono che non è stata aperta nessuna procedura di quarantena a mio nome né mai verrà aperta, in quanto non sono entrata in contatto con un positivo accertato (facile, in quanto a Torino a nessuno dei segnalati dai medici di base è stato effettuato, quindi di fatto nessun positivo): in malattia fino a che ho la febbre, più ulteriori 15 giorni (successivi alla guarigione avvenuta) di malattia cautelativa. Secondo l’UIS ci potrebbero volere anche dei mesi. A quel punto mi chiedo: lunedì 6 aprile con chi ho parlato? Tutto quello che mi è stato detto è falso? Richiamo l’Ufficio di Igiene e Sanità e riparlo con lo stesso signore che mi conferma di aver aperto la procedura di quarantena, ma che non essendo stata processata, perché sono oberati di pratiche, non ha ancora una sua validità e un codice da fornirmi a garanzia di quanto dettomi e pertanto di avere fiducia e attendere.
Avere fiducia? Io e il mio medico abbiamo ricevuto informazioni dallo stesso ufficio completamente contrastanti fra loro!
In serata mi chiama l’ASL di Torino un po’ seccata perché avevo chiamato troppe volte l’UIS. Rispiego sinteticamente la situazione e mi si risponde nuovamente che solo a chi ha avuto i contatti con i positivi viene effettuato il tampone. Quindi la mia pratica sarebbe stata chiusa e passata a chi gestisce i sospetti casi di Covid-19. In base al tipo di segnalazione, si dovrà decidere se farmi fare il tampone o meno. Peccato che poco prima mi è stato detto che il tampone viene fatto solo a coloro che sono entrati in contatto con positivi accertati, pertanto la risposta, di fatto, mi era stata già fornita. Infine, l’operatrice mi comunica che se lavoro in una grande azienda la procedura prevede che sia il medico aziendale a gestire questo genere di pratiche e sgarbatamente mi liquida: Ennesimo scaricabarile.
Chiamo nuovamente il numero regionale per le emergenze 800192020 che mi dice che loro non possono fare niente oltre che prendere le segnalazioni e mi fornisce nuovamente i numeri da chiamare per maggiori informazioni: di nuovo l’UIS. Lo stesso che ha fornito due versioni differenti a me e al mio medico e lo stesso che mi ha chiuso la pratica.
E’ quasi un mese che mi viene detto che sono sicuramente una pauci positiva covid-19 e allo stesso tempo, poiché i miei sintomi sono lievi (non ho crisi respiratorie) non rientro nelle procedure per avere un tampone? Lasciandomi di fatto da sola in casa, con la febbre, senza terapia (in assenza di diagnosi il medico non può prescrivermi alcunché). Risposta dell’operatrice: di febbre non si muore.
Ricapitolando: il comune cittadino, come me, non avendo sintomi Covid-19 gravi, pare non abbia il diritto di lamentarsi, di avere un tampone, di avere assistenza medica (che è un diritto per tutti!) e di avere cure adeguate.
In più. Oltre al danno anche la beffa. L’azienda per cui lavoro, che non si fa mai sfuggire occasione per sfruttare l’onda del momento, ha convertito i miei giorni di malattia (che non sono mai stati convertiti in quarantena a causa del mancato intervento dell’ASL) in Cassa integrazione.
A tutt’oggi, 15 aprile, ho ancora la febbre (in fase discendente) e nessuno della rispettabilissima città di Torino si è fatto sentire e/o vedere.
Con la preoccupazione ulteriore che, una volta guarita, come mi devo comportare se nessuno è venuto a farmi il tampone?
Lettera firmata