Dopo aver conquistato l’interesse internazionale con le proteste popolari di ottobre e con la conseguente spietata repressione antidemocratica attuata dai poteri governativi, il Cile torna a far parlare di sé. Anche durante la crisi globale dettata dal Coronavirus, il Governo di Piñera non perde nessuna occasione per continuare a privilegiare gli imprenditori del Paese, lasciando da parte le necessità popolari senza nessun freno morale, anche a costo di sacrificare la salute dei cittadini.
Al momento, il Cile si trova sotto stato d’eccezione per catastrofe, con un coprifuoco nazionale che va dalle 22.00 di sera alle 5.00 del mattino. Anche se stati limitrofi come Argentina e Perù hanno optato per una quarantena totale in tutto il territorio, il Cile, nonostante al momento dello scoppio del virus avesse più casi dei paesi vicini, ha scelto di imporre una “quarantena selettiva”. Grazie a tale scelta governativa, è possibile chiudere o liberare varie aree del paese a seconda della quantità di casi presenti. Nella capitale, a Santiago, solo i quartieri più ricchi sono stati messi in quarantena, lasciando la libera circolazione in altre zone della città con quantità di contagiati simile. Le scuole sono state subito chiuse su tutto il territorio nazionale e sono stati lasciati in funzione buona parte dei negozi e delle imprese. In tutto il Paese non sono mancate le lamentele da parte del popolo che, considerando il tipo di quarantena imposta e considerando la decisione a livello nazionale di mantenere in funzione imprese non essenziali, lamentano le decisioni governative. Lo stato è sempre più accusato di proteggere i profitti delle imprese, mentre centinaia di migliaia di lavoratori mettono a rischio le proprie vite lavorando ogni giorno con minime condizioni di sicurezza sanitaria. In data odierna il paese presenta 14.365 casi, 207 decessi e 7.710 guarigioni; per di più, il picco di contagi si preannuncia fra fine aprile e inizio maggio.
Nelle scorse settimane, il Governo cileno ha realizzato progetti economici per far fronte alle difficoltà causate dall’emergenza sanitaria. Ha messo così in atto varie manovre economiche e, tenendo da conto il volere dell’élite imprenditoriale del paese, ha proceduto alla riapertura di varie imprese.
Il 19 marzo, il Governo presenta il “Progetto di legge Covid-19 a protezione dei guadagni dei lavoratori”, un piano d’aiuto che, nonostante il nome fuorviante e ipocrita, aiuta ben poco la classe lavoratrice del paese. Grazie a tali direttive governative, gli imprenditori ricevono benefici da parte dello Stato senza avere, però, alcuna obbligazione nel mantenere intatti i contratti dei propri lavoratori. Infatti, non solo le aziende potranno decidere di licenziare liberamente i propri impiegati, ma i salari di coloro che non saranno liquidati saranno drasticamente ridotti. Si conta che nei primi mesi i lavoratori riceveranno il 70% del proprio stipendio, per poi scendere nei mesi successivi a un misero 45%. Come se non fosse abbastanza, il governo annuncia che i ridotti stipendi saranno finanziati solo in parte da denaro pubblico, lasciando che il restante sia prelevato dai fondi utilizzati per i sussidi di disoccupazione di ogni lavoratore. Solo nel mese di marzo, 300.000 persone hanno perso il lavoro, mentre più di un milione di persone sono state sospese dall’attività lavorativa con gravi tagli agli stipendi. È importante sottolineare che per tale piano economico si investiranno 11.440 milioni di dollari, ossia 45 volte la somma prevista per sostenere la sanità pubblica (260 milioni di dollari).
L’8 aprile, con un nuovo pacchetto di manovre economiche, il Governo annuncia nuovi aiuti per le imprese: l’abbassamento dei tassi di interesse, imposte scontate e varie agevolazioni fiscali. In contrasto con i privilegi donati alle imprese, si annunciano anche azioni economiche blande per aiutare i più deboli. Il Governo propone così il “Buono Covid-19” di 58 dollari, un aiuto economico previsto per le famiglie più bisognose. Inoltre, viene creato un “sussidio per ingressi minimi”, per coloro che ricevono uno stipendio che va dai 349 ai 446 dollari.
Per sopperire alle mancanze degli scarni provvedimenti di aiuto sociale già attuati, il 20 aprile si annuncia un nuovo piano, con lo scopo di far fronte alle emergenze economiche del 60% delle famiglie più vulnerabili del paese. In questo modo, una famiglia composta da 4 persone riceverà un aiuto mensile di circa 300 dollari per 3 mesi. Ma nonostante i fuochi artificiali che accompagnano il nuovo piano, la realtà è che ogni persona facente parte della famiglia riceverà 75 dollari, ben poco se confrontato con le reali necessità di una famiglia in difficoltà economiche in uno stato neoliberista come quello cileno.
Per ultimo, il 17 aprile Piñera chiama “alla normalità” molte imprese private, annunciando nuovi settori nei quali si dovrà riprendere a lavorare. Viene inoltre espressa la volontà di voler riaprire i centri commerciali nei luoghi meno colpiti dal virus, sempre in vista di una graduale, anche se decisamente prematura, ripresa dell’economia. Per di più, il Governo richiama al normale svolgimento del lavoro anche tutti i dipendenti pubblici. Per motivare tale scelta, adduce la necessità di personale al fine di impiegarlo per una corretta e puntuale distribuzione dei buoni e dei sussidi destinati alle famiglie bisognose.
Tutte le direttive economiche prese dal governo non sono altro che il riflesso del volere dell’élite imprenditoriale del paese. Le parole del direttore di uno dei fondi speculativi più importanti del paese, José Manuel Silva, riassumono bene la visione che molti grandi impresari hanno della situazione attuale: “Non possiamo continuare a fermare l’economia, dobbiamo prenderci dei rischi, e questo significa che moriranno delle persone”.
Il grande spirito di lotta dei cileni, ormai noto a livello internazionale a causa della perseveranza delle proteste negli ultimi 6 mesi, non si è però abbattuto. Il giorno stesso, il sindacato dei lavoratori della catena di negozi al dettaglio Walmart ha realizzato un intervento pacifico in Piazza Italia, a Santiago. Il comunicato inviato dall’organizzazione recitava così: “ Non sono state prese azioni preventive per tutelare i lavoratori e per le quali si possano riaprire i negozi e i centri commerciali. È una contraddizione da parte delle autorità; sottolineano l’importanza dell’isolamento sociale, ma allo stesso tempo vogliono che le persone vadano a fare shopping e che tutto torni alla normalità. I lavoratori stanno già subendo le ingiustizie della “legge di protezione dei guadagni dei lavoratori” e ora vogliono esporli a un possibile contagio”.
Il 20 aprile è la volta dei funzionari pubblici. Davanti a La Moneda di Santiago, la villa del presidente Piñera, 12 persone facenti parte del “Gruppo Nazionale degli Impiegati Fiscali” si organizzano per protestare in modo pacifico tenendo, però, tutte le prevenzioni e le distanze per non esporsi al contagio. Nove dei partecipanti vengono detenuti in modo arbitrario dalla polizia, per poi essere rilasciati varie ore dopo. Il fatto è stato categoricamente condannato dal Partito Socialista, che ha scritto su Twitter: “Condanniamo la detenzione dei dirigenti nazionali dell’ANEF. La legittima e pacifica difesa dei diritti dei lavoratori e della loro salute di fronte alla pandemia che stiamo vivendo non può avere come risposta la repressione”. Purtroppo è solo uno dei tanti tentativi di silenziare la voce e le necessità del popolo. Il giorno stesso, ad esempio, era stata organizzata una manifestazione pacifica in Piazza Italia, smantellata poco dopo da ben 15 camionette della polizia. Fanno riflettere anche le scelte governative prese solo pochi giorni prima per far ripulire i monumenti della piazza, diventata ormai il fulcro delle proteste che hanno caratterizzato gli ultimi mesi in Cile. Una scelta abbastanza discutibile, in quanto si serve del lavoro di varie persone nel bel mezzo di una pandemia globale solo per l’ennesimo tentativo di smantellamento di ogni simbolo della ribellione.
A rimetterci sono sempre i più deboli, e i cittadini ormai lo hanno capito bene. Ma nonostante gli ingiusti trattamenti da parte dello Stato, la voglia di lottare dei cileni non si fermerà e, se necessario, spingerà molte persone a tornare in piazza per farsi sentire.