La pandemia coronavirus mette a rischio anche le persone che vivono e lavorano nei centri penitenziari. “Il contagio si estende nelle carceri italiane: positivi 58 detenuti e 178 agenti di custodia” era il titolo del quotidiano Corriere della Sera del 9 aprile. Questa situazione preoccupante si fa sentire anche dentro la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno della città di Torino. Quindi ho deciso di sentire alcune voci importanti per capire come, sin dall’inizio, è stata gestita la pandemia dentro il carcere e per scoprire se ci fossero delle iniziative nella società civile per attirare l’attenzione su questa situazione e creare una rete di solidarietà con tutte quelle persone in difficoltà.
Ad accogliere il mio appello sono state due mamme che hanno due giovani figli in carcere. Entrambe mi hanno raccontato che all’inizio c’era poca trasparenza in merito alle misure prese dentro il carcere e sopratutto i famigliari non sono stati coinvolti in questa fase critica. “Nella cella dove viveva mio figlio, 3 settimane fa un detenuto si è sentito male, quindi immediatamente la cella è stata blindata ma senza fare il tampone a nessuno. Pochi giorni dopo a un detenuto è stato fatto il test e risultava positivo. Questo ragazzo è stato scarcerato e pochi giorni dopo ha iniziato a sentirsi meglio. Tuttavia in quel periodo la loro cella non era stata disinfettata, i detenuti non sono stati spostati in un’altra cella e non è stato fatto loro il test“. La cella in cui si trova suo figlio è angusta quindi è difficile mantenere le distanze oppure arearla adeguatamente. La mamma preoccupata per la salute di suo figlio ha avanzato una richiesta di scarcerazione ma le è stata rigettata perché “non aveva abbastanza sintomi“. In questi giorni al figlio è stato, alla fine, eseguito il tampone al quale è risultato positivo e la famiglia aspetta la scarcerazione, dato che forse la richiesta è stata accolta. Questa signora mi comunica che le mamme hanno dovuto raccogliere denaro per l’acquisto di mascherine e guanti perché questi non venivano forniti ai detenuti.
La seconda mamma che ho intervistato invece inizia la nostra telefonata dicendo che è stanca e sconvolta. Suo figlio dopo i primi sintomi evidenti è stato spostato nel Padiglione D del carcere e sistemato in una cella da solo con scarse condizioni igieniche, avendo a disposizione la stessa mascherina per 14 giorni. La signora ha scoperto una settimana fa che suo figlio era positivo al coronavirus e sarebbe stato scarcerato. Tuttavia essendo impossibilitata ad avere un domicilio idoneo, in pochi giorni ha dovuto trovare un’abitazione adatta che purtroppo è molto piccola e ha dovuto sistemare tutto da sola. La mamma sottolinea che la richiesta di detenzione domiciliare sia stata avanzata direttamente dal carcere che una volta avuto il provvedimento dal magistrato di sorveglianza le ha chiesto di andare a prendere suo figlio, direttamente in carcere mettendo in questo modo a repentaglio la salute dei familiari del detenuto. “Solo a fronte della mia protesta il carcere ha predisposto un accompagnamento di mio figlio presso il luogo di detenzione domiciliare con una autoambulanza della protezione civile“.
In entrambi i casi richiamano l’attenzione gli stessi argomenti al di là delle singole esperienze. Prima di tutto sin dall’inizio la prevenzione in carcere non risulta gestita bene. Secondo la testimonianza delle mamme, sia i detenuti sia le guardie non sono stati tutelati sufficientemente. “Le carceri sono sovraffollate, si sa da tempo. Inoltre, in questo periodo, il numero degli agenti è stato ridotto. Ci dovrebbero essere circa 500 richieste di scarcerazione in attesa di una risposta. Questo sarebbe il momento giusto per una decisione importante“; sono le parole della prima mamma. Un altro punto comune citato da entrambi le donne riguarda la trasparenza delle informazioni. “Diverse volte abbiamo sentito delle dichiarazioni contraddittorie tra i medici del carcere ed alcuni esponenti del governo centrale. A noi pare che ci sia un numero maggiore di detenuti e agenti in condizioni di salute precarie di quelli che vengono comunicati“.
La scarcerazione di un detenuto ovviamente comporta una serie di questioni. Oltre a quelle burocratiche c’è un problema grande e vitale ossia quello del domicilio. “Ci sono diversi detenuti privi di una rete sociale, ma anche con una condizione economica estremamente precaria” dice Valentina Noya, Project Manager dell’Associazione Museo del Cinema e direttrice del festival LiberAzioni. Insieme a una serie di persone, pochi giorni fa, hanno avviato una raccolta fondi proprio con quest’obiettivo. “In pochi giorni siamo riusciti a racimolare la somma sufficiente per garantire a un detenuto appena scarcerato l’affitto di una stanza fino alla fine del mese di luglio“. E’ possibile sostenere questa campagna andando su questo link.
In questi giorni sono stati scarcerati alcuni detenuti, oltre quelli che sono stati citati sopra. Secondo la relazione dei medici del carcere, questi non avevano una condizione di salute idonea per poter restare dentro. In particolare la scarcerazione di alcuni detenuti condannati a diversi anni e con gravi reati a carico è diventata una notizia flash nei media locali. Purtroppo come sono state date queste notizie ci ha fatto capire che ci sono, tuttora, diversi professionisti che non esitano a calpestare la deontologia del loro lavoro. Ecco alcuni titoli dei media piemontesi e nazionali: “Scarcerato il killer“, “L’assassino è fuori dal carcere“, “Così anche gli assassini posso andare a casa” e “Marocchino è stato portato in un’abitazione di pertinenza della sua famiglia“. Al di là dei reati commessi o della provenienza, queste persone sono degli esseri umani. E’ il sistema giuridico che si occupa dei loro casi e solo grazie a un giusto ed equo processo un essere umano può essere assolto o condannato per il reato che ha commesso. Il giornalista, invece, non è tenuto a creare dei “mostri” o “pericoli/minacce in circolazione“. I media devono interessarsi della tutela di ogni singolo essere vivente presente su questo Paese raccontando i fatti in modo chiaro, trasparente e senza elementi che creino delle occasioni di linciaggio. Infatti si può immaginare quanto siano impressionanti i commenti sotto le notizie pubblicate in questi giorni su internet.
Esattamente come una delle due mamme mi ha detto durante la sua intervista: “Dentro ci sono tanti casi seri e vanno aiutati, in questo momento, a prescindere dalla condanna, devono essere trattati nella stessa maniera. I media devono richiamare l’attenzione sulle condizioni di salute delle persone che si trovano, oggi, in un momento molto difficile dentro il carcere“.
Ps. su loro richiesta, non sono stati citati i nomi di alcune delle persone intervistate