Un testo molto interessante su alimentazione e veganismo.
“Scelte alimentari, Foodies, vegani, neofobici e altre storie” è un libro di Nicoletta Cavazza e Margherita Guidetti.
Non è semplice leggere in questo periodo: tanti pensieri e, nel mio caso, moltissimo lavoro.
Alcuni libri mi hanno fatto compagnia e uno in particolare lo vorrei segnalare, molto attuale in questo momento in cui cerchiamo di capire se il nostro stile di vita può aver una relazione con la pandemia.
Premetto di essere portatrice sana di un certo timore per i testi che trattano di alimentazione vegana, memore di un brutto articolo uscito un paio di anni fa in cui si confondevano i vegani con degli hipster nevrastenici.
Mi sono dovuta ricredere fin dalle prime pagine: è un libro interessante, inclusivo, in grado di rispondere a tante domande, di fornire spiegazioni sociali e psicologiche relative a vari stili di alimentazione. Le autrici, psicologhe sociali, innanzitutto ci ricordano che gli esseri umani mangiano anche con la mente. In altre parole, il cibo è uno strumento di nutrizione e piacere sia per gli umani che per gli animali, ma i primi lo hanno reso parte di un sistema estetico, un marcatore sociale, uno strumento morale.
Mi sono completamente ritrovata nel discorso che è più sono i commensali, più è il quantitativo di cibo introdotto da queste persone perché l’effetto della conversazione distoglie l’attenzione sul controllo cognitivo che esercitiamo sulla quantità di cibo ingerito, una sorta di disinibizione da gregari.
Mi ha profondamente colpita la parte delle relazioni sociali e il peso, a partire dalla spiegazione evoluzionistica che collega sovrappeso, obesità, aumento delle calorie ingerite, alla reazione, ad un’incertezza relativa al futuro, meccanismo che tra l’altro accomuna animali e umani.
Non mancano i riferimenti alla globalizzazione che aumentato il repertorio degli alimenti a disposizione delle persone residenti in un determinato spazio, introducendo cibi che non facevano parte della tradizione di quel luogo. E si ragiona sul fatto che, parallelamente alla globalizzazione, resta l’idea che il cibo locale sia puro, integrale, identitario.
Un altro interessante spunto di riflessione è la valutazione dei comportamenti contraddittori rispetto al cibo per cui, da una parte, recentemente sono aumentati l’interesse la consapevolezza sul cibo, ma meno sull’atto del mangiare che spesso diventa un’attività accessoria di sfondo ad altre incombenze come lavorare, parlare al telefono, guardare i profili social, seguire un programma in televisione, leggere.
Ed eccoci al temuto capitolo 3 “selettivi per scelta” in cui ho trovato una spiegazione chiara, scientifica, bilanciata di chi sono i vegetariani e vegani.
Si parte ragionando su coloro che dichiarano di essere vegetariani, ma consumano pesce o carne quindi non essendo affatto vegetariani e creando nei ristoratori il falso pensiero che ad un vegetariano si possa offrire del pesce o del prosciutto, per esempio.
Le autrici spiegano come la dieta vegetariana riduca le emissioni del gas serra del 29% circa e l’alimentazione vegana addirittura della metà rispetto alla comune alimentazione onnivora.
Tema quanto mai attuale soprattutto perché non ci sono benefici nutrizionali che giustifichino il passaggio dalla terra al bestiame e dal bestiame alle persone.
Si chiarisce anche il fatto che la tutela ambientale non è, per molti veg*, la ragione della loro scelta: non tutti veg* che hanno smesso di usare prodotti animali per motivi etici sono interessati all’ambiente.
Il filo rosso delle motivazioni comunque c’è: i veg* ritengono più importante degli onnivori il valore dell’universalismo inteso come comprensione, tolleranza, rispetto, protezione del benessere di tutte le persone e della natura. Alcune ricerche suggeriscono che i veg* siano più empatici, rispetto agli onnivori, nei confronti di umani e non.
Si affrontano i pregiudizi nei confronti dei veg*: le autrici ne parlano in un modo intelligente, delicato, interessante.
E’ intrigante la considerazione che mentre le persone, generalmente, evitano di esprimere apertamente i propri pregiudizi nei confronti di altre minoranze (immigrati, omosessuali) le battute sarcastiche e l’ostilità nei confronti dei veg* sono accettate ovunque.
A tal proposito viene riportato un interessantissimo studio sociologico dove sono stati analizzati 397 articoli di quotidiani in cui comparivano almeno una volta la parola Vegan o Veganismo, scoprendo che il 5,5% degli articoli mostrava un atteggiamento positivo, il 20% una posizione neutrale e quasi il 75% un approccio negativo e denigrante che consisteva nel ridicolizzare, nel descrivere il veganismo come una mania o una moda, una scelta difficile o impossibile da sostenere, fino arrivare a rappresentare i vegani come troppo suscettibili o estremisti ed ostili.
E per capire perché tanta ostilità si affronta la teoria della dissonanza cognitiva o paradosso della carne chiedendosi, come fanno già molti studiosi, in che modo gli onnivori riescano a conciliare il dichiararsi amanti degli animali, vivere con animali domestici, indignarsi quando assistono a maltrattamenti e, allo stesso tempo, mangiare la carne giustificando questa contraddizione cercando di allontanare il pensiero che l’animale vivo diventa cibo e facendo possibilmente in modo di evitare di pensare alla sofferenza degli animali negli allevamenti, nei trasporti, nei macelli.
Altri dissonanti si convincono di mangiare pochissima carne, altri si giustificano dicendo che a loro piace troppo e non riescono a rinunciare, altri pensano di non avere scelta rifiutando la responsabilità del loro comportamento.
In sostanza i veg* sono antipatici e fonte di ostilità da parte degli onnivori perché rendono evidenti le loro contraddizioni e sono la prova vivente che le strategia di riduzione della dissonanza, in realtà, non hanno fondamento e si può vivere senza uccidere.
In altri capitoli si parla di neofobia alimentare, di cibo consolatorio, di stile restrittivo, di digiuno e di “modalità” di mangiare maschile e femminile.
Per finire si fa una cronologia alimentare: si parte dall’alimentazione dei bambini illustrando come la frequenza di esposizione ad un alimento spiegherà le preferenze ossia se vero che mangiamo quello che ci piace è anche vero che ci piace quello che siamo abituati a mangiare.
Si passa ad analizzare l’alimentazione nell’adolescenza e si arriva ad un capitolo interessante e, al contempo, di una tenerezza struggente dedicato alla terza età, nel quale si ragiona sul fatto che i piatti familiari possono essere un modo attraverso il quale gli anziani difendono la propria identità personale e sociale e come, invece, la vedovanza faccia aumentare il numero di pasti consumati da soli, situazioni che carica il pasto di un’emozione negativa perché rinnova ricordo di chi non c’è più.
Un testo scientifico che si legge come un romanzo, tutto di fila o balzando tra i capitoli.
Troverete tante risposte e avrete alcune chiavi di lettura nuove su tanti aspetti della nutrizione.
L’autrice non ha nessun conflitto di interesse nei confronti delle autrici e della casa editrice.