Signor Presidente, si ricorda? Nel precedente Governo, quando il Presidente della Repubblica Le affidò l’incarico per la formazione del governo, appena uscì dall’incontro affermò: “Sarò l’avvocato difensore del popolo italiano”. Per questo adesso mi rivolgo a Lei perché anche i detenuti fanno parte del popolo e hanno disperatamente bisogno di qualcuno che li difenda dal contagio del coronavirus, e di essere messi nelle condizioni di mantenere una distanza interpersonale di almeno un metro in una cella di pochi metri quadri con tre o quattro detenuti.
Signor Presidente, se la pena è solo vendetta, sofferenza e odio, come può fare bene o far guarire? Oltre alle responsabilità istituzionali, esistono quelle morali e intellettuali. La esorto, in tempo di coronavirus, a guardare cosa sta accadendo dentro le carceri italiane. Esiste ormai una rassegnazione diffusa all’illegalità, spesso incolpevole, sia per chi ci lavora, sia per chi ci vive. Ci sono uomini accatastati uno accanto all’altro, uno sopra l’altro, che hanno paura di ammalarsi. Quelli che vengono contagiati, vengono mandati in particolari sezioni d’isolamento e, mi creda, fare la quarantena in carcere non è come farla in un comodo appartamento. Mi permetta di ricordare che il dettato costituzionale assegna alla pena una funzione rieducativa, e non vendicativa, e che la Costituzione Italiana si onora solo quando si applica ai cittadini, a tutti, anche a quelli cattivi che sono in carcere a scontare una pena.
Signor Presidente, a nessuno importa sapere che nelle carceri italiani non c’è più spazio per vivere. Come fa il carcere e rieducare se i detenuti sono sbattuti come stracci contro sbarre e cemento? Molti di loro sono chiusi in una gabbia, come in un canile, privati degli affetti, di una carezza e di perdono, sono solo carne viva immagazzinata in una cella. Vivere in questo modo toglie ogni rimorso per quello che s’è fatto fuori. Bisogna ricordare che dietro i reati e le colpe ci sono ancora delle persone.
In questo momento molti di loro si sentono abbandonati a se stessi e al coronavirus. Il rimpianto Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini, che in galera passò lunghi anni, diceva spesso: “ Ricordatevi, quando avete a che fare con un detenuto, che molte volte avete davanti una persona migliore di quanto non lo siete voi”. Ricordo che vivere uno sopra l’altro è una condanna aggiuntiva, una condanna moltiplicata dal punto di vista fisico, psichico, morale e sanitario. Ricordo che il carcere in Italia non è solo il luogo dove ci vanno i delinquenti, ma è soprattutto una discarica per i ribelli sociali, gli emarginati, i diseredati, gli emigrati, i tossicodipendenti, insomma i figli di un Dio minore.
Signor Presidente, il carcere oltre a non funzionare, crea un essere vendicativo perché trasforma il colpevole in una vittima. Quando ricevi del male tutti i giorni ti dimentichi di averne fatto a tua volta. Si può capire l’odio, il rancore e il senso di vendetta della vittima di un reato, ma è difficile accettare e comprendere quello collettivo dello Stato. Nell’inferno delle nostre Patrie Galere ci sono alcuni detenuti che si tolgono la vita perché si sta così male che preferiscono morire che vivere, perché dalla sofferenza puoi tentare di scappare, ma non puoi cancellarla. Dentro quelle mura persino i sorrisi sanno di tristezza, perché ci sono uomini che non accarezzano da decenni le donne che amano. Molti detenuti da ragazzi non hanno mai ricevuto nessuna educazione e istruzione, come invece hanno ricevuto molte persone “perbene” ladre e corrotte. Questa cosa dovrebbe essere un’attenuante per i primi e un’aggravante per i secondi, invece i delinquenti poveri e ignoranti sono sempre considerati più criminali e cattivi di quelli istruiti e ricchi.
Signor Presidente, per l’emergenza coronavirus molti Paesi hanno svuotato le loro carceri, perché l’Italia, Patria del Diritto Romano, ancora non l’ha fatto? Lei ha detto: “Sarò l’avvocato degli italiani” ma lo sarà anche per i detenuti?
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